Di Vincenzo Calafiore
4 Ottobre 2019 Udine
“ .. mi rendo conto che la
sabbia
dell’ampolla superiore e
scesa di
molto e non ho paura. Mi
rendo conto
che la vita mi sta sfuggendo
di mano
e c’è la necessità di vivere
intensamente
ogni granellino di quella
rimasta.
Affinché non debba poi alla
fine
dire a me stesso: mi
dispiace! “
Calafiore Vincenzo
Così in questo
ottobre sobrio, mi sono messo in disparte, lontano dal chiasso e dal cicaleccio
di un coro volgare; distante dalle miriade di occasioni di vita perduta nelle
stupide ipocrisie, aggressiva e litigiosa, scontenta, è come essermi salvato da
una tempesta.
E tutte le sere
quasi come un vecchio attore stanco, da un balcone, fumando una delle ultime
sigarette mi trovo davanti a una scena neutra di un palcoscenico decadente,
privo di emozioni.
Queste giungono semmai
dai quei ricordi in me più che mai vivi, e torna in mente la magica visione di
un ragazzo che se ne va solo coi libri in mano lungo spiagge sprofondate nelle magiche visioni di azzurri e
spumeggianti creste che puntano al cielo.
E’ dunque questo il
triste luogo della solitudine? Ove si amplifica tutto perfino lo stesso mio
respirare tra una sigaretta e l’altra mentre scorre lenta la notte negli occhi
rivolti alla “ Pegasus “ che all’ormeggio sospesa nel blu, attende il mio
salire a bordo dal ponte alto, da cui poter con gli occhi miei vedere l’immane
ritroso che mi attende oltre l’oblò da cui guardo il mondo. Oltre quell’immenso
c’è la mia vita, c’è
la mia età che chiedono di non annegare in quel fluttuante sospeso ai bordi di
Andromeda.
Che grandi cose ho
fatto assieme a quella compagnia di avanspettacolo sui palcoscenici di lebbrose periferie di città depredate, con un
Mangiafuoco sempre più avido, sempre più scortese, sempre più dannato, sempre
più evanescente.
In quei teatri di
periferia, ho potuto recitare versi d’amore più belli a puttane e papponi,
ruffiani di una corte di neofiti malfattori e ladri, che tutto volevano tranne
che versi e parole senza il loro significato.
Parole leggere che
sono andate via assieme al fumo di sigari e il lezzo di profumi di quelle donne
sguaiate e volgari dentro atmosfere e immaginazioni di un prostibolo decadente,
ipocrita.
Non ricordo il tempo
trascorso appeso a una parete assieme ad altre marionette disubbidienti .. noi
saltimbanchi e giocolieri, artisti di strada, mendicanti dimenticati in una
specie di prigione dalla quale giungeva costante il rumoreggiare del mare…
tanto immaginato e mai veduto.
Mentre nell’aria le
note di “ Una furtiva lagrima “ ( L’Elisir d’amore, Donizetti ) più che mai si
addicono al mio essere ora… mi riportano alla mia delusa realtà.
Mi torna in mente
quel ritornello che più amo: …. “ Una furtiva lagrima negli occhi suoi spuntò..
quelle festose giovani invidiar sembrò! “
Quanto si addicono
ora in questa mia età lebbrosa, curva sui libri, con una stilografica in mano a
scrivere cose che ormai non hanno più senso, né riconducono a qualcosa che mi
possa trattenere dal salire a bordo della “ Pegasus “ e allontanarmi per sempre
da questa vita idiota.
Da quel balcone,
alla scrivania, il passo è breve ma è come la distanza tra me e la luna; è un
sprofondare nei flutti malinconici di un’esistenza raggrumata agli orli
di un pianeta chiamato Amore!
E’ di amore che si
tratta, quello che mi costringe immancabilmente a prendere atto che qui si
muore nella più oscura cecità intellettuale.
Scappare da questa
vita per un’altra in cui forse troverei ciò che da sempre vado in cerca:
dignità e libertà!
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