Qualcosa manca
Di Vincenzo Calafiore
20 luglio2016- Trieste
“ vallo a dire ai giovani d’oggi
cosa voglia dire felicità, che per noi
che da lì veniamo era tutto in un
bicchiere vuoto.
Vallo a dire che non c’è bisogno di
tanto
per conoscere la felicità che sta in un niente! “
Vincenzo Calafiore
( autore in cerca di autore)
Un tempo che io ricordi al mattino quando ci si alzava la prima cosa
che si faceva era quella di accendere la radio, noi in casa avevamo una “
Minerva” sintonizzata su una frequenza da cui ci giungevano le noti delle
grandi orchestre, c’era la musica che faceva bello il giorno, ed eravamo
poveri, tanto da come si diceva allora che si spaccava la lira in quattro.
Io amavo molto ascoltare Doris Day che cantava “ Que sera sera “ ancora
oggi la canticchio mentre mi sbarbo, o faccio qualcosa.
Sarà che mi sono invecchiato, ma il romanticismo , la melodia il sapore
della bella musica di un tempo ; le fantasie il colore che evocavano non le
trovo nella moderna musica che mette più tristezza che allegria, sa di vuotezza, l’ascolti e la dimentichi
subito.
Oggi è già un premio “svegliarsi “
è già un miracolo avvertire una stretta al cuore che non vuole essere un
campanello di allarme di qualche infarto in arrivo, è già un miracolo sentirsi
ancora “ umano “ e alla vecchia radio “ Minerva” si è sostituita prepotentemente
la televisione, invasiva con i suoi notiziari, con la sua programmazione per o
più di programmi deleteri, di tanta vuotezza, ma tanto utile alla formazione di
“ massa comune “ facilmente controllabile, troppo facilmente influenzabile.
Ci si alza e automaticamente, si accende questa maledetta scatola che
come una macchina del tempo ci porta repentinamente in ogni angolo della terra
da cui giungono solo che notizie di massacri, di attentati all’umanità, di
ruberie, della disonesta merdosa politica.
Certo, in tutto questo c’è un perverso disegno, perché mi pare che
siano proibiti cose come l’allegria, le buone notizie!
Oggi è già coraggio il solo vivere in questo merdaio.
“
Ab uno disces omnes
Da uno capisci come sono tutti ”.
Da uno capisci come sono tutti ”.
Sono in tanti a compiere gesti estremi come quello di togliersi la vita
o di toglierla ad altri, bambini compresi, troppa la violenza, troppa la
volgarità, troppa indecenza, troppe aspettative tradite, troppa solitudine,
troppa mancata umanità.
C’è qualcosa che non torna!
In queste notti dalle finestre spalancate al buio oppresse dalla
calura, notti da cui fuggire come da questa società anonima e spietata, crudele
ch come ingranaggio stritola e rilascia brandelli di umanità perduta.
C’è qualcosa che non torna in noi con quelle bocche grandi buone a
ferire o a tagliare amicizie, a succhiare vita altrui peggio della morte.
Allora che senso ha essere quel che non si è,
che senso ha essere ciò che con facilità si rappresenta se poi alla
prima occasione quel che era è già?
C’è troppo, tanto, molto, desiderio di violenza, tanto desiderio di
recare danno, tanto desiderio di ferire anche la parte migliore.
In queste notti bianche con gli occhi aperti al buio si manifestano
visioni di luoghi in cui ancora il “ niente” è ricchezza, e i significati
stanno nelle parole.
Parole che oggi a luce piena peggio delle spade mietono vittime, creano
vuoti, assenze.
Sarà che sono invecchiato, sarà che amo più il bicchiere vuoto che il
pieno, sarà che io spesso ritorno indietro e mi costringo a rientrare e a
indossare quella maledetta maschera che nasconde il mio viso e mi cambia in un
anonimo borghese piccolo piccolo anche quando in me si muovono tempeste!
E verrebbe voglia di scappare, non so dove, ma di scappare da questo
letamaio in continua fermentazione.
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