mercoledì 26 giugno 2024

 

 

 

Mi dico, per sconfiggere dei giorni la tristezza

che saprei come amarti.

Tu lo sai, senti i miei occhi che fanno proprie

le parole che vorrei dirti.

Tu, le leggi!

Le immaginazioni,

i sogni,

le carezze mancate, sono le mie incertezze e

senza scampo alla mia solitudine

vanno i giorni miei, la mia età.

                                           Calafiore Vincenzo       

venerdì 21 giugno 2024


 

I giorni idioti

( da – Il canto del cardellino-)

 

Di Vincenzo Calafiore

20 Giugno 2024 Udine

“ …. L’amore, quello custodito

nella memoria, affinché non si cancelli.

Torna ora in queste mie notti silenziose

in questo mio – estraneo – ora, che posso

solo sognarlo, che lo posso ancora sognare.

Tutto è rimasto uguale nella memoria:

un luogo lontano da tutto, così vicino a Dio!

Tutto è qui incredibilmente vivo,

tutto è qui finché non lo cancella il vento. “

                                    Vincenzo Calafiore

 

 

Io lo sapevo, che solo l’amore con la sua anima mi rende così innocente ora di fronte al baratro che mi si prospettava da tempo e non mi aspettavo, ma che si è presentato adesso con tutte le sue credenziali; è un’amante silenziosa e cinica l’età mia che non perdona e nulla di più concede.

La primavera col suo primo giorno di sole pieno e caldo ha fatto evaporare l’umidità accumulata nei lunghi mesi invernali e riscaldò le fragili ossa, lungo i sentieri del giardino fiorito; Marco, il poeta malinconico, è rimasto a letto, i suoi occhi vedevano solo i suoi incubi notturni, le sue orecchie sorde al canto degli uccelli, non declama più Checov .

Beatrice la maestrina altoatesina, vestita col suo abito bianco, cappello a larghe falde e velina sul viso, avanza lentamente fra i cespugli di fiori e piante profumate, seguita a distanza dai suoi adoratori, quelli che l’amano nell’anonimato e si nascondono dietro le siepi per spiare il suo passaggio.

L’inverno era stato molto duro e lei non era mai uscita dalla “ Casa delle fate “; respirò profondamente i profumi nell’aria e calcolò i giorni che mancavano al suo viaggio di ritorno a casa sua per una breve vacanza.

Osservò il giardino, rabbellito dal germogliar della primavera, sentì il profumo della terra bagnata; i fiori brillavano ancora della rugiada notturna nel viale che portava al padiglione degli ospiti, dall’aspetto opaco e triste.

I suoi occhi man mano contavano gli anziani c’erano quasi tutti tranne io e il poeta malinconico!

D’improvviso uno dei suoi adoratori si avvicinò e le posò le mani sui seni, premendoli più con curiosità che con lascivia. Lei rimase immobile, finché una sorvegliante non si accorse della situazione e intervenne, ma lei con un gesto la trattenne, come per sorvolare sull’accaduto.

Come ogni mattina, quando l’alba si affacciava dietro i monti, mi preparai il caffè, inumidii il pane del giorno prima con il latte, mentre il sole si alzava piano; quindici anni, erano trascorsi quindici anni da quando sono arrivato in questo posto: “ La casa delle fate”, la casa di riposo, dove i vecchi finiscono i loro giorni, me ne ricordo come se fosse appena ieri.

Beatrice è stata la prima donna che ho incontrato passeggiando nel parco, mi presentai a lei per conoscenza; lei appoggiò il suo braccio sul mio e continuammo a passeggiare lungo i viali del parco.

Mi rivolse mille domande come un esteso interrogatorio: quante donne per notte … quanti anni avessi … e come mai ero finito in questa casa di riposo; sulle sue labbra quell’investigazione acquisiva una candida patina d’innocenza.

Da quel giorno mi aspettava ovunque e ovunque la trovavo ad attendermi.

La sua semplicità catturava la simpatia di tutti, non era più tornata dalla famiglia, ne aveva più rivisto i suoi fratelli; ma ogni mese spediva dei soldi a un suo amico che le teneva in ordine la sua casa, dove spesso vi faceva ritorno.

Non aveva dimenticato il suo mondo di cieli chiari e notti stellate, di profumi deliziosi, calore e ore passate sdraiata sull’erba a guardare le nuvole correre in cielo.

Dicono che la cicala canta per una sola estate, e io pensai al mio tempo sempre più breve, lei questo lo leggeva nei miei occhi smarriti ….

 

 

 

 

 

 

martedì 18 giugno 2024


 

Il Canto del cardellino

 

Di Vincenzo Calafiore

18 Giugno 2024 Udine

 



…. I vecchi sono come

le sedie, messe da parte

quando non servono più … così

dopo tanto tempo finiscono

nel fuoco…. “

                        Vincenzo Calafiore

                                                                   

 

Il grande ciliegio al centro del giardino, ha la stessa età della casa, sotto la sua folta chioma si trova riparo dal sole cocente, a sera arriva la brezza del mare, si odono le cicale cantare;

venivano spesso i cardellini, si posavano sui rami più bassi e, mio nonno a quelli che più si avvicinavano aveva dato loro dei nomi.

Lui rimaneva seduto sulla sua sedia sotto quel ciliegio, a prendere il fresco, sempre con la coppola in testa e un toscanello serrato all’angolo della bocca, con il suo bastone si aiutava a passeggiare nel giardino.

Mi fermavo spesso a parlare con lui, mi piaceva molto specialmente quando mi raccontava storie della famiglia.

Anche lui come me si fermava ad ascoltare suo nonno; nessuno dei nostri vecchi è andato a morire in un casa che non fosse la loro.

Ma questi non sono che ricordi di una certa vita che ora è stata cancellata, polverizzata; invecchiare significa non più memoria, ma problema, peso, impegno soprattutto economico perché una casa per i “ vecchi “ ha un costo elevato e le famiglie non esistono più.

I vecchi sono un intralcio alla dinamicità quotidiana, non c’è tempo per essi.

Mio padre e mia madre, non ci sono più, così pure mia moglie. Non esco più a pescare, ho finito di lavorare da un paio d’anni e sono solo in questa casa grande.

Una volta e tutti i giorni al mattino squillava il telefono, dall’altra parte, i miei figli da Milano mi davano il buongiorno, così a ora di pranzo e alla sera a ora di cena.

D’estate durante il giorno vado al mare a guardare le barche e le navi passare, assieme a qualche amico solo come me, tornando in dietro verso casa solitamente ci fermiamo da Nicola che avuto una paresi a fargli compagnia, beviamo una birra Messina, parliamo poco perché le nostre teste sono in altri luoghi, sono perse in una marea di ricordi che riaffiorando, fanno molto male, ci fanno vedere quanto lontana sia la vita da noi, e quanta vita nostra è stata donata senza nulla chiedere in cambio,e nulla abbiamo oltre alla solitudine, una grande solitudine.

Dei miei figli ricordo vagamente il loro volto, è come un’immagine o una fotografia che lentamente sbiadisce fino a cancellarsi; eppure pur sapendo di perderli una volta cresciuti, o per il lavoro, o per la loro famiglia, non avrei mai immaginato di finire i miei giorni in una transoceanica in solitaria, i ricordi mi fanno vedere Orione alzarsi nel cielo del Mediterraneo di notte è un segno che non si può ignorare, come non si può ignorare il silenzio dei figli quando non ti cercano più!

Nasce quasi sempre la stessa domanda : dove ho sbagliato, o perché merito questo?

Questi pensieri sono delle porte che non portano da nessuna parte, ma quelle che ho messo in giardino, e sono tante, tutte, portano a mondi lontani dalla mia realtà!

I vecchi come me, non possono essere diversi da quello che sono stati per essere accettati, ecco perché a questo ho preferito il grande sogno: vivere!

Di cosa sono fatto, io, non lo so. E’ una cosa che mi sono chiesto tante volte. Tante volte sono solo delle immagini, non saprei definirmi.

Cose che non hanno una forma precisa, che durano un attimo, come la mia vita … un attimo!

Il pensiero di vivere è una nuvola grande come una nave, una nave silenziosa, che basta da sola per viaggiare senza fatica, senza affanni, dove non pensare a niente di concreto.

Sono lì a guardare il mare, i disegni fatti dalle nuvole, non più carte nautiche, ma nuove rotte disegnate dai venti, per distrarre il mondo, oppure rimanere lì a fissare il mare.

E’ una nave che non fa rotta verso la terra, ma sa dove arrivare!!

Penso a questo quando sono solo con il mio dolore. Guardo i colori del mare, e il mare ha tanti colori, a volte è verde, a volte è blu, blu scuro, cupo, chiaro … e sembra che non ci sia più cielo, o forse non c’è più mare, non c’è vita.

Quello che vedo non è mare, ma neanche futuro, ho pensato di avere una vita … ma era un altro tempo.

Quello che vedo sono solo onde, vedo una vita che si scioglie o che si forma in un mondo parallelo che la mia fantasia vuole.

Hai mai visto un’onda arrendersi?

Le onde non si arrendono mai, ecco perché non smetterò mai di essere un’onda!

 

 

 

giovedì 13 giugno 2024


 

Il sogno mio

 

Di Vincenzo Calafiore

14 Giugno 2024 Udine

Quel volto di donna, mi era tanto familiare, lo conoscevo bene, perché ogni qualvolta che passava la sua immagine nella mia testa provavo grande emozione, pur non sapendo in verità chi fosse e dove avessi incontrata quella donna; di lei non conosco nulla, se è alta a bassa, grassa o magra, so soltanto che è bella, bella da morire.

Può anche darsi che questo volto di donna bellissimo sia frutto della mia fantasia, come potrebbe essere ciò che è rimasto in testa di un sogno mio.

In certe sere d’estate, quando il caldo era insopportabile anche in casa, così com’ero in costume da bagno, me ne andavo in riva al mare e lì ci rimanevo fino a notte inoltrata.

Erano delle notti serene, trascorse sotto un cielo stellato con il mare illuminato quel poco per fare sognare; fu in una notte di quelle che vidi una barca sbucare dal buio e arenarsi sulla riva, dalla barca scesero, una ragazza assieme a un ragazzo, e un uomo.

Mi vennero in contro e parlavano un’altra lingua, in qualche maniera feci capire loro di seguirmi e li portai a casa.

Diedi loro la possibilità di lavarsi e di rifocillarsi; non avevano altri vestisti che la ragazza lavò e mise ad asciugare sullo stenditoio in balcone, la ragazza e suo fratello andarono a dormire nel mio letto, io e il loro padre ci sistemammo alla meno peggio per terra in soggiorno.

Al mattino mi recai nell’unica bottega che abbiamo nel villaggio per prendere il latte e tè, biscotti e marmellata per preparare una buona colazione.

Il profumo del basilico dal balcone inondò tutta la casa, mischiandosi al profumo del caffè.

Davanti ai miei occhi lei, all’impiedi, avvolta in un asciugamano! Mi lasciò senza fiato, incantato di tanta bellezza.

Li lasciai fare colazione e andai a bere il mio caffè sul balcone a guardare il mare dello Stretto; poi presi la mia borsa e i fogli da disegno e me ne andai in riva al mare; dando loro la possibilità di rimanere soli e di organizzarsi.

La ragazza sedette su uno scoglio …. Presi un foglio di carta grande, bianco e mi misi a disegnare.

La guardavo fisso, lei teneva gli occhi chiusi, mi fermavo sulle ciglia, sugli occhi. Il padre guardava ora me ora lei come per capire un dialogo incomprensibile fatto nella lingua incantata degli uomini giovani; mi soffermai sulla fronte, fissavo la bocca.

Non si sentiva una parola, come un Dio ricalcavo le sembianze di lei, e lei si sentiva sotto una luce abbagliante con le sue vene, le sue pieghe, i suoi segreti, tutto.

E coprendosi una mano mostrava l’altra e alla fine le nascose tutte e due come due colombe sotto la veste.

Si sentiva percorsa punto per punto dal mio sguardo come se la consumasse, e io stesso imitavo l’atto della sua bocca, spingendo fuori le labbra, imitavo il suo sguardo, la ritrosia delle sue ciglia.

Lei sentiva di disfarsi lentamente, di inabissarsi, di perdersi, di fondersi nell’universo, di entrare in un altro corpo in altre spoglie.

Lei cominciò a guardarmi come se i nostri destini si fossero uniti, le sembrò d’essere stata rapita, che mi appartenesse come se l’avessi sposata, e all’alba di un matrimonio, immemore per un attimo di essersi legata a un uomo.

E io ero il suo uomo, inaspettato, arrivato come una favola.

Si sentì sposa mistica di un uomo che l’aveva rapita.

Si sentì vicine le mani, le mie mani e il mio fiato, e i miei occhi.

Lei aprì gli occhi, mi guardò; pensò e ricordò che somigliavo a qualcuno, sebbene fossi forestiero, forse a un’immagine dipinta in una chiesa.

Sentì per la prima volta il respiro del sangue nelle sue vene, tra i suoi occhi fissi nei miei, mentre il mondo diminuiva al tramonto come accade di sentire nel sonno … le parve di sentirmi addosso, d’essere trascinata in alto sulle ali di un gabbiano.

 

 

 

mercoledì 12 giugno 2024


 

Ritratto di un ricordo

 

Di Vincenzo Calafiore

12 Giugno 2024 Udine

 

 

Tra le cose che ho più care, c’è un ritratto di donna.

Una fotografia in bianco e nero, sbiadita nei colori, rovinata agli spigoli, che avevo trovato in un angolo di un marciapiede di una strada lontana da tutto.

Fu un atto d’amore raccoglierla da terra, verso questa sconosciuta e conservarla agli occhi degli estranei, per proteggerla, in mezzo a un libro.

So che molte donne non gradiscono essere ritratte e non si sono mai fatte ritrarre; basta andare in giro per le strade con una macchina fotografica perché le donne volgano il capo dalla parte del muro.

Anch’io ho questo primordiale ritegno;ma per una donna deve esserci qualcos’altro, forse un sentimento a questo ritegno, forse quello di appartenere a qualcuno non ancora svelato, di cui si fida, con cui si confida; perché una donna vuole conservare e custodire in segreto la propria bellezza, i suoi ricordi. 

Ora questa sconosciuta è nel mio portafoglio, è un mio ricordo che mi accompagna e mi protegge.

La lunga notte gitana, finisce all’alba, quando il mare si è addormentato cullato dalle sue alte onde, navigo verso l’isola giallina, in una foschia di color anice. All’improvviso il mare si riempie di nuovo all’orizzonte  di vele, arrivano forse da Itaca; a bordo, lato terraferma, gli ultimi fuochi del Paese delle Aquile, l’Epiro, la nuova Troia, il posto che Eleno figlio di Priamo ribattezzò con gli stessi nomi della patri perduta.

Corfù è vicina, mi preparo a sbarcare.

Ma arriva la bonaccia, un gran silenzio scende sul mare, le vele si svuotano di vento.

Con la tempesta combatti, con la bonaccia ti arrendi; mi sdraio ed estraggo dal portafoglio la fotografia di quella donna sconosciuta e immagino che sia la mia donna, le parlo, le chiedo un po’ di compagnia, un abbraccio, un bacio.

Cerco nelle tasche le sigarette e mi rendo conto di averle finite, mi ricordo di avere del tabacco chiuso in un barattolo di vetro, per fare una sigaretta va bene anche una pagina del mio portolano.

Durante le bonacce avevo letto che i vecchi Comandanti accendevano un sigaro, per ingannare il tempo e perché nulla nemmeno l’anemometro, sostituiva il fumo di una sigaretta nell’indicare se era tornato il vento, o indicasse la pur minima bava d’aria!

Il mare respira, la vecchia “ moya “ tace, mi metto a pescare in un mare senza patria sul filo tra  Grecia e Albania, guardo la vecchia vela rossa tannino, floscia, immobile.

Ogni goccia di colore scolorito è una buriana alle spalle e sono state tante!

Sento un grillo cantare a bordo, ci penso un po’, faccio un po’ di conti, dev’essere greco. 

Sento una fresca carezza in viso, il fumo della sigaretta mi entra negli occhi, si è alzato il vento, la barca ha uno scossone che la fa tremare tutta, le vele si gonfiano di vento e il viaggio riprende.

Dopo l’attracco, tutto cambia. Cicale, fichi e lenzuola al vento come tante vele, tutto diventa accomodante, la gente passeggia, i vecchi dormono al sole e i bambini giocano per le strade.

Benedetta Grecia, culla del pensiero occidentale, ma fedele alla mediterraneità, dunque alla sua capacità di capire l’Oriente.

L’Italia, la sorella maggiore invece  ha tradito il suo Mare di Mezzo, la sua storia, la sua posizione unica, è diventata atlantica come l’Albania.

Eraclito scrisse : “ Da ciò che è in lotta nasce la più bella armonia. Tutto si realizza attraverso la discordia. Ecco la Grecia è anche questo! 

Il mio amico Andreas Papadopulos mi schiude stanze piene di libri,manoscritti, di questo porto sicuro dove un tempo mercanti cristiani, ebrei e greci riparavano dai turchi e dalle tempeste.

Dove è possibile rileggere la storia del Mediterraneo. Crocevia di russi, turchi,tedeschi, inglesi … anche questo è un mondo che Italia e Grecia hanno donato, anche questo è Grecia è Italia!

Nella chiesa di Spiridione, protettore di Corfù, la gente ciabatta e chiacchiera come in un qualsiasi vicolo napoletano. Le porte sono tutte aperte, il vento entra, donne pregano sottovoce, accendono candele, vanno a baciare il Santo. Passare da Spiridione è un atto di devozione, nella sua chiesa si parla, si prende il fresco nelle ore micidiali del pomeriggio.

Spiridione è un Santo speciale, di grandi miracoli, tanto che i corfioti dimenticarono San Marco, Venezia correndo ai ripari lo adottò non si sa sotto quale segno liturgico, Cattolico o Ortodosso?

Spiridione, santo adottato anche da ebrei e musulmani, anche questo è Grecia!                                      

lunedì 10 giugno 2024

 

Volto di donna

 

 

Mare e nubi bianche che giungono

e si squarciano davanti ai miei occhi.

Amore che si promette e poi si lasciano

inseguire fino al cielo.

 

Mare davanti al quale il mio cuore trova

tutto il suo amore, la sua vita;

amore dapprima vicino e poi benefico

al mio ardore da lontano.

 

Quando sconfitto e affranto piegato

sono al suo amore come amante

tenera e bugiarda apri il tuo cuore la sera.

 

Io col mio cuore avido dei tuoi baci languidi

che mi sanno conquistare così in fatale impeto

perfida all’istante.

Tra le mie cose più care, v’è il tuo ritratto

di donna perfida e bugiarda, fu quasi amore

prendermi questa sconosciuta e nasconderla

a occhi estranei.

Solo mia! E pian piano lasciarti andare

con tutta la solidarietà carnale.

 

                                        Calafiore Vincenzo

Rostro de mujer



Mar y nubes blancas que vienen

y se rompen ante mis ojos.

Amor que se promete y luego se deja

perseguir hasta el cielo.


Mar ante el que mi corazón encuentra

todo su amor, su vida;

amor primero cercano y luego benéfico

a mi ardor desde lejos.


Cuando vencido y afligido se inclina

soy a su amor como un amante

tierno y mentiroso que abres tu corazón al atardecer.


Yo con el corazón ávido de tus lánguidos besos

que pueden conquistarme tan en fatal prisa

traicioneros al instante.

Entre mis cosas más queridas, está tu retrato

De una mujer pérfida y mentirosa, fue casi amor

alejar de mí a esta desconocida y ocultarla

de ojos ajenos.

¡Sólo los míos! Y lentamente dejarte ir

con toda solidaridad carnal.


                                        Calafiore Vincenzo


*** Translated with www.DeepL.com/Translator (free version) ***

Woman's face



Sea and white clouds coming

and break before my eyes.

Love that promises itself and then lets itself

chase up to the sky.


Sea before which my heart finds

all its love, its life;

love at first near and then beneficial

to my ardour from afar.


When defeated and afflicted bent

I am to her love as a lover

tender and lying you open your heart in the evening.


I with my heart greedy for your languid kisses

That can conquer me so in fatal rush

treacherous instantly.

Among my dearest things, there is your portrait

Of a perfidious and lying woman, it was almost love

to take this stranger from me and hide her

from foreign eyes.

Only mine! And slowly let you go

with all carnal solidarity.


                                        Calafiore Vincenzo


*** Translated with www.DeepL.com/Translator (free version) ***

Visage de femme



Mer et nuages blancs qui arrivent

et se brisent sous mes yeux.

L'amour qui se promet et se laisse

chasser jusqu'au ciel.


Mer devant laquelle mon cœur trouve

tout son amour, sa vie ;

amour d'abord proche puis bénéfique

à mon ardeur lointaine.


Quand vaincu et affligé, courbé

je suis à son amour comme un amant

tendre et menteur tu ouvres ton cœur le soir.


J'ai le cœur avide de tes langoureux baisers

Qui peuvent me conquérir ainsi dans un élan fatal

traître instantanément.

Parmi mes choses les plus chères, il y a ton portrait

D'une femme perfide et menteuse, c'était presque de l'amour

de m'enlever cette étrangère et de la cacher

aux yeux étrangers.

Seulement les miens ! Et lentement te laisser partir

avec toute la solidarité charnelle.


                                        Calafiore Vincenzo


*** Traduit avec www.DeepL.com/Translator (version gratuite) ***


venerdì 7 giugno 2024

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sapevano di mare quegli occhi,

di onde che s’infrangevano nei miei,

di tempeste racchiuse nei bagliori

di quelle pupille smarrite.

Sapevano di spiagge e porti mai raggiunti

di attese, mancanze.

Di naufragi!

Perché quando vedi il mare

in un paio d’occhi così

sai già che finirai per annegarci !

 

                                  Vincenzo Calafiore










Είχαν γεύση θάλασσας αυτά τα μάτια,

των κυμάτων που σκάνε στα δικά μου,

των καταιγίδων που περικλείονται στις λάμψεις

αυτών των χαμένων ματιών.

Ήξεραν για παραλίες και λιμάνια που δεν έφτασαν ποτέ

Από αναμονές, από αποτυχίες.

Από ναυάγια!

Γιατί όταν βλέπεις τη θάλασσα

σε ένα ζευγάρι μάτια σαν αυτό

ξέρεις ήδη ότι θα καταλήξεις να πνιγείς μέσα της!


                                  Vincenzo Calafiore









Sabían a mar esos ojos

de olas rompiendo en los míos,

De tormentas encerradas en los destellos

De esas pupilas perdidas.

Sabían de playas y puertos nunca alcanzados

De esperas, de fracasos.

De naufragios.

Porque cuando ves el mar

en unos ojos así

¡ya sabes que acabarás ahogándote en él!


                                  Vincenzo Calafiore









They tasted of the sea those eyes,

of waves crashing in mine,

Of storms enclosed in the gleams

Of those lost pupils.

They knew of beaches and ports never reached

Of waits, of failures.

Of shipwrecks!

Because when you see the sea

in a pair of eyes like that

you already know that you will end up drowning in it!


                                  Vincenzo Calafiore









Ils avaient le goût de la mer, ces yeux,

des vagues qui s'écrasent dans les miens,

Des tempêtes enfermées dans les lueurs

De ces pupilles perdues.

Ils connaissaient les plages et les ports jamais atteints

Des attentes, des échecs.

Des naufrages !

Car quand on voit la mer

dans une telle paire d'yeux

on sait déjà qu'on finira par s'y noyer !


                                  Vincenzo Calafiore











Esses olhos tinham gosto de mar,
de ondas batendo nos meus,
De tempestades encerradas nos brilhos
Daquelas pupilas perdidas.
Eles sabiam de praias e portos nunca alcançados
De esperas, de fracassos.
De naufrágios!
Porque quando você vê o mar
em um par de olhos como aquele
você já sabe que acabará se afogando nele!

                                  Vincenzo Calafiore








Sie schmeckten nach Meer, diese Augen,
von Wellen, die in meinen krachen,
Von Stürmen, eingeschlossen in den Schimmern
dieser verlorenen Pupillen.
Sie wussten von Stränden und Häfen, die nie erreicht wurden
Von Wartezeiten, von Misserfolgen.
Von Schiffswracks!
Denn wenn man das Meer sieht
in einem solchen Augenpaar sieht
weiß man schon, dass man darin ertrinken wird!

                                  Vincenzo Calafiore



mercoledì 5 giugno 2024


 

Vincenzo Calafiore

“ Io, Vincenzo Calafiore migrato a Udine, sempre provvisorio. “ 

 

Ora mi pare d’essere in paradiso, dopo i tanti giorni “ della merla” che mi avevano trascinato a forza dentro la tana, come una bestia perduta in una specie di lungo letargo; sono come un trapassato, in contemplazione e affisso a una eterna luce o vagante nell’aria mattutina frizzante,friulana.

Da dietro i vetri di un interno pregno di nostalgia, curvo sotto il peso della memoria, intento nel

mio volo sopra i cieli di un mondo lontano, e il mio breve mare ma grande come la vita; l’esistenza

lungo interminabili viali fioriti, scale e cortili, terrazzi di palazzi sotto nuvole svaporate trafitte di raggi arraggiati (arrabbiati).

Io, migrante ormai da una vita in terra friulana, mai stanco, mai sereno, mi pare in questa mia

“vecchiaia puttana” agitata e con tutto il tempo che voglio di lasciarmi andare al vizio antico quanto la mia vecchiaia di distaccarmi dal reale e di sognare.

Mi pare di muovermi tra la mia casa in riva al mare e gli scogli della “ scapezzolata”, forse per quel mio alzarmi presto d’estate e d’inverno, sereno o con il brutto tempo, ancora notte con le stelle che sbucano dal niente, piene di luce.

Ma come “cazzo fanno”, mi sono chiesto più volte, e da dove prendono tutta quella luce, e perché io ne ho così poca?

Mi vedo andare alla spiaggia, sedermi sopra un masso e aspettare l’alba, il sole che si alza lentamente sopra quel filo di lana scuro e dipana le tenebre, i sogni, le mie illusioni, riscopre le verità del mondo, la terra; illumina il mare dello Stretto di Messina che sogno e ronza come un ritornello di una bellissima canzone in testa.

Mare breve di uno Stretto, ma grande come un oceano e bello come la vita, come l’esistenza; solcato dai ferry-boat e barche, accarezzato da ogni vento che passa e va. Inciso nei suoi azzurri in luglio come in settembre dalla feluche ferme ognuna alla propria posta o erranti in un andare su e giù a caccia dello spada più bello, il più guerriero, per rinnovare il rito della battaglia tra l’uomo e il pesce più veloce.

Mi incanta quel mare che barbaglia gli occhi!

Ma è un sogno! Un sogno ricorrente nelle mie giornate barbare, allora vado a Trieste che ha lo stesso mare. Trieste svegliata e denudata dalla bora, e poi tornare a rintanarmi come una bestia nella mia tana; mi metto a lavorare ai miei ricordi come all’uncinetto e riaffiorano gli azzurri accesi e gli argenti dei tonni e alelonghe, aguglie, barche e feluche, lontri, a ritessere la magia dei ricordi miei, di una vita che ormai pian piano una vecchia puttana sta tirando a se.

Sono nato chissà dove,sopra quel breve filo di mare, questo infinito oceano di immagini e ricordi d’avventure, negli occhi miei scorrere come un vecchio film.

E c’era Mimmo ( Domenico) rinomato lanzatore, e poi Saro “ u pisci “ ( il pesce) per come nuotava e io “ Quinto Malatesta “ perché cantavo al mare. Noi che rubavamo le forchette in casa per farne delle fricine e infilzare pesci e polipi attorno agli scogli della “ scapezzo lata “.

Era l’istinto che ci portava nei fondali di quel mare, era come se ci portasse lo stesso destino, mare dello Stretto, dei pescispada appesi a testa in giù sopra veloci passerelle.

Poi morì Mimmo in un ottobre  triste, scolorito, come un pesce impigliato ad una rete; Saro se ne andò in un marzo piovoso consumato dalla cancrena nel suo letto … ed io qui al Nord dietro le finestre che si aprono ai ricordi suggeriti o riaccesi da Stefano Federico, compagno di banco, di Santa Caterina! , che rinverdisce dopo il suo salutarmi “ Ciao Marbizza “! E tutto cambia.

Vivo in silenzio, sottomesso alla nostalgia, sempre straniato ( straniero) legato con la mente alla sua terra, riva dello Stretto, invecchiato silenziosamente e scontento prigioniero.

C’è in me che dire, come una distanza, uno Stretto, Scilla e Cariddi fra cui ogni notte navigo e sogno, sempre più chiuso sempre più malinconico.

Fu allora che un giorno sul molo di Trieste a guardare il mare mi resi conto della mia vecchiezza, a quel mare donai tutto, passerelle, reti pieni sogni, illusioni e immaginazioni, desiderio di tornare tra le braccia di Scilla.

Ora nella mia casa a Udine, mi pare d’essere ridotto, tra pace e serenità del trapassato.

E vivo finché ho negli occhi il mio mare, di questo oceano grande come al vita, come la mia esistenza.

Come ci fosse il mare davanti a un computer!


Vincenzo Calafiore

"Yo, Vincenzo Calafiore emigré a Udine, siempre temporalmente. "  


Ahora parezco estar en el paraíso, después de los muchos días de "mirlo" que me habían arrastrado a la fuerza a la madriguera, como una bestia perdida en una especie de larga hibernación; soy como un transeúnte, contemplando y mirando fijamente una luz eterna o vagando en el aire crujiente de la mañana friulana.

Desde detrás del cristal de un interior lleno de nostalgia, doblegado bajo el peso de la memoria, atento en mi

mi vuelo sobre los cielos de un mundo lejano, y mi mar corto pero de tamaño natural; la existencia

a lo largo de interminables avenidas floridas, escaleras y patios, terrazas palaciegas bajo nubes vaporosas atravesadas por rayos furiosos.

Yo, emigrante de toda la vida en Friuli, nunca cansado, nunca sereno, me parece en este mi

agitada "vejez de puta" y con todo el tiempo que quiero, parece que me dejo llevar por el vicio tan viejo como mi vejez de desprenderme de la realidad y soñar.

Parece que me muevo entre mi casa junto al mar y las rocas de la 'scapezzolata', quizás por madrugar en verano y en invierno, despejado o con mal tiempo, noche quieta con las estrellas saliendo de la nada, llenas de luz.

Pero cómo "coño lo hacen", me he preguntado muchas veces, y de dónde sacan toda esa luz, y por qué yo tengo tan poca.

Me veo yendo a la playa, sentándome en lo alto de un peñasco y esperando el amanecer, el sol saliendo lentamente por encima de ese oscuro hilo de lana y desentrañando las tinieblas, los sueños, mis ilusiones, redescubriendo las verdades del mundo, de la tierra; ilumina el mar del Estrecho de Mesina, que sueño y tarareo como el estribillo de una hermosa canción en mi cabeza.

Mar corto de un Estrecho, pero tan grande como un océano y tan bello como la vida, como la existencia; surcado por transbordadores y barcas, acariciado por cada viento que pasa y se va. Grabado en sus azules en julio como en septiembre por felucas, cada una detenida en su puesto o vagando arriba y abajo a la caza de la espada más bella, la más guerrera, para renovar el ritual de la batalla entre el hombre y el pez más veloz.

¡Estoy encantado con ese mar que brilla en mis ojos!

¡Pero es un sueño! Un sueño recurrente en mis días bárbaros, así que voy a Trieste que tiene el mismo mar. Trieste despertada y desnudada por la bora, y entonces vuelvo a esconderme como una fiera en mi guarida; trabajo mis recuerdos como si los tejiera a ganchillo y resurgen los azules y plateados brillantes del atún y las alelongas, los garfios, las barcas y las felucas, las nutrias, para tejer la magia de mis recuerdos, de una vida que una vieja puta tira de ella lentamente.

Nací quién sabe dónde, sobre ese corto hilo de mar, este océano infinito de imágenes y recuerdos de aventuras, en mis ojos fluyendo como una vieja película.

Y allí estaba Mimmo (Domenico) el renombrado lanzatore, y luego Saro " u pisci " (el pez) por su forma de nadar, y yo " Quinto Malatesta " porque cantaba al mar. Robábamos tenedores en casa para hacer fricinas y ensartar peces y pulpos en las rocas del "scapezzo lata".

Era el instinto el que nos llevaba a las profundidades de aquel mar, era como si el mismo destino nos condujera allí, mar del Estrecho, de los peces espada colgados boca abajo sobre rápidas pasarelas.

Luego Mimmo murió en un octubre triste y descolorido, como un pez atrapado en una red; Saro se fue en un marzo lluvioso consumido por la gangrena en su lecho... y aquí estoy en el Norte tras las ventanas que se abren a los recuerdos sugeridos o reavivados por Stefano Federico, ¡compañero de escuela de Santa Caterina! que revive tras su saludo "¡Ciao Marbizza! Y todo cambia.

Vivo en silencio, sometido por la nostalgia, siempre enajenado ( un extranjero) atado con la mente a su tierra, riva dello Stretto, silenciosamente prisionero envejecido y descontento.

Hay en mí ese decir, como una distancia, un Estrecho, Escila y Caribdis entre los que cada noche navego y sueño, cada vez más cerrado, cada vez más melancólico.

Fue entonces cuando un día en el muelle de Trieste mirando al mar me di cuenta de mi vejez, a ese mar le di todo, pasarelas, redes llenas de sueños, ilusiones e imaginaciones, un deseo de volver a los brazos de Escila.

Ahora, en mi casa de Udine, parezco reducido, entre la paz y la serenidad del pasado.

Y vivo mientras tengo el mar en los ojos, este océano tan grande como la vida, como mi existencia.

¡Como el mar frente al ordenador!




*** Translated with www.DeepL.com/Translator (free version) ***

Vincenzo Calafiore

"Eu, Vincenzo Calafiore, migrei para Udine, sempre temporariamente. "  


Agora pareço estar no paraíso, depois dos muitos dias de "melro" que me arrastaram à força para a toca, como um animal perdido em uma espécie de longa hibernação; sou como um transeunte, contemplando e olhando para uma luz eterna ou vagando no ar fresco da manhã friulana.

Por trás do vidro de um interior repleto de nostalgia, curvado sob o peso da memória, atento ao meu

meu voo sobre os céus de um mundo distante e meu mar curto, mas de tamanho natural; existência

ao longo de infinitas avenidas floridas, escadas e pátios, terraços de palácios sob nuvens vaporosas perfuradas por raios furiosos.

Eu, um eterno migrante em Friuli, nunca cansado, nunca sereno, parece-me que nessa minha

"agitada 'velhice de prostituta' e com todo o tempo que quero, pareço me deixar levar pelo vício tão antigo quanto minha velhice de me desligar da realidade e sonhar.

Parece que me desloco entre minha casa à beira-mar e as rochas da "scapezzolata", talvez por me levantar cedo no verão e no inverno, com tempo claro ou ruim, noite tranquila com as estrelas surgindo do nada, cheias de luz.

Mas como "diabos eles fazem isso", eu já me perguntei muitas vezes, e de onde eles tiram toda essa luz, e por que eu tenho tão pouca?

Eu me vejo indo para a praia, sentando em cima de uma pedra e esperando o amanhecer, o sol subindo lentamente acima daquele fio escuro de lã e desvendando a escuridão, os sonhos, minhas ilusões, redescobrindo as verdades do mundo, a terra; ele ilumina o mar do Estreito de Messina, que eu sonho e cantarolo como um refrão de uma bela canção em minha cabeça.

Um mar curto de um estreito, mas tão grande quanto um oceano e tão belo quanto a vida, quanto a existência; lavrado por ferry-boats e barcos, acariciado por todo vento que passa e vai. Gravado em seus azuis em julho como em setembro pelas felucas, cada uma parada em seu posto ou vagando para cima e para baixo na caça da mais bela espada, a mais guerreira, para renovar o ritual da batalha entre o homem e o peixe mais veloz.

Estou encantado com esse mar que brilha em meus olhos!

Mas é um sonho! Um sonho recorrente em meus dias bárbaros, então vou para Trieste, que tem o mesmo mar. Trieste acordada e desnudada pela bora, e então volto a me esconder como uma fera em minha toca; trabalho em minhas memórias como se as estivesse crochetando e os azuis e pratas brilhantes de atum e alelongas, peixes-agulha, barcos e felucas, lontras, ressurgem para tecer a magia de minhas memórias, de uma vida que uma velha prostituta está lentamente puxando.

Nasci sabe-se lá onde, sobre esse curto fio de mar, esse oceano infinito de imagens e lembranças de aventuras, em meus olhos fluindo como um filme antigo.

E havia Mimmo (Domenico), o famoso lanzatore, e depois Saro "u pisci" (o peixe), por causa da maneira como nadava, e eu "Quinto Malatesta", porque cantava para o mar. Costumávamos roubar garfos em casa para fazer fricinas e enfiar peixes e polvos nas pedras do "scapezzo lata".

Era o instinto que nos levava às profundezas daquele mar, era como se o mesmo destino nos levasse até lá, o mar do Estreito, do peixe-espada pendurado de cabeça para baixo sobre passarelas rápidas.

Depois Mimmo morreu em um outubro triste e descolorido, como um peixe preso em uma rede; Saro partiu em um março chuvoso, consumido pela gangrena em sua cama... e aqui estou eu no Norte, atrás das janelas que se abrem para as lembranças sugeridas ou reavivadas por Stefano Federico, um colega de escola de Santa Caterina! que revive depois de sua saudação "Ciao Marbizza"! E tudo muda.

Vivo em silêncio, subjugado pela nostalgia, sempre distante (um estrangeiro) ligado com a mente à sua terra, riva dello Stretto, prisioneiro silencioso, idoso e descontente.

Há em mim aquela palavra, como uma distância, um estreito, Scylla e Charybdis entre os quais todas as noites eu navego e sonho, cada vez mais fechado, cada vez mais melancólico.

Foi então que, um dia, no píer de Trieste, olhando para o mar, percebi minha velhice; a esse mar dei tudo, passarelas, redes cheias de sonhos, ilusões e imaginações, um desejo de voltar aos braços de Scylla.

Agora, em minha casa em Udine, pareço estar reduzido, entre a paz e a serenidade do passado.

E vivo enquanto tiver meu mar em meus olhos, esse oceano tão grande quanto a vida, quanto minha existência.

Como o mar na frente de um computador!




*** Translated with www.DeepL.com/Translator (free version) ***

Vincenzo Calafiore

"Eu, Vincenzo Calafiore, migrei para Udine, sempre temporariamente. "  


Agora pareço estar no paraíso, depois dos muitos dias de "melro" que me arrastaram à força para a toca, como um animal perdido em uma espécie de longa hibernação; sou como um transeunte, contemplando e olhando para uma luz eterna ou vagando no ar fresco da manhã friulana.

Por trás do vidro de um interior repleto de nostalgia, curvado sob o peso da memória, atento ao meu

meu voo sobre os céus de um mundo distante e meu mar curto, mas de tamanho natural; existência

ao longo de infinitas avenidas floridas, escadas e pátios, terraços de palácios sob nuvens vaporosas perfuradas por raios furiosos.

Eu, um eterno migrante em Friuli, nunca cansado, nunca sereno, parece-me que nessa minha

"agitada 'velhice de prostituta' e com todo o tempo que quero, pareço me deixar levar pelo vício tão antigo quanto minha velhice de me desligar da realidade e sonhar.

Parece que me desloco entre minha casa à beira-mar e as rochas da "scapezzolata", talvez por me levantar cedo no verão e no inverno, com tempo claro ou ruim, noite tranquila com as estrelas surgindo do nada, cheias de luz.

Mas como "diabos eles fazem isso", eu já me perguntei muitas vezes, e de onde eles tiram toda essa luz, e por que eu tenho tão pouca?

Eu me vejo indo para a praia, sentando em cima de uma pedra e esperando o amanhecer, o sol subindo lentamente acima daquele fio escuro de lã e desvendando a escuridão, os sonhos, minhas ilusões, redescobrindo as verdades do mundo, a terra; ele ilumina o mar do Estreito de Messina, que eu sonho e cantarolo como um refrão de uma bela canção em minha cabeça.

Um mar curto de um estreito, mas tão grande quanto um oceano e tão belo quanto a vida, quanto a existência; lavrado por ferry-boats e barcos, acariciado por todo vento que passa e vai. Gravado em seus azuis em julho como em setembro pelas felucas, cada uma parada em seu posto ou vagando para cima e para baixo na caça da mais bela espada, a mais guerreira, para renovar o ritual da batalha entre o homem e o peixe mais veloz.

Estou encantado com esse mar que brilha em meus olhos!

Mas é um sonho! Um sonho recorrente em meus dias bárbaros, então vou para Trieste, que tem o mesmo mar. Trieste acordada e desnudada pela bora, e então volto a me esconder como uma fera em minha toca; trabalho em minhas memórias como se as estivesse crochetando e os azuis e pratas brilhantes de atum e alelongas, peixes-agulha, barcos e felucas, lontras, ressurgem para tecer a magia de minhas memórias, de uma vida que uma velha prostituta está lentamente puxando.

Nasci sabe-se lá onde, sobre esse curto fio de mar, esse oceano infinito de imagens e lembranças de aventuras, em meus olhos fluindo como um filme antigo.

E havia Mimmo (Domenico), o famoso lanzatore, e depois Saro "u pisci" (o peixe), por causa da maneira como nadava, e eu "Quinto Malatesta", porque cantava para o mar. Costumávamos roubar garfos em casa para fazer fricinas e enfiar peixes e polvos nas pedras do "scapezzo lata".

Era o instinto que nos levava às profundezas daquele mar, era como se o mesmo destino nos levasse até lá, o mar do Estreito, do peixe-espada pendurado de cabeça para baixo sobre passarelas rápidas.

Depois Mimmo morreu em um outubro triste e descolorido, como um peixe preso em uma rede; Saro partiu em um março chuvoso, consumido pela gangrena em sua cama... e aqui estou eu no Norte, atrás das janelas que se abrem para as lembranças sugeridas ou reavivadas por Stefano Federico, um colega de escola de Santa Caterina! que revive depois de sua saudação "Ciao Marbizza"! E tudo muda.

Vivo em silêncio, subjugado pela nostalgia, sempre distante (um estrangeiro) ligado com a mente à sua terra, riva dello Stretto, prisioneiro silencioso, idoso e descontente.

Há em mim aquela palavra, como uma distância, um estreito, Scylla e Charybdis entre os quais todas as noites eu navego e sonho, cada vez mais fechado, cada vez mais melancólico.

Foi então que, um dia, no píer de Trieste, olhando para o mar, percebi minha velhice; a esse mar dei tudo, passarelas, redes cheias de sonhos, ilusões e imaginações, um desejo de voltar aos braços de Scylla.

Agora, em minha casa em Udine, pareço estar reduzido, entre a paz e a serenidade do passado.

E vivo enquanto tiver meu mar em meus olhos, esse oceano tão grande quanto a vida, quanto minha existência.

Como o mar na frente de um computador!




*** Translated with www.DeepL.com/Translator (free version) ***


 Vincenzo Calafiore

"I, Vincenzo Calafiore migrated to Udine, always temporary. "  


Now I seem to be in paradise, after the many 'blackbird' days that had dragged me forcibly into the den, like a beast lost in a kind of long hibernation; I am like a passer-by, contemplating and staring into an eternal light or wandering in the crisp, Friulian morning air.

From behind the glass of an interior filled with nostalgia, bent under the weight of memory, intent in my

my flight over the skies of a distant world, and my short but life-sized sea; existence

along endless flowery avenues, stairways and courtyards, palace terraces under vaporous clouds pierced by angry rays.

I, a lifelong migrant in Friuli, never tired, never serene, it seems to me in this my

"agitated 'whore's old age' and with all the time I want, I seem to let myself go to the vice as old as my old age of detaching myself from reality and dreaming.

I seem to move between my house by the sea and the rocks of the 'scapezzolata', perhaps because of my getting up early in the summer and in the winter, clear or in bad weather, still night with the stars coming out of nowhere, full of light.

But how "the fuck do they do it", I have asked myself many times, and where do they get all that light from, and why do I have so little of it?

I see myself going to the beach, sitting on top of a boulder and waiting for dawn, the sun slowly rising above that dark thread of wool and unravelling the darkness, the dreams, my illusions, rediscovering the truths of the world, the earth; it illuminates the sea of the Strait of Messina that I dream of and hums like a refrain of a beautiful song in my head.

Short sea of a Strait, but as big as an ocean and as beautiful as life, as existence; ploughed by ferry-boats and boats, caressed by every wind that passes and goes. Engraved in its blues in July as in September by feluccas, each stopped at its own post or wandering up and down in the hunt for the most beautiful sword, the most warlike, to renew the ritual of the battle between man and the fastest fish.

I am enchanted by that sea that glimmers in my eyes!

But it is a dream! A recurring dream in my barbaric days, so I go to Trieste which has the same sea. Trieste woken up and stripped bare by the bora, and then I go back to hide like a beast in my den; I work on my memories as if crocheting them and the bright blues and silvers of tuna and alelongas, garfish, boats and feluccas, otters, resurface to weave the magic of my memories, of a life that an old whore is slowly pulling at it.

I was born who knows where, over that short thread of sea, this infinite ocean of images and memories of adventures, in my eyes flowing like an old film.

And there was Mimmo (Domenico) the renowned lanzatore, and then Saro " u pisci " (the fish) because of the way he swam, and I " Quinto Malatesta " because I sang to the sea. We used to steal forks at home to make fricinas and thread fish and octopuses around the rocks of the 'scapezzo lata'.

It was instinct that led us to the depths of that sea, it was as if the same destiny led us there, sea of the Straits, of the swordfish hanging upside down over fast gangways.

Then Mimmo died in a sad, discoloured October, like a fish caught in a net; Saro left in a rainy March consumed by gangrene in his bed ... and here I am in the North behind the windows that open to memories suggested or rekindled by Stefano Federico, a schoolmate from Santa Caterina! , who revives after his greeting "Ciao Marbizza"! And everything changes.

I live in silence, subdued by nostalgia, always estranged ( a foreigner) bound in mind to his land, riva dello Stretto, silently aged and discontented prisoner.

There is in me that saying, like a distance, a Strait, Scylla and Charybdis between which every night I sail and dream, ever more closed, ever more melancholic.

It was then that one day on the Trieste pier looking at the sea I realised my old age, to that sea I gave everything, gangways, nets full of dreams, illusions and imaginations, a desire to return to the arms of Scylla.

Now in my home in Udine, I seem to be reduced, between peace and serenity of the past.

And I live as long as I have my sea in my eyes, this ocean as big as life, as my existence.

Like the sea in front of a computer!




*** Translated with www.DeepL.com/Translator (free version) ***

Vincenzo Calafiore

" I, Vincenzo Calafiore migrated to Udine, always temporary. "  


Now I seem to be in paradise, after the many days " of the blackbird " that had dragged me forcibly inside the den, like a beast lost in a kind of long hibernation; I am like a pierced, in contemplation and affixed to an eternal light or wandering in the crisp,Friulian morning air.

From behind the panes of an interior filled with nostalgia, bent under the weight of memory, intent in

my flight above the skies of a distant world, and my short but life-sized sea; existence

along endless flowery avenues, stairways and courtyards, palace terraces under vaporous clouds pierced by angry (angry) rays.

I, a lifelong migrant now in the land of Friuli, never tired, never serene, it seems to me in this my

agitated "whore old age" with all the time I want to indulge in the vice as old as my old age of detaching myself from reality and dreaming.

I seem to move between my house by the sea and the rocks of the " scapezzolata," perhaps because of that early rising of mine in summer and winter, clear or in bad weather, still night with the stars coming out of nowhere, full of light.

But how "the fuck do they do it," I have asked myself many times, and where do they get all that light from, and why do I have so little?

I see myself going to the beach, sitting on top of a boulder and waiting for the sunrise, the sun slowly rising above that dark thread of wool and unraveling the darkness, the dreams, my illusions, rediscovering the truths of the world, the earth; illuminating the sea of the Strait of Messina that I dream and hum like a refrain of a beautiful song in my head.

Short sea of a Strait, but big as an ocean and beautiful as life, as existence; ploughed by ferry-boats and boats, caressed by every wind that passes and goes. Engraved in its blues in July as in September by feluccas stopped each at his own post or wandering in an up-and-down hunt for the most beautiful sword, the most warlike, to renew the ritual of the battle between man and the fastest fish.

I am enchanted by that sea that barbs the eyes!

But it is a dream! A recurring dream in my barbaric days, so I go to Trieste which has the same sea. Trieste awakened and denuded by the bora, and then back to holing up like a beast in my den; I work on my memories as if crocheting and the bright blues and silvers of tuna and alelongas, garfish, boats and feluccas, otters resurface, to weave the magic of my memories, of a life that now slowly an old whore is pulling at it.

I was born who knows where,over that short thread of sea, this endless ocean of images and memories of adventures, in my eyes flowing like an old movie.

And there was Mimmo ( Domenico) renowned lanzatore, and then Saro " u pisci " ( the fish) for how he swam and me " Quinto Malatesta " because I sang to the sea. We who used to steal forks at home to make fricine and stick fish and octopuses around the rocks of the " scapezzo lata ".

It was instinct that brought us to the depths of that sea, it was as if it brought us the same fate, sea of the Straits, of the swordfish hanging upside down over fast gangways.

Then Mimmo died in a sad, discolored October, like a fish entangled in a net; Saro left in a rainy March consumed by gangrene in his bed ... and I here in the North behind windows that open to memories suggested or rekindled by Stephen Federico, a classmate, from Santa Caterina! , greening up after his greeting of " Hello Marbizza "! And everything changes.

I live in silence, subjected to nostalgia, always estranged ( foreigner) bound with his mind to his land, shore of the Strait, silently aged and discontented prisoner.

There is in me that say, like a distance, a Strait, Scylla and Charybdis between which every night I sail and dream, more and more closed more and more melancholy.

It was then that one day on the pier in Trieste looking at the sea I realized my old age, to that sea I gave everything, gangways, nets full of dreams, illusions and imaginations, desire to return to the arms of Scylla.

Now in my home in Udine, I seem to be reduced, between peace and serenity of the past.

And I live as long as I have my sea in my eyes, of this ocean as large as life, as my existence.

As if there was the sea in front of a computer!




*** Translated with www.DeepL.com/Translator (free version) ***