Non sono mai andato via
Di Vincenzo Calafiore
26 Ottobre 2019 Udine
“ … ora per
me, in questa mia vita
di tante cose
mutevoli, tutto dovrebbe essere
comprensibile
ed invece mi ritrovo solo
e
sconcertato, talvolta disorientato, di più
amareggiato.
C’è però un
ritorno … il più delle volte a casa
quella che un
tempo ormai lontano lasciai in
cambio di un
sogno da realizzare.
E questo
sogno adesso è qui!
Peccato che
devo andare via, prima
della mia
ultima rappresentazione…… “
Vincenzo Calafiore
In verità
non sono mai andato via e ci ritorno in quella casa, da questo mio -oltre - ; ci torno per rimanerci. Ora che
per me, questa mia vita di tante cose mutevoli, ora che tutto dovrebbe essere
comprensibile, ed invece mi ritrovo solo come allora, come i muri di quella
casa,corrosi dalla muffa e finestre cadenti. Ora più che mai sconcertato,
amareggiato, disorientato.
Dove sono,
quella testa da accarezzare e quegli occhi che sapevano guardarmi, leggermi?
Questo mio
dannato – Oltre – è un regno che sta dentro, è un tempo non tempo, un non
ritorno, ritorno.
In questo
mio regno dell’oltre il limite si è rotto, e i colori cominciano a sbiadirsi, a
perdere il loro suono e i suoni sempre di meno si colorano, le forme si
trasformano ad ogni passaggio di luna su questo specchio di mare, agli occhi
miei una lastra d’acciaio.
Vorrei per
certi versi fuggire dall’iniquo che come un vestito di seta ammanta questa
società, tritata da un sistema che nulla lascia al caso, nulla lascia di se.
E’, che c’è
un ignoto da esplorare, questo è l’Amore a cui si arriva senza corpo, perché è
andato perduto o mi è stato rubato, ci arrivo senza parole, perché non ne ho
più!
Ce ne
vorrebbe una magica, che faccia spalancare le porte d’oro del sogno e dischiuda
giardini di alghe e meduse, coralli e madreperle nel fondo di occhi amati e mai
dimenticati.
Non sono mai
andato via!
Ci sono.
Ancora qui,
in questa mia prigione dorata che non mi fa volare dove il cuore vorrebbe
andare, sono ancora qui a dire sì!
Spalancate
finestre su un dolore ancora intimo, ancora prezioso, e un gioco di strofe di
mezze parole sussurrate ad un convivio con la morte.
Il mio regno
dell’Oltre è il Labirinto in cui inseguo i sogni o sono inseguito dall’una e
dall’altro per opposti desideri, per opposti motivi.
C’è la
consapevolezza che mai tornerà la felicità di quel sogno incastrato tra cielo e
distanza, in verità amore mio agonizzo per una malattia sconosciuta e che non
si sa come curare; in questo luogo mi hanno rimesso assieme i pezzi dell’anima
per sopravvivere e questo è
-
mi
assicurano – una fortuna.
Ma loro, gli
altri prigionieri, gli altri morti vivi?
Quelli che
ho incontrato in altri gironi dell’inferno, nelle rovine di Napoli, nelle
favelas di Milano, nelle bindovilles di Roma e di Genova.
Quelli che
protestano contro la fame e le umiliazioni e che, del tutto legalmente si
mettono in prigione, si torturano, si impiccano. Quelli che hanno difeso e
difendono la propria dignità, la loro stessa esistenza, quelli che spariscono
per sempre.
I morti
viventi nuovi dell’ Hiv e delle Dachau
del Medio Oriente ridipinte in tutta fretta, dei tumori che divorano e si
lasciano divorare bambini, uomini, donne che potrebbero salvarsi e sono
lasciati andare per quattro denari dai Baroni, dagli avidi, dagli assetati di
denaro per una vita che voli alto sopra la monnezza, sopra i rifiuti, perché
tali siamo: rifiuti, merce, animali per la sperimentazione, per la vivisezione,
per arricchimento.
Cos’è
l’uomo?
Quell’uomo
capace di accoppiarsi con violenza con una donna di cinque anni? Che uomo è?
“ Una cella
è fin troppo, basterebbe una bara “ per contenerci tutti.
Che è
successo alla vita?
Una vita
potrebbe essere stilisticamente bella e contenutisticamente interessante, ma
non avvincente, non affascinante ed è questa che un manipolo di predatori di
vita ci costringono a vivere, una vita non vera!
Nel mio
Oltre c’erano delle celle di isolamento simili alle grotte e ci era proibito di
parlare, di pensare, però si poteva abbaiare o cose simili che diventa naturale
dopo poco tempo di isolamento. E mancava il piacere di raccontare gli orrori
assoluti!
Fu allora
che cominciai a parlare di fiabe con l’ombra di me stesso, e sono certo ancora
adesso che da qualche parte c’è una fiaba, che la fiaba è un dono d’amore.
La verità
amore mio è che non si possono scrivere, ne raccontare, inventare favole senza
la grande capacità di amare e di dare agli altri la propria anima in pasto affinché
ci sia vita, affinché la vita stessa sia continuità, sia un per sempre.
E mi
piacerebbe che tu un giorno leggessi le mie favole, anzi vorrei che li leggessi
ad alta voce, affinché la vita ti senta, ti desse ascolto!
Affinché tu
possa spiegare agli altri che non sono uno scrittore, che a volte la mia
fantasia non riesce a trovare una grammatica adeguata, spiegare che io sono sempre
vissuto ai margini, nelle piazze, nelle strade, nelle galere, e che qui ho
incontrato migliaia di persone dalle quali ho appreso storie meravigliose.
Storie meravigliose che mi sono portato dentro e che ho raccontato a quelli con
cui mi sono trovato bene di volta in volta, storie meravigliose che ho
cominciato a scrivere durante la mia prigione e i lunghi isolamenti totali nel
corso della mia condizione, detenzione.
Le ho volute
scrivere perché era una maniera per rimanere vivo, per i prigionieri, per i
sconosciuti.
Amore, lo
scrivere, per me, era un modo di lottare e sconfiggere, l’idiozia, l’ignoranza,
la schiavitù, un modo per ricongiungermi con la libertà che è in me, ma anche
con loro, bambini, vecchi, donne, barboni, funamboli, che sono come me: innamorati sempre della
vita.
Spiega a chi
ti chiederà di me che io sono stato proprio uno di quei prigionieri che ho
amato e conosciuto per le strade, nelle piazze, negli ospedali, nelle prigioni,
nelle galere, nei manicomi di tutto il mondo. Prigioniero di nessuna prigione e
per questo sono rimasto in prigione, com’è naturale in questo mondo rovesciato.
Ti Amo.
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