Nascosto dietro l’infinito
Di Vincenzo Cala
Fiore
19 Marzo 2017 Udine
( 100 pagine in una, un racconto da farsi)
Non ricordo più le
ore interminabili trascorse in mezzo a una pianura brulicante di mosche e api,
seduto sopra una terra arida, assetata di acqua, come me assetato di
conoscenza, ad aspettare e vedere passare il treno sollevare una grande nuvola
polverosa che come un sipario nascondeva la maestosa bellezza degli azzurri
chiari e scuri del mare.
Passava due volte al
giorno, la prima volta venendo dal nord e si poteva vedere frontalmente la
vaporiera che risaliva sbuffando la collina, lasciando di se pennacchi di fumo
nero che andavano via via dissolvendosi nell’aria, e il pomeriggio arrivava da
sud, si presentava sul mio fianco.
Capivo che stava
arrivando dall’aria spinta fuori dalla galleria che piegava l’erba più alta
bruciata dal sole.
Poco più in su c’era
la grande quercia ove trovavano rifugio i passeri e tordi sui rami più alti, e
gli asini invece si sdraiavano sulla terra nell’ombra; li ho sempre invidiati
per il loro sonnecchiare indisturbati lontani da ogni cosa, dal treno che
passava lentamente sferragliando fortemente, distanti dal tempo dai calendari
dagli orologi, liberi in mezzo a una prateria infinita come il mondo.
Spesso al sorgere del
sole mi incamminavo lungo lo schienale della collina passando vicino alla fila
di fichidindia buoni da mangiare dopo averli lasciati per ore in un catino
d’acqua fresca, per raggiungere il mare dopo aver attraversato di corsa la
lunga galleria; uscivo dall’altra parte e tutto cambiava.
Il mare sempre
spumeggiante non dava tante possibilità di raccogliere ricci attorno agli
scogli o di pescare le murene negli anfratti tra gli scogli; ma il più delle
volte si saliva io e i miei compagni sullo scoglio più alto per tuffarci e
scendere giù seguendo la linea scura dello scoglio e risalire prima che
scoppiassero i polmoni.
Quella si che era
vita, vita da asino come diceva mia madre.
Un colpo d’aria più
forte fa scivolare la tendina sopra il vetro, ed è come se una invisibile mano
l’avesse sganciata dalla presa della moletta, nascondendomi all’infinito appena
al di là dei vetri a cinque passi di fantasia.
Io e la mia sposa
velata, come quegli asini in quell’ombra circoscritta, non vuole lasciarmi in
quelle ombre velate di leggera cecità e si scusa proponendo ai miei occhi altre
visioni, altri luoghi, tutto in una stanza, l’inferno bianco.
Di notte le distanze
sono accorciate dai sogni che con gambe lunghe mi raggiungono facilmente dal
sipario mezzo aperto, in quel buio scevro di speranze, s’aprono varchi a lunghe
solitudini ove si raggrumano quei sogni mancati…. Chissà come sarà adesso la
mia collina, se ancora passa quel treno che non richiama quegli asini.
Sono pensieri
suggerite dal cuore come tutte le immaginazioni, quei sogni che come una
sottile ragnatela mi trattengono alla vita come una preda del ragno, come un
sogno, come verbena a un muro che cade a pezzi.
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