In fine di agosto
di Vincenzo Calafiore
12 luglio 2016- Udine
“… e penso al tempo che ho perduto
agli anni sciupati, alle mancanze e ai sogni
dimenticati.
Ma lei, lei è sempre stata lì, dentro pupille stanche,
dentro un mare tempestoso che a volte l’avvicina a
volte
se la porta via! Allora riempio una pagina
lì dove sono le altre… amarla è un libro che non
finisco di scrivere! “
A volte in queste
giornate arse vado in cerca di quei paesaggi meridionali, di masserie
incastonate in mezzo a campagne brulle e assetate dove l’unico rumore è il
frinire delle cicale, orizzonti interrotti dalle chiome di maestose querce che
danno riparo ai passeri e asini stanchi.
Ricordo le mie
vacanze estive a Palermo, e lo sferragliare lento del treno su quel binario che
si perdeva nei disegni naturali del terreno, nelle strette gallerie e desolate
pianure; la vaporiera sbuffava e rompeva la monotonia, il respirare lento della
campagna.
Per alcuni tratti si
vedeva il mare, lontano…
Per certi versi la
ferrovia rompeva le sagome disegnate dall’uomo fino a quando entrava i stazione
e sul piazzale infuriava il torrido caldo di luglio, la città stritolata da
un’atmosfera pesante offriva squarci di
un’umanità stritolata dalla calura.
Ma sono solo che
ricordi, ormai pietrificati nella memoria che li propone forse a farmi
ricordare quei tempi di miseria e felicità e a fare un paragone con l’oggi dove
la follia è parte costitutiva dell’identità; ma la follia più grande e imperante è quel sentirsi straniero non
solo l’uno all’altro ma anche ciascuno con se stesso.
E’ come se ciascuno
fuggisse da se stesso come dal peggior nemico!
Momenti di
riflessione se ne hanno pochissimi e se c’è uno spazio vuoto siamo assaliti
dall’ansia e per colmarli invitiamo l’ospite nella casa, nella nostra vita,
nella nostra interiorità: il nichilismo.
Si è insinuato nel
presente, sempre più precario che il futuro non ha più significato e quando
manca lo scopo come ha insegnato Nietzsche, tutti i valori perdono valore.
Ci restano i ricordi,
le utopie e rinunciarvi è impossibile.
Le utopie vanno
difese perché se si ferma l’ipotesi che il mondo possa essere altro da quello
che è allora abbiamo ancora speranza! Se invece ci appiattiamo su quello che
siamo soliti chiamare sano realismo, allora stiamo fermi come treni in stazione
perché non abbiamo futuro.
Ora mi pare di essere
un vecchio arnese abbandonato in un fienile, e ripenso alla stanza della mia
giovinezza con le pareti dipinte dall’umidità, davanti a un paesaggio
allontanato dal tempo.
Sembra che dal recinto
in cui sono, reso inattingibile dalla distanza, parta un raggio che fa d’ogni
cosa vicina un orizzonte sereno a cui andare, tanto rassomigliante al volto
della donna che amo stagliato contro il
cielo … e si respira pure nella pace di angolo nell’ombra, la serenità sua con
il resto del mondo accartocciato come un presepe su un pendio nel vuoto.
Lei per certi versi è
profumo di una terra arcaica e dura nella sua secolare fissità che mi rimane
addosso; improvvise e incerte parole risuonano nell’acre odore di un’alba
sfinita già prima di nascere, descrivono il dolore, il grumo del passato che si
scioglie come neve al sole è un incantesimo che si ripete tutte le volte che
gli occhi incontrano il rigoglio di immagini, visioni, scandite come preghiera
del viaggio verso il cuore, verso l’esistenza!
Io e lei, abbiamo
ancora un briciolo di speranza, che il mondo in cui siamo possa essere altro da
quello che è stato!
E’ amore.
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