Il Sogno alla fine
del sogno
Di Vincenzo Calafiore
9 Luglio 2020 Udine
“…. è lì, appena dietro il
sipario
la sorte appesa a un chiodo;
parole e passi su sentieri
invisibili
eppure sono lì da seguire,
per una meta,
per un sogno, chissà quante
volte accarezzato nel
proscenio
di un pensiero ma finito.
A pensare bene così fa il
mare
Ti prende e ti porta via,
ti lascia non dove tu
vorresti
ma in un altro altrove.. e
tutto cambia … “
( Citaz.di Vincenzo Calafiore)
( Proprietà letterarie riservate)
Da una delle
mie finestre a Sud, posso scorgere all’orizzonte il mare, ma anche un treno
percorrere lunghissimi tratti di costiera, lo vedo sparire nel ventre di
montagne e riapparire sferragliando quasi vicino al mare, tanto da poterlo
quasi toccare.
E’ questo
l’unico segno che mi ricorda il legame con la mia terra natia, il mondo dal
quale provengo, un “ segno “ discreto, vicino e forte da turbare la quiete in
cui a volte mi rifugio.
Figure
attorte, tormentate, vagano nei bui più profondi, come fantasmi nei vicoli di
paesi abbandonati; si dilatano nell’immaginario approssimativo dell’istante.
E’ un buio
da cui spiccano occhi dolci e penetranti, ineludibili, mi attraggono, occupano
lo spazio in maniera perentoria, mi dicono dell’anima, nei suoi angoli sinceri
e inquieti, dolorosi del lungo, lunghissimo distacco.
E’ una di
quelle notti in cui si avverte il mondo, si sovverte il mondo con un pensiero
immenso, incontenibile, incontrollabile: l’amore!
Cominciano
ad entrare in scena musicisti e pensatori, i sognatori, gli spiaggiatori,
l’inconscio entra in scena su una slitta trainata da somari, con la sua
sfumata, rocciosa presenza invade la scena, toglie respiro al proscenio che
dietro le quinte ripassa le battute, memorizza gli scenari a venire in un “
fuori “ che non fosse “dentro”, la scena
diventa un “ paesaggio psichico “.
I vincoli si
sfaldano, la dodecafonia riscrive la musica e la psicoanalisi riscrive la
mente, in questo clima fervido, che incubava già magnificenze e attese, lunghe
pene, tutto si trasforma in breve tempo in un teatro di domande che si illumina
di una fulgente parabola di bellezza, di incanto: gli occhi suoi in quel buio
insolito raccontano l’amore.
Febbrile e prolifico,
il mio pensiero a lei così distante, malgrado l’esiguità del mio essere parola
che necessita sempre un confronto.
Le mie
immaginate folate di corpi e volti che scavano, entrano sottopelle, raccontano
l’amore, suggerendo forse punti di vista arditi, seguendo la linea dei dorsi e
degli zigomi, per contenere quell’ Io che deborda, e invade di se tutta la tela
della notte, una sorte di emozione raggrumata attorno agli occhi, il cui volto
è un intreccio di deluse attese.
Poi , tante
figure femminili di felice seduzione e romantica fascinazione e provocazione,
sia pure nelle pose spezzate assi metriche, contorte, di uno scenario di un
sogno alla fine di un sogno.
E’ l’alba!
Mi restano quegli sguardi, quel corpo teso e febbrile: una febbre che porta
dritta al cuore.
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