Quando i sogni, i desideri, si trasformano in parole
Di Vincenzo Calafiore
23 Marzo 2017 Trieste
Certi giorni mi rimprovero
la mia ostinazione a voler rimanere fuori dai “ giochi “ del mondo
dell’Editoria; certo mi farebbe piacere vedere il proprio libro esposto in
vetrina, è un’emozione unica del resto già provata diverse volte.
Così pure con il
teatro …. Sentire il rumore dei propri passi sul tavolaccio, avvertire il
respiro della platea che comprime il cuore e fa tremare la voce, a volte
riuscendo pure a bloccarla, a strozzarla in gola.
Ho da sempre pensato
che dopo la scalata al successo e alla notorietà, paragonati a una montagna, ci
sia poi la discesa, il declino, l’uscita
di scena…
Così da sempre e
liberamente scrivo per il piacere di scrivere, e di tanto in tanto apro un cassetto
ove sono riposti i miei “ inediti “ uno più bello dell’altro ancora con il
profumo delle notti trascorse a scriverli … ben dieci anni per cinque inediti.
E’ una specie di
geografia della narrazione, forse uno dei tanti percorsi della memoria che
asseconda una geografia dell’anima sin dai titoli forse.
Ma io non ci sono
riuscito a barattare la mia anima, la mia maniera di scrivere, per un pugno di
felicità momentanea, felicità come un mosaico variegato tra le cui tessere si
scorgono magiche visioni di una vita vissuta, ricordi personali.
Scrivo: ed ecco
dipanarsi da una tessera all’altra ricordi disseminati per le vie del cuore,
per le mie notti africane; ricordi che l’esercizio della memoria, porta su da
un fondale buio e freddo con la costanza di un fornaio che sforna pane
croccante e profumato, in un’epoca in cui tutto è commerciabile, vendibile, di
possibile scambio.
Penso alle mie scelte
ma anche a quelle “ piantine” umili nel cassetto al loro diritto di donare
emozioni, al mio lavoro da certosino a volte come una piacevole passeggiata
narrativa, mentre il mondo continua il suo corso come se quelle piantine e io
stesso non fossimo mai esistiti.
Trieste? No, assolutamente
no! La felicità sta oltre ciò che i miei occhi sentono e il mio cuore vede, i lettori
li chiamano libri, va bene anche a me; anche se dentro di essi si alternano
tanti altri racconti di memoria, racconti personali; io li chiamo emozioni.
Ma nella realtà mia
queste cose contano meno di un amore o di un’amicizia, le definizioni … la definizione serve per catalogare le cose,
ed io non sono un buon catalogatore.
Non ho mai dato che
il giusto peso e valore alle lodi, queste sono cose momentanee, quel che conta
sarà invece quel mio amore per la scrittura per dare con questa un senso alla
vita; poiché come accade e sempre accadrà coloro che lodano poi a un certo
punto non lo fanno più…. E la storia si ripete.
Ma questa è un’altra
storia.
Ci sono giorni invece
in cui esplode una forma strana di felicità per un sentire dentro, per amore o
per amicizia ed è un viaggiare che si fa sogno di un altrove a cui andare come
un ritorno a casa, che si traduce in un ciao o in un come stai, o in un ti amo.
Allora l’amore o
l’amicizia divengono “ racconto sottovoce “ e vita sottratta alla morte,
rifuggi di carta piene di parole e di odori di inchiostri e matite, voci di
musiche che esaltano quel “dentro”
sostanzialmente fatto di paure e timori, più di sottrazioni che di addizioni, più
di lontananze e distanze che di vicinanze; tutto dentro uno sguardo o una
carezza.
Ci sono io, schivo e
solitario, taciturno, più cencioso che lucido, ci sono io con i miei pensieri,
con le visioni di un altrove ove ancora è possibile amare o dare a una donna
felicità con un ti amo. Rimane così il conforto della meta raggiunta che si
confonde al sollievo del viaggio concluso: l’essere amato e non lodato.
Perché amare è, e,
sia solo viaggio per il luogo a cui tornare e non ripartire: a lei! L’amore che
fa degli occhi dighe pronte a cedere …. È felicità!
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