venerdì 28 febbraio 2025


 

La luna oltre la siepe

VINCENZO CALAFIORE

“ … sto commettendo lo stesso

errore di cui fin’ora ho incolpato

la mia stupida convinzione che l’amicizia

è il bene assoluto.

Mi sto compiacendo della mia delusione

e della sconfitta morale elaborata come

la cosa peggiore nel modo in cui i falsi

amici che detesto si compiacciono della loro

mediocrità. Stupidità è anche arrendersi

alla mediocrità. La fantasia che è generosità

per certi versi, oggi in questo mondo capovolto

e irrazionale è l’arma più micidiale, l’unico

spazio ove c’è la fuga dalle cose morte! “

                            Vincenzo Calafiore

 

 

Sto commettendo lo stesso errore di cui fin’ora ho incolpato la mia stupida convinzione che l’amicizia è il bene assoluto.

Mi sto compiacendo della mia delusione e della sconfitta morale elaborata come la cosa peggiore nel modo in cui i falsi amici che detesto si compiacciono della loro mediocrità. Stupidità è anche arrendersi alla mediocrità. La fantasia che è generosità per certi versi, oggi in questo mondo capovolto e irrazionale è l’arma più micidiale, l’unico spazio ove c’è la fuga dalle cose morte!

Più ci penso in questa notte illuminata da una luna gigante oltre la grande siepe della solitudine, e più mi convinco che un passato può tornare presente, rimettermi nelle esatte condizioni di spirito e di corpo che furono di un tempo.

Ci sono parole, silenzi e, gesti, voci che ritornano come se i tanti anni non mi dividessero

da quell’estate del ’73 !

Spensierata età, spensierata estate.

Jukebox ad alto volume e “ Sapore di sale “ ballato stretto stretto su una mattonella!

Mi colpiva la sua bellezza, un non so che di nitido, di primavera, ciò mi aveva meravigliato, sopraffatto.

L’ho sempre pensato che ci sono donne nate da particolari sortilegi della natura, che in stato di ebbrezza, si è divertita servendosi dei tratti e delle forme più belli per creare simile beltà.

In lei mi era sembrato prevalessero la disponibilità e la dolcezza; aveva una grazia che la rendeva particolare e allo stesso tempo sfuggente.

Di sera l’aspettavo seduto su una barca, pronta a prendere il largo … arrivava con il suo vestito indiano e si andava in un’ansa tra gli scogli a parlare ….. Erano dei bei “ vissuti indimenticabili momenti “ della piacevolezza e della beltà, insomma con lei mi trovavo serenamente a mio agio e provavo un gran benessere cose che solo certe rare donne sanno dare, non so perché ma mi trovavo con lei sempre mano nella mano o con una mano posata sulla sua spalla e mi piaceva questo mio gesto  che riusciva a darmi la bellissima sensazione di una lunghissima conoscenza reciproca.

Riuscivo a percepire il ritmo del suo respiro, il senso più intimo di un’esistenza destinata.

Per me era importante rendermi conto che stavo portando qualcuno per mano, con la voglia di essere amato, contraccambiato, oggi in questo mondo non capita quasi più, vi siamo disabituati.

Era così piacevole quel camminare insieme,ridendo e fermandoci a volte per darci un bacio.

Le mani non devono invecchiare mai! Devono rimanere adolescenti piene di desiderio del contatto, anche nel modo di amare.

La primavera era esplosa in mille fragranze e, noi continuammo a camminare, di strada in strada, respirando a fondo quei profumi che invadeva la città, sorridevo a vederla come una bambina a lasciarsi andare e a farsi cadere addosso quei profumi, quei fiocchi di futuro incerto.

Quando, guardandomi negli occhi mi disse: << Andiamo al mare, in barca. E facciamo l’amore?>>

Lo propose con la sua gioiosa consapevolezza, senza finzioni.

Essa era un mio intenso desiderio, che in una certa maniera prescindeva da me, cercava le sue provocazioni, i suoi spazi, senza che i buoni propositi della mente potessero farci nulla e ciò non rendeva volgare l’atto sessuale, al contrario.

Sapevo che accentando, mi sarei immerso in attese intemperanti e calde, una dimensione dove avrei potuto vivere altre mille vite…

La verità è che la “ Pegasus “ viaggiava in me attraverso meravigliosi spazi. Felice, felice anche di un nuovo mondo, un mondo in cui mettere piede!

 

martedì 25 febbraio 2025


 

Ancora una volta

Vincenzo Calafiore

Di nuovo, in piena notte, la sensazione di una presenza, senza nessuno intorno a me.

Sentivo i suoi passi. I passi di una donna.

Pensavo che non valesse la pena girarmi e vedere chi fosse, lei, lo sentivo in me assapora il piacere di rimanere al mio fianco.

Mi emozionava l’idea di essere seguito da questa sconosciuta, e con la stessa emozione la portavo per le vie della mia vita, spostandomi, tendevo l’orecchio, temendo di perderla da un momento all’altro, che svanisse la sua presenza.

Invece era lì docile e serena nella distanza giusta.

 Dal balcone si vedeva la luna, c’era la luna, bianca di cipria, con quella luce che è degli innamorati.

Mi fermo a guardarla, penso che lo stia facendo anche lei, la mia sconosciuta.

Persi nel medesimo incanto guardando all’insù.

Nel tempo, ormai questa storia va avanti da anni, è venuto a crearsi un dialogo silenzioso su certi significati e misteri dell’anima, legata allo spazio celeste.

Nel buio cerco il suo volto, poterne in qualche modo con la punta delle dita sfiorarlo, dopo aver forzato i confini del mistero …. Almeno comunicasse con me, mi dicesse una parola.

Il cielo concede una schiarita, piena di luce, ci sono solo io …. Immagino per un attimo il suo pudore, la sua incertezza, messa forse in imbarazzo dall’atmosfera intima creata dalla luna!

Quando la mia mano invisibile, le si insinuò lungo il collo, per le spalle, passando al seno. Lei alzò il mento e, rovesciando indietro la testa, subiva il piacere della carezza, con gli occhi incantati dalla luna. Le sollevo la falda del cappello, e insinuavo il viso, per darle un bacio sulle labbra.

A notte fonda, solo, davanti a un foglio bianco e una stilografica, pensando a un inizio, ripensando alle strane sensazioni vissute ad occhi chiusi, come a voler scrutare l’ignoto, capisco che la vita si porta come una gatta sotto il braccio, verso una precisa destinazione, attraverso tempi pieni di attese.

Mi piacerebbe prenderla nel sonno …!

E’ questa, sensazione addosso, o è un desiderio?

E’ un qualcosa che va al di là della superficie della vita, registro ogni suo senso, ogni sua emozione, sanno di intatto, di immacolato.

Forse tutto questo è un sogno che si è fatto ricordo.

Qui in questo remoto, è spuntato il giorno! Bocca amara, e posacenere pieno di sigarette consumate avidamente, sono ancora una volta solo con i miei delusi desideri.

Sono come un vino spento in un bicchiere!

Qui è essere ai confini dei confini.

E ancora una volta il giorno mi sorprende con la mia voglia di prendere in giro la mia vita, seduto a scrutare un tramonto: già anziano, ma coi lineamenti di un ragazzo che vuole prendere sotto braccio la vita ….. appunto … l’avanzare degli anni.

Sono posseduto da un’umanità di ombre, eppure ancora capace di ricordare, anche la più breve felicità o una malinconia.

Il giorno accende il mio volto e l’alone lo rende sospeso nell’ombra, rimango senza idee, perché vivere è una specie di idea, sorriderle, amarla con lo stesso stupore della prima volta!

Sono così felice!

Felice di seguire le nuvole, le forme stravaganti che assumono le nuvole.

Sono infinitamente grato a questa vita.

Vorrei dare alla gratitudine parole adeguate e, riesco a malapena ripetere a bassa voce come fosse una confessione.

“ Stanno per raggiungerti gli anni. Ti offriranno ancora desideri di complicità fra sopravvissuti in un mondo che non conosce più l’incanto. Ti faranno viaggiare e perfino fuori dal corpo e l’altro mondo diventa lontano o sfiorabile carezza che si potrebbe dare o ricevere.

Non confondere i veri amici coi ciarlatani sfruttatori e profittatori della magia, sappi distinguere senza paura. Prendili, accoglili come Folletti o come Chimere che continueranno a incantarti!

Ciao scrittore … Ciao scrittore mi ripete la mia donna ombra, poi aggiunge … si ero io a seguirti, ti seguo da una vita, a te piace essere seguito … farti mille ipotesi nella tua testa … inutili, perché sono sempre io a seguirti, perché in fondo, ti amo mio scrittore, ciao! “

 

 

 

 

 

domenica 23 febbraio 2025


 

La mia mediocrità

VINCENZO CALAFIORE

 

…. ricordo la mia casa, poco più avanti

i binari che si infilavano in una lunga galleria.

Appena oltre i binari  un lungo fossato finiva

sulla riva e c’era il mare.

Quante volte ho attraversato quella galleria

per raggiungere l’altro mare; dal promontorio

il salto più bello nel blu, ad occhi aperti e risalendo

seguendo la forma dello scoglio, potevo ammirare

i ricci di mare e granchi ….. “

                                                Vincenzo Calafiore

 

 

A un certo punto il mio male la teneva chiusa con le sue ragnatele, lì era stata custodita la mia adolescenza, sono stati custoditi i miei ricordi, la fionda, il coltellino, la mia cintura di cuoio, oggetti che hanno fatto parte di una vita andata persa assieme alla casa.

Accanto alla macchina da scrivere, la M80 la scatola con tutti i miei manoscritti, sul coperchio avevo scritto vistosamente “ Le storie di Enzo “.

Le lettere scritte a mia madre, invece sono conservate in una scatola azzurra. Sono lettere felici, come lo ero io.

Mi chiedo che fine faranno, in quale mani cadranno. Farei meglio a bruciare tutto.

Forse penso queste cose così brutte perché sono attraversato da una velenosa tempesta, proprio in questa notte magica, là fuori c’è un cielo splendente di stelle, l’aria è serena, profuma di tiglio, sono lì in fila, quando li piantai, li ho curati bene e legati a un alto tutore. Ora sono altissimi e svettano in cielo, mi regalano con il loro intenso profumo delle serate magiche, che in qualche modo mi riportano alla mia casa, alla mia adolescenza. Ma ora in questa mediocrità non sono più in grado o meglio guardando la vita con occhi diversi sono diventato un “ appartato” uno che non vuole più avere a che fare con la mediocrità in generale, preferendo la mia.

Il mio rimanere in questo stato mi ha evitato la forzata condivisione di pensiero con il resto, con l’intorno che non riconoscendosi mediocri si sentono gratificati e da gratificati vivono una parvente vita.

Ogni mattino l’eco mi porta lo sferragliare di un treno che corre veloce, e non posso fare a meno di pensare allo scorrere veloce dei giorni, degli anni. Ed ora eccomi sono come un treno fermo in stazione, che vorrebbe ripartire pur avendo accumulato moltissimo ritardo ed essere conscio di trovarsi su un binario morto.

Così più di una volta mi reco in stazione a vedere i treni partire e passare, immedesimandomi in un viaggiatore in attesa di un treno che mi porti da qualsiasi parte.

Davanti a un enorme specchio, per la prima volta nella mia vita mi sono visto interamente, non mi ero mai reso conto di quanto lavoro avesse compiuto il tempo, mi vedo diverso da come mi ero immaginato, i miei tratti hanno ceduto, la faccia è di un vecchio che chiede aiuto al suo grande giudice, quella faccia che non avrei mai voluto vedere, che avevo sperato fino all’ultimo di non vedere.

Poi la mia mente torna ai miei binari da cui è sempre possibile, con un colpo di testa, saltare sul primo treno che passa per sfuggire a questa umanità deludente.

Dell’umanità su quei binari sono presenti, e ben raffigurati, il passato e il presente, la realtà e la finzione, il normale corso delle cose e il presagio del soprannaturale; è un avanspettacolo da bassi fondi, deludente …

Si fa giorno, sul divano pieno di cuscini. Il sole filtra da una delle finestre è l’unica cosa viva, nel pulviscolo sospeso nell’aria i sogni si dissolvono nella penombra. Diventa parte viva di Marea ancora addormentata; la mia gelosia mi fa pensare ipoteticamente al suo corpo abbandonato in mani altrui, perdo il lume della ragione.

In bagno davanti allo specchio:

<< E’ un onore, per me >> esordisce l’immagine riflessa.

<< Lei è lo scrittore che più preferisco>>. Ho letto tutti i suoi libri e leggo ciò che scrive.

Amo quel suo stile incisivo! … E il suo coraggio di rimanere ancora qui alla Corte delle Anime Nane.

Sa perché l’amo? Perché lei non ha mai barato. Detesto le persone che barano, ecco perché la seguo come un’ombra, vorrei, voglio essere come lei.

L’osservo, la studio, ci deve essere da qualche parte un cifrario per poterla decifrare, solo così potrei trovare tutto quello che non dice nei suoi scritti ….

Passo una mano sugli occhi e quando li riapro spero che il mio riflesso sia andato via, e invece lo trovo ancora li con dei fogli in mano, comincia a leggere, sempre più incalzante, poi si ferma e mi dice: è bellissimo ciò che scrive, io non saprei da dove cominciare ecco perché l’amo!

 

giovedì 20 febbraio 2025


 

Al Vespro

VINCENZO CALAFIORE

 


All’imbrunire, gli ultimi raggi solari entrano in casa colorandola di rosso.

Seduto al tavolo cerco di leggere un buon libro, sorseggiando un buon cognac, senza riuscirci, perché la memoria martella la mente con i suoi incantesimi.

Non conoscevo tutti i suoi aspetti.

Quando si è giovani non c’è il tempo di rimanere con lei e ascoltarla. Ma, a questa età mia, pigra e svogliata, il tempo è divenuto prezioso, importante, tanto da non sprecarlo.

Questa è il tempo della ponderatezza, è un tempo di sospensioni e quindi si può dare ascolto e tempo alla memoria, lasciando alla “ grande vecchia” la possibilità di proporre le sue narrazioni.

Non è rimpianto. Non è di rimpianto che si tratta.

Mentre continua nelle sue stesure, la memoria, cerco di figurarmi il mio giudice, che leggerà la mia vita senza giudicarmi. Che rilievo potranno tutte le cose che ha appuntate? In apparenza nessuno. Eppure immagino il

            ( Il mio giudice )

mio “ gran togato” restarne coinvolto, possibilmente da me affascinato e una volta conquistato, non mi giudichi, non mi condanni. Penso, illudendomi, che là, nella mia memoria egli vada cercando fra le infinite righe di parole, quelle emozioni in grado di illuminare la sua vita che la mia.

In verità provo disaggio nel sentire il suo sguardo freddo, penetrante, addosso, e un confuso sentimento di amicizia e rammarico allo stesso tempo per il mio stravagante giudice.

In certi momenti vorrei incontrarlo, prenderlo per mano e condurlo nel mio labirinto, non quel labirinto ideato diabolicamente perché uno si perda; ma l’altro, quello della fantasia, la fantasia dello scrittore ove mi sono perso, per fargli provare l’oblio, una fuga dallo squallore del quotidiano a cui per una vita intera sono stato costretto, dalle delusioni che l’hanno assediata.

Sarà proprio lui, a cui basteranno le mie meravigliose immaginazioni per dar vita a un nuovo universo in cui collocarmi fino alla fine del mio viaggio.

Fosse per me tradurrei tutta la mia memoria in versi e, la sera, nelle ore del vespro rileggerla da una spiaggia al mare.

Ora ho in questo mio tempo lebbroso dar la caccia alle diverse vite che mi pare di aver vissuto.

Le ho annotate ai margini dei fogli del mio portolano, furtivamente, quasi timoroso che il mio giudice se ne accorgesse, non le ho mai cancellate, in effetti quei fogli hanno avuto da sempre il mio concetto d’universo!

Le mie < circostanze > !

Le riprendo, con una mia logica, seguendo una mia simmetria ragionevole. Lo sguardo cade nel vuoto dove è apparso il ricordo di una schiena rosea, natiche ben modellate, lunghe gambe che stringono le mie mani e sogno ad occhi aperti nei colori infuocati del vespro.

Allora, mi rendo conto di quanto sia bella la vita, è davvero bella, di una bellezza unica, semplice, pulita, straordinariamente al femminile!

La luce man mano lascia il suo posto alle tenebre, e mi trovo in un ambiente buio e polveroso, pieno di cose coperte disseminate qua e là, tuttavia la polvere con il suo pudore nel depositarsi e avvolgere le forme, viene messa in evidenza dal filo di luce che entrando da una fessura viola quella solitudine: la mia memoria ha aperto le sue stanze!

E quando vado ad aprire una finestra le forme manifestano tutta la loro grazia.

Alla luce si diffondono, variano le loro tinte con grandi macchie di colore qua e là, come le foglie e i fiori di un autunno mai profanato.

Ai mie piedi c’è un baule che conserva i sogni fantastici d’una età perduta: la mia adolescenza, cose che si sono salvate dall’oblio.

Sono rimasti chiusi 78 anni; sto per riaprirlo, ma mi fermo col cuore che prende a battere!

Il mio sguardo si fissa sul pavimento, dove in mezzo alla polvere galleggiano orme, impronte di piedi femminili, e subito capisco che sono i passi della mia gioventu!

mercoledì 19 febbraio 2025

 


La mia paura di esistere

 

Di Vincenzo Calafiore

19 Febbraio 2025 Udine

“ La mia mente sfoca sotto il fiume di immagini che cattura e mette a fuoco, registra. Guardando Udine, mi viene in mente la sua immobilità, il suo rimanere storia, la mia ansia di scrutare mi fa rimanere nelle mie retrocognizioni che mi consentono di trasformare questi attimi in un altro tempo, fino a rivivere emozioni del passato e del presente! “

 

 

 

 

 

In piedi nel primo albore dal balcone, fisso la città, la città in cui vivo, Udine avvolta nella sua  calma, in questa notte di febbraio, che sembra appartenere a un tempo indefinito.

Il profilo di Udine è chiaro, nitido, città femmina per eccellenza, con la sua storia di delizie e di drammi, che si porta addosso come una vedova.

Sto prendendo appunti diversi fra loro e tutti nella stessa direzione, con significazioni diverse.

Di notte, i pensieri diventano delle “ superfici vitree” su cui compaiono strani riflessi che ingannano gli occhi; registro i miei appunti, non so a cosa adesso possano servire, ma in futuro potrebbero essere usati per comporre una scala verso il cielo.

La mia mente sfoca sotto il fiume di immagini che cattura e mette a fuoco, registra.

Guardando Udine, mi viene in mente la sua immobilità, il suo rimanere storia. La mia ansia di scrutare mi fa rimanere nelle mie retrocognizioni che mi consentono di trasformare questi attimi in un altro tempo, fino a rivivere emozioni del passato, con un presente da inventare.

La penna per ora corre veloce sul foglio, l’inchiostro rosso è il sangue delle mie ferite, esita, si ferma, come se improvvisamente si cancellassero le immaginazioni in un vuoto temporale, preda di un’ansia strana come improvviso ritorno di un dolore dentro; mi sembra di essere come quello che si alza a camminare dopo una lunghissima malattia, a cui viene meno la mano di chi lo sorregge è, un cercare il giusto senso delle cose, del vivere.

Tra me e il buio c’è una lampada accesa sembra un faro a cui andare, come una falena cerco la luce di una verità nascosta come i grandi perché, come le grandi assenze dimenticate da Dio.

Da quando ho ricominciato a scrivere, dopo il mio mancato ritorno alle origini del mio tempo, mi ha ripreso una strana paura, me ne ero quasi dimenticato in questo anno e mezzo.

Tengo la lampada accesa per non perdermi tra le file di parole infilate come perle attorno a un verbo coniugato nella maniera più imperfetta. E’ una paura che mi porto dentro sin da ragazzo quando annotavo i miei pensieri su un quaderno, nella luce di una candela, che nel tempo sono diventati i miei portolani.

La lampada per me è un faro che splende su di me, una luce piena calda e rassicurante, come una immagine sacra protettiva.

Mi sorprende il silenzio che ho addosso e mi pare lo stesso silenzio che hanno i porti nella notte, quel silenzio fra le navi in rada, e lo assaporo con la stessa gaiezza di un delfino, avendo la sensazione che al fondo del silenzio giacessero i miei portolani, manoscritti che attendono di rivedere la luce e sentire il calore delle mani, e mi pare che le finestre che mi stavano scrutando con maligno, siano gli oblò di navi sommerse.. come la mia anima di navigatore, di ladro di coriandoli.

Mi piace scrivere ascoltando la Carmen di Bizet: vita, vienimi dietro, come se tu non vedessi ciò che sono, come se non vedessi ciò che vedrai … procedi in punta di piedi, da ballerina … scrivo, mentre le mie parole volavano in cielo, mi raggiunge l’eco di  …. Non ti scordar di me , la tempesta in me suscitata strappa le mie labbra.

Mi sono trovato, a distanza ravvicinata, con gli angeli, nei quali mi riconosco, specie in quei rosa mattinali su Udine, quei viola di nostalgia, quei bianchi sconfinati che s’infrangono sulle alte montagne, sono stordito, stanco!

Cambia tutto, cambiano le visioni, mentre risuona nella mente … Non ti scordar di me, il giorno che è giunto sulle ali di un vento gelido si trasforma in abisso e io pur restando in silenzio andavo a

quel cielo origine, mi sentivo trascinato dal mio buio dentro un precipizio.

Poi ho avuto la sensazione che una donna in nero con il viso coperto da un velo mi pedinasse.

Attraversavo Piazza San Giacomo o Piazza delle erbe, (perché un tempo vi si svolgeva il mercato delle verdure portate dai contadini), a quell’ora deserta.

Io camminavo e non sentivo il rumore dei miei passi. Alle mie spalle, invece, i passi della donna risuonavano. Se mi fermavo, si fermavano.

Tuttavia se mi arrestavo o proseguivo cercavo con naturalezza di far finta di non essere seguito, che dietro di me non ci fosse nessuno.

Non mi voltavo a guardare, avevo paura di scoprire chi fosse quella donna, ma sapevo in cuore mio che chiunque fosse, avrebbe continuato a seguirmi.

Mi rendo conto che la vita non è solamente bella è bellissima, di una bellezza unica, verginale. Tanto bella da essere vissuta senza ansie o ragioni da ritrovare se stessi in questo febbraio gelido e solitario.

Ma in fondo a questa mia felicità c’è lei la mia donna misteriosa e la sintonia con lei, profonda e simile al rapporto che si ha con una melodia  …. È sempre un qualcosa di indefinibile che ne definisce il destino!

La mia donna, in nero!

 

 

 

 

 

lunedì 17 febbraio 2025


 

Rendez-vous

VINCENZO CALAFIORE


Bisognerebbe averlo o trovarlo il coraggio di mettersi in disparte poiché è impossibile andarsene da questo mondo osceno, popolato di canaglie … un mondo in cui l’arrembaggio, l’appropriazione indebita, sono la normalità.

Andare via da qui e cercare altrove la felicità se mai dovesse esistere, averne anche voglia di felicità, in caso rubarla, sottrarla a chi la detiene senza amore, e poterla accendere con un po’ di ironia, con un prospero d’ironia, quando la brutale volgarità degli altri stringe in gola.

All’impiedi davanti a una finestra, vedo il vento piegare l’erba alta e  alberi alti, disposti su due file lungo una strada che si perde negli occhi assieme alle immagini di sogni perduti.

Mi guardo intorno, sto esattamente in mezzo a gente che è morta affondata, annegata nelle preoccupazioni di quattrini, ignorando la propria esistenza.

Ignoro. Da vocabolario: che non sa, che non conosce …

“ Qui addit scientiam, addit et dolorem “ chi sa, si procura solo che guai … Io per ciò e per salvarmi, non so niente, l’unica cosa da fare quando ci ci trova davanti a una canaglia o un manipolatore, è di non sapere assolutamente nulla, e questa mattina mi sento  un osso di seppia.

A volte penso che questa esistenza altro non sia che un’illusione, una costruzione continua dell’immaginario e che porta in concreto all’inesistente.

Questo pensiero nel tempo mio non mi ha fatto sentire solo, mi faceva sentire facente parte di un qualcosa, fosse anche un pensiero, a cui spesso sono andato ed era sempre una vita diversa.

La solitudine che ho addosso come un vestito, non mi ha mai spaventato, e il non averla mai temuta  dato una significativa svolta alla mia vita … ho davanti a me una nuova se pur vaga speranza!

Ma tu, tu non stancarti mai di aspettarmi, cercami dai tuoi mutevoli ovunque.

Cercami nei tuoi sogni ma di più nel tuo malinconico silenzio, non andar mai via dalla mia vita

Sed tu me exspectans non piget, mutatis me locis quaere.

Vide me in somniis tuis, sed magis in silentio melancholico tuo, numquam a vita mea recedens”

Quante volte te l’ho detto, perfino in piccoli ritagli di carta, infilati ovunque nelle crepe dei muri, della nostra stessa esistenza!

E mi pareva che la notte davanti a uno schermo di computer si facesse quieta intorno al mio perdermi e ritrovarmi in mondi paralleli accompagnato dalle note di una canzone che conosco a memoria.

E’ un ritrovarmi fra le parole e verbi che mi apparivano come fantasmi. Quieta persino e clemente intorno al gridare dell’anima, lassù nei cieli alti ove vagano le parole in attesa di essere usate.

Poi la vidi, lei, appoggiata con le spalle al muro confondersi con un gigantesco poster di tanti colori, nell’odore stagnante di un sigaro appoggiato sul portacenere; ne afferrai la figura, i tratti del volto sotto la fiammella di una candela che la rischiarava come una luna distante, irraggiungibile.

Sorrideva al vuoto attorno a me, e mi sembrò bellissima, e quando mi disse “ Ciao, ti amo”, ma col tono con cui ci si rivolge a un bambino sconosciuto, dovetti trattenermi per non correre a rifugiarmi tra le sue braccia, e anchio risposi “Ciao … anchio ti amo” come se una immane distanza ci separasse.

Dopo un sogno o una visione così avevo la mente rasa al suolo, la memoria bruciata, gli aspetti incapaci di darmi la sua fisionomia, cercavo di riemergere accanto a lei … quando mi chiese:

< Come ti chiami ? >

Glielo dissi. Le dissi quel nome con cui mi aveva chiamato sin dal primo momento, invocato infinite volte, con cui si era innamorata nella mente, nell’anima, di quel nome.

< Sei un bell’uomo. Avvicinati.>

Andai vicino fino a sentire il suo profumo sulla mia faccia.

< Di chi sei l’amore?>

Sollevò la mano e me la passò sui capelli. Poi mi trovai stretto  nel suo abbraccio.

Quella notte seppi quanto amore era andato perduto, mi ritrovai dentro una visione che mi levò il sonno. Ero nel buio più fondo a ridosso di un muro malato che fiancheggiava una strada solitaria, con chiazze sparse di luce lunare, fra mucchi di macerie e rifiuti, una strada morta, un sotterraneo del mondo da cui ho sempre voluto fuggire, che si specchiava nelle stelle lontane dalle mie mani, dai miei occhi … una voce antica, fredda , mi chiese: vorresti un’altra vita?

L’alba mi sorprese impiedi dietro i vetri con un caffè bollente e un sigaro ho pensato: è stata una notte stravolgente, ricca di antiche profezie un < rendez-vous > con la vita!

 

 

mercoledì 12 febbraio 2025


 

14 FEBBRAIO SAN VALENTINO

VINCENZO CALAFIORE

 

 

 

 



“ … il giorno precipita nello stagno

del silenzio come un sasso, i cerchi

nell’acqua si allargano sempre più,

si allontanano dalla riva … e penso

ai cerchi della mia vita che non si

fermano mai! “ Vincenzo Calafiore

 

 

Il giorno precipita nello stagno del silenzio come un sasso, i cerchi nell’acqua si allargano sempre più, si allontanano dalla riva … e penso ai cerchi della mia vita che non si fermano mai.

Sono le impalpabili lacerazioni, le sottili crepe tra la mente e il cuore, un territorio inesplorato dove è in gioco il senso elementare dell’esistenza … lacerazioni provocate da quella parola, Amore !

Io sono, ego sum!

Non so cosa io sia esattamente, dovendomi descrivere mi paragonerei probabilmente a una “ nebulosa “; probabilmente sarò un collezionista di curiosità. Curiosità della vita, del sapere, della conoscenza, che graziandomi mi allontanano da questo

“ rovescio di cose “ in cui non importano la sincerità di ciò che si prova e provo, né quanto è stato dato e do, tantomeno le pagine offerte che rallegrano il momento come un mazzo di fiori selvatici, che sono state scritte e ho scritto, continuerò a scriverle con la vana speranza che possano servire a risalire la china del baratro in cui ci troviamo, mi trovo.

Sono preso d’improvviso dalla voglia di tornare al mio sogno, quello della notte prima, a letto non stavo sognando e non riuscivo a prendere sonno.

A tenermi sveglio era la strana ansia che prende quando in piena notte senti nel cuore un dolore, muto, continuo come un sanguinamento, per il ricordo di un dolore antico, lo stesso che si prova quando si ama qualcuno più di ogni cosa al mondo e non ti parla, non ricorda nemmeno la tua esistenza.

Sono andato nello studio tra i miei viaggi col cuore che mi martellava; ho sentito un forte impulso di fuggire in uno di quei sogni disseminati sul piano della scrivania, ancora prima che la realtà che a poco a poco mi avrebbe circondato acquistasse altro spazio, altro tempo e in questi mi trasformasse in quello che più odio di me: un comune mortale nel fango!

Non sono riuscito a muovermi ero come pietrificato, per me fu come tornare indietro a quel dolore, un punto intatto della mia vita.

Ciò che scrivo, in modo volutamente semplice potrebbe sembrare una rappresentazione di immagini mentali, ma così non è!

Il dolore è il vero volto quando cala il sipario e il silenzio sul giorno, nelle ombre della notte coi suoi fantasmi che apparendomi cercano di consolarmi e mostrarmi come la mia esistenza avrebbe potuto essere, ed è qui che si consuma la tragedia notturna.

Ora con sincero divertimento, mi abbandono, dopo un buon cognac ai miei anni, lo faccio con ironia che condivido con il mio fantasma, che pare danzarmi in testa: capisco di essere un’onda che si è allungata troppo, oltre il limite sulla riva e non può più tornare al suo oceano-mare.

Brindo alle ore morte che facendo finta di esistere parlano della mia esistenza e lo fanno con la loro

< primordiale leggerezza> è una squallida trasfigurazione del mio vivere; ne raccolgo le emozioni che diventano parole di un foglio bianco, diventano racconto e tutti ora pare comprendono senza leggermi la maschera mia.

Si!

Un giorno lo sono stato clown del dolore e vassallo dell’illusione e mi esibivo nel cuore della notte nei sogni; in un continuo dissenso, in un certo senso l’essere clown di me stesso mi ha tenuto lontano, ignorato da un sistema, da un’esistenza fatta di vuoto, di assenza di radici, di difficoltà, di estraneità nei rapporti, nei sentimenti, di superbia, solitudine, tristezza.

Mi levo la maschera da clown, gli occhi arrossati non dal trucco, ma dalla commozione per quello che sto per dirti: ti Amo!

Io Amo … lo dissi allora, l’ho detto ieri, lo dico oggi …. Io amo, io ti amo!

Mio Dio che miracolo è mai l’amore?

E’ la danza del tamurè, ora adolescente, ora effervescenza, emozione, trattenuta dalle labbra, adesso sollecita la mia malinconia di non avertelo detto mai.

Io ti amo!

Ti amo con la magia del cuore, con la leggerezza di un sì, te lo dico in punta di labbra: io ti amo!

  

                                                          BUON SAN VALENTINO DONNA

14 DE FEBRERO DÍA DE SAN VALENTÍN

VICENTE CALAFIORE





“…el día cae en el estanque

del silencio como una piedra, los círculos

En el agua se esparcen cada vez más,

se alejan de la orilla…y creo

a los círculos de mi vida que no

¡Nunca se detienen! “ Vincenzo Calafiore



El día cae en el estanque del silencio como una piedra, los círculos en el agua se hacen cada vez más amplios alejándose de la orilla… y pienso en los círculos de mi vida que nunca se detienen.

Son las laceraciones impalpables, las grietas sutiles entre la mente y el corazón, un territorio inexplorado donde está en juego el sentido elemental de la existencia... ¡laceraciones provocadas por esa palabra, Amor!

¡Soy yo, ego sum!

No sé exactamente qué soy, si tuviera que describirme probablemente me compararía con una “nebulosa”; Probablemente seré un coleccionista de curiosidades. Curiosidad de la vida, del conocimiento, del aprendizaje, que por gracia me alejan de esto.

“reverso de las cosas” en el que no importa la sinceridad de lo que se siente y se siente, ni cuanto se haya dado y doy, mucho menos las páginas ofrecidas que alegran el momento como un ramo de flores silvestres, que se han escrito y he escrito, las seguiré escribiendo con la vana esperanza de que puedan servir para subir la pendiente del abismo en el que nos encontramos, me encuentro.

De pronto me invadió el deseo de volver a mi sueño, el de la noche anterior. En la cama no soñaba y no podía conciliar el sueño.

Lo que me mantenía despierto era la extraña ansiedad que te invade cuando, en mitad de la noche, sientes un dolor en el corazón, silencioso, continuo como un sangrado, por el recuerdo de un dolor antiguo, el mismo que sientes cuando amas a alguien más que a nada en el mundo y no te habla, ni siquiera recuerda tu existencia.

Fui al estudio entre mis viajes con el corazón palpitando fuerte; Sentí un fuerte deseo de escaparme a uno de esos sueños esparcidos por el escritorio, incluso antes de que la realidad que poco a poco me rodearía adquiriera más espacio, más tiempo y en estos me transformara en lo que más odio de mí: ¡un mortal común y corriente en el barro!

No podía moverme, estaba petrificada, para mí era como volver a ese dolor, a un punto intacto de mi vida.

Lo que escribo, de manera deliberadamente sencilla, podría parecer una representación de imágenes mentales, ¡pero no lo es!

El dolor es el verdadero rostro cuando cae el telón y el silencio en el día, en las sombras de la noche con sus fantasmas que se me aparecen y tratan de consolarme y mostrarme cómo pudo ser mi existencia, y es aquí donde ocurre la tragedia nocturna.

Ahora con sincera diversión, después de un buen coñac, me abandono a mis años, lo hago con la ironía que comparto con mi fantasma, que parece bailar en mi cabeza: comprendo que soy una ola que se ha estirado demasiado, más allá del límite de la orilla y ya no puede regresar a su océano-mar.

Brindo por las horas muertas que pretendiendo existir hablan de mi existencia y lo hacen con sus

<levancia primordial> es una sórdida transfiguración de mi vida; Recojo las emociones que se convierten en palabras en una hoja de papel en blanco, se convierten en una historia y ahora todo el mundo parece entender sin leer mi máscara.

¡Sí!

Un día fui un payaso del dolor y un vasallo de la ilusión y actué en la oscuridad de la noche en sueños; en un disenso continuo, en cierto sentido ser un payaso de mí mismo me ha mantenido distante, ignorado por un sistema, por una existencia hecha de vacío, de ausencia de raíces, de dificultad, de extrañamiento en las relaciones, en los sentimientos, de orgullo, de soledad, de tristeza.

Me quito la máscara de payaso, mis ojos están rojos no por el maquillaje, sino por la emoción de lo que estoy a punto de decirte: ¡Te amo!

Te amo… Lo dije entonces, lo dije ayer, lo digo hoy…. ¡Te amo, te amo!

Dios mío, ¿qué milagro es el amor?

Es la danza del tamurè, ahora adolescente, ahora efervescencia, emoción, retenida por los labios, ahora solicita mi melancolía por no haberte dicho nunca.

¡Te amo!

Te amo con la magia del corazón, con la ligereza de un sí, te lo digo con mis labios: ¡Te amo!


 FELIZ DÍA DE SAN VALENTÍN MUJER

FEBRUARY 14 VALENTINE'S DAY

VINCENZO CALAFIORE


“… the day falls into the pond

of silence like a stone, the circles

in the water grow wider and wider,

they move away from the shore … and I think

of the circles of my life that never

stop! “ Vincenzo Calafiore


The day falls into the pond of silence like a stone, the circles in the water grow wider and wider,

they move away from the shore … and I think of the circles of my life that never

stop.

They are the impalpable lacerations, the subtle cracks between the mind and the heart, an unexplored territory where the elementary meaning of existence is at stake … lacerations caused by that word, Love!

I am, ego sum!

I don't know what I am exactly, having to describe myself I would probably compare myself to a “nebula”; I will probably be a collector of curiosities. Curiosity of life, of knowledge, of learning, that by gracing me distance me from this

“reversal of things” in which the sincerity of what one feels and feels does not matter, nor how much has been given and I give, much less the pages offered that cheer the moment like a bouquet of wild flowers, that have been written and I have written, I will continue to write them with the vain hope that they can serve to climb the slope of the abyss in which we find ourselves, I find myself.

I am suddenly seized by the desire to return to my dream, the one from the night before, in bed I was not dreaming and I could not fall asleep.

What kept me awake was the strange anxiety that takes hold when in the middle of the night you feel a pain in your heart, silent, continuous like bleeding, for the memory of an ancient pain, the same one you feel when you love someone more than anything in the world and they don’t speak to you, they don’t even remember your existence.

I went to the study between my travels with my heart pounding; I felt a strong urge to escape into one of those dreams scattered across the desk, even before the reality that would gradually surround me acquired more space, more time and in these transformed me into what I hate most about myself: a common mortal in the mud!

I couldn't move, I was as if petrified, for me it was like going back to that pain, an intact point in my life.

What I write, in a deliberately simple way could seem like a representation of mental images, but it is not!

Pain is the true face when the curtain falls and silence on the day, in the shadows of the night with its ghosts that appear to me and try to console me and show me how my existence could have been, and it is here that the nocturnal tragedy takes place.

Now with sincere amusement, I abandon myself, after a good cognac to my years, I do it with irony that I share with my ghost, that seems to dance in my head: I understand that I am a wave that has stretched too far, beyond the limit on the shore and can no longer return to its ocean-sea.

I toast to the dead hours that pretending to exist speak of my existence and do so with their

< primordial lightness> it is a squalid transfiguration of my living; I collect the emotions that become words on a blank sheet, become a story and everyone now seems to understand without reading my mask.

Yes!

One day I was a clown of pain and a vassal of illusion and I performed in the middle of the night in dreams; in a continuous dissent, in a certain sense being a clown of myself has kept me away, ignored by a system, by an existence made of emptiness, of absence of roots, of difficulty, of extraneousness in relationships, in feelings, of pride, solitude, sadness.

I take off my clown mask, my eyes red not from makeup, but from the emotion of what I'm about to tell you: I Love You!

I Love ... I said it then, I said it yesterday, I say it today .... I love, I love you!

My God, what a miracle is love?

It's the dance of the tamurè, now adolescent, now effervescence, emotion, held back by the lips, now it solicits my melancholy for never having told you.

I love you!

I love you with the magic of the heart, with the lightness of a yes, I tell you on the tip of my lips: I love you!


HAPPY VALENTINE'S DAY WOMAN

14 FEBRUARIE ZIUA ÎNVALĂRȚIILOR

VINCENT CALAFIORE





„... ziua cade în iaz

de tăcere ca o piatră, cercurile

în apă se răspândesc din ce în ce mai mult,

se îndepărtează de țărm... și cred

la cercurile vieții mele care nu

nu se opresc niciodată! „Vincenzo Calafiore



Ziua cade în iazul tăcerii ca o piatră, cercurile din apă devin din ce în ce mai largi, îndepărtându-se de țărm... și mă gândesc la cercurile vieții mele care nu se opresc niciodată.

Sunt lacerațiile impalpabile, crăpăturile subtile dintre minte și inimă, un teritoriu neexplorat în care este în joc sensul elementar al existenței... lacerații provocate de acel cuvânt, Iubire!

Eu sunt, ego suma!

Nu stiu ce sunt exact, daca ar fi sa ma descriu probabil m-as compara cu o „nebuloasa”; Probabil voi fi un colecționar de curiozități. Curiozitatea vieții, a cunoașterii, a învățăturii, care prin har mă îndepărtează de asta

„reversul lucrurilor” în care nu contează sinceritatea a ceea ce se simte și a ceea ce se simte, nici cât s-a dat și eu dau, cu atât mai puțin paginile oferite care luminează momentul ca un buchet de flori sălbatice, care s-au scris și am scris, voi continua să le scriu cu speranța zadarnică că ele pot servi pentru a urca panta abisului în care ne regăsim.

M-a cuprins brusc dorinta de a reveni la visul meu, cel din noaptea dinainte In pat nu visam si nu puteam sa adorm.

Ceea ce m-a ținut treaz a fost neliniștea ciudată care te acoperă când, în miezul nopții, simți o durere în inimă, tăcută, continuă ca sângerarea, din amintirea unei dureri străvechi, aceeași pe care o simți când iubești pe cineva mai mult decât orice pe lume și nu-ți vorbește, nici măcar nu-ți amintesc de existența ta.

M-am dus la birou între călătorii cu inima bătând; Am simțit o dorință puternică de a evada într-unul dintre acele vise împrăștiate pe birou, chiar înainte ca realitatea care avea să mă înconjoare treptat să dobândească mai mult spațiu, mai mult timp și în acestea să mă transforme în ceea ce urăsc cel mai mult la mine: un muritor de rând în noroi!

Nu mă puteam mișca, eram împietrit, pentru mine era ca și cum mă întorc la acea durere, un punct intact din viața mea.

Ceea ce scriu, într-un mod voit simplu, ar putea părea o reprezentare a imaginilor mentale, dar nu este!

Durerea este adevărata față când cade cortina și tăcerea zilei, în umbra nopții cu fantomele ei care îmi apar și încearcă să mă consoleze și să-mi arate cum ar fi putut fi existența mea, și aici are loc tragedia nocturnă.

Acum cu sinceră amuzament, după un coniac bun, mă abandonez anilor mei, o fac cu o ironie pe care o împărtășesc cu fantoma mea, care parcă îmi dansează în cap: înțeleg că sunt un val care s-a întins prea mult, dincolo de limita de pe țărm și nu se mai poate întoarce în oceanul-mare al lui.

Toast pentru orele moarte care pretind că există vorbesc despre existența mea și fac asta cu lor

< ușurința primordială> este o transfigurare mizerabilă a vieții mele; Adun emoțiile care devin cuvinte pe o foaie goală de hârtie, ele devin o poveste și acum toată lumea pare să înțeleagă fără să-mi citească masca.

Da!

Într-o zi am fost un clovn al durerii și un vasal al iluziei și m-am jucat în plină noapte, în vise; într-o continuă disidență, într-un anume sens a fi clovn de mine m-a ținut distant, ignorat de un sistem, de o existență făcută din gol, din absența rădăcinilor, din dificultate, din înstrăinare în relații, în sentimente, din mândrie, singurătate, tristețe.

Îmi dau jos masca de clovn, ochii roșii nu din machiaj, ci din emoția a ceea ce sunt pe cale să-ți spun: te iubesc!

Iubesc... am spus-o atunci, am spus-o ieri, o spun azi... Te iubesc, te iubesc!

Doamne, ce miracol este iubirea?

Este dansul tamurèi, acum adolescent, acum efervescență, emoție, reținut de buze, acum îmi solicită melancolia pentru că nu ți-am spus niciodată.

Te iubesc!

Te iubesc cu magia inimii, cu ușurința unui da, îți spun cu buzele: te iubesc!


 LA MULȚI FEMEIE DE ZIUA VALENTINE’S

14 ΦΕΒΡΟΥΑΡΙΟΥ ΗΜΕΡΑ ΤΟΥ ΒΑΛΕΝΤΙΝΟΥ

VINCENT CALAFIORE





«…η μέρα πέφτει στη λίμνη

της σιωπής σαν πέτρα οι κύκλοι

στο νερό απλώνονται όλο και περισσότερο,

απομακρύνονται από την ακτή… και νομίζω

στους κύκλους της ζωής μου που δεν το κάνουν

δεν σταματούν ποτέ! « Vincenzo Calafiore



Η μέρα πέφτει στη λιμνούλα της σιωπής σαν πέτρα, οι κύκλοι στο νερό πλαταίνουν όλο και πιο πολύ, απομακρύνονται από την ακτή… και σκέφτομαι τους κύκλους της ζωής μου που δεν σταματούν ποτέ.

Είναι οι ανεπαίσθητες ρωγμές, οι λεπτές ρωγμές μεταξύ του μυαλού και της καρδιάς, μια ανεξερεύνητη περιοχή όπου διακυβεύεται το στοιχειώδες νόημα της ύπαρξης... ρήξεις που προκαλούνται από αυτή τη λέξη, Αγάπη!

Είμαι, εγώ άθροισμα!

Δεν ξέρω τι ακριβώς είμαι, αν έπρεπε να περιγράψω τον εαυτό μου, μάλλον θα με συγκρίνω με ένα "νεφέλωμα"? Μάλλον θα γίνω συλλέκτης περιέργειας. Η περιέργεια της ζωής, της γνώσης, της μάθησης, που κατά χάρη με απομακρύνουν από αυτό

«αντίστροφο πραγμάτων» όπου δεν έχει σημασία η ειλικρίνεια αυτού που νιώθει και αισθάνεται, ούτε το πόσα έχουν δοθεί και δίνω, πολύ λιγότερο οι σελίδες που προσφέρονται που φωτίζουν τη στιγμή σαν ένα μπουκέτο αγριολούλουδα, που έχουν γραφτεί και έχω γράψει, θα συνεχίσω να τις γράφω με τη μάταιη ελπίδα ότι μπορούν να χρησιμεύσουν για να σκαρφαλώσω στην πλαγιά που βρισκόμαστε.

Ξαφνικά με κυρίευσε η επιθυμία να επιστρέψω στο όνειρό μου, αυτό από το προηγούμενο βράδυ στο κρεβάτι που δεν ονειρευόμουν και δεν μπορούσα να κοιμηθώ.

Αυτό που με κράτησε ξύπνιο ήταν το περίεργο άγχος που σε κυριεύει όταν, στη μέση της νύχτας, νιώθεις έναν πόνο στην καρδιά σου, σιωπηλός, συνεχής σαν αιμορραγία, από τη μνήμη ενός αρχαίου πόνου, τον ίδιο που νιώθεις όταν αγαπάς κάποιον περισσότερο από οτιδήποτε άλλο στον κόσμο και δεν σου μιλάει, δεν θυμάται καν την ύπαρξή σου.

Πήγα στη μελέτη ανάμεσα στα ταξίδια μου με την καρδιά μου να χτυπάει δυνατά. Ένιωσα μια έντονη επιθυμία να δραπετεύσω σε ένα από εκείνα τα όνειρα που ήταν σκορπισμένα στην επιφάνεια του γραφείου, ακόμη και πριν η πραγματικότητα που θα με περιέβαλλε σταδιακά αποκτήσει περισσότερο χώρο, περισσότερο χρόνο και σε αυτά με μεταμορφώσει σε αυτό που μισώ περισσότερο στον εαυτό μου: έναν κοινό θνητή στη λάσπη!

Δεν μπορούσα να κουνηθώ, ήμουν απολιθωμένος, για μένα ήταν σαν να επιστρέφω σε εκείνον τον πόνο, ένα ανέπαφο σημείο της ζωής μου.

Αυτό που γράφω, με έναν εσκεμμένα απλό τρόπο, θα μπορούσε να φαίνεται σαν μια αναπαράσταση νοητικών εικόνων, αλλά δεν είναι!

Ο πόνος είναι το αληθινό πρόσωπο όταν πέφτει η αυλαία και η σιωπή τη μέρα, στις σκιές της νύχτας με τα φαντάσματά της που μου φαίνονται και προσπαθούν να με παρηγορήσουν και να μου δείξουν πώς θα μπορούσε να ήταν η ύπαρξή μου, και εδώ διαδραματίζεται η νυχτερινή τραγωδία.

Τώρα με ειλικρινή διασκέδαση, μετά από ένα καλό κονιάκ, εγκαταλείπω τον εαυτό μου στα χρόνια μου, το κάνω με ειρωνεία που μοιράζομαι με το φάντασμά μου, που μοιάζει να χορεύει στο κεφάλι μου: Καταλαβαίνω ότι είμαι ένα κύμα που έχει απλωθεί πάρα πολύ, πέρα ​​από το όριο στην ακτή και δεν μπορεί πια να επιστρέψει στον ωκεανό-θάλασσα του.

Φρυγανίζω τις νεκρές ώρες που παριστάνοντας την ύπαρξη μιλούν για την ύπαρξή μου και το κάνουν μαζί τους

Η <αρχέγονη ελαφρότητα> είναι μια άθλια μεταμόρφωση της ζωής μου. Συλλέγω τα συναισθήματα που γίνονται λέξεις σε ένα λευκό φύλλο χαρτιού, γίνονται ιστορία και τώρα όλοι φαίνεται να καταλαβαίνουν χωρίς να διαβάσουν τη μάσκα μου.

Ναί!

Μια μέρα ήμουν ένας κλόουν του πόνου και ένας υποτελής της ψευδαίσθησης και έπαιρνα το σκοτάδι της νύχτας στα όνειρα. Σε μια συνεχή διαφωνία, κατά μια έννοια το να είμαι κλόουν του εαυτού μου με κράτησε μακριά, αγνοημένο από ένα σύστημα, από μια ύπαρξη φτιαγμένη από κενό, από απουσία ριζών, από δυσκολία, από αποξένωση στις σχέσεις, σε συναισθήματα, περηφάνια, μοναξιά, θλίψη.

Βγάζω τη μάσκα του κλόουν, τα μάτια μου κόκκινα όχι από το μακιγιάζ, αλλά από τη συγκίνηση αυτού που πρόκειται να σου πω: Σ 'αγαπώ!

Αγαπώ… το είπα τότε, το είπα χθες, το λέω σήμερα…. Αγαπώ, σε αγαπώ!

Θεέ μου, τι θαύμα είναι η αγάπη;

Είναι ο χορός του ταμούρε, τώρα έφηβος, τώρα αναβρασμός, συγκίνηση, συγκρατημένος από τα χείλη, τώρα μου προκαλεί τη μελαγχολία που δεν σου το είπα ποτέ.

σε αγαπώ!

Σ' αγαπώ με τη μαγεία της καρδιάς, με την ελαφρότητα ενός ναι, σου λέω με τα χείλη μου: Σ 'αγαπώ!


 ΧΡΟΝΙΑ ΠΟΛΛΑ ΓΥΝΑΙΚΑ ΤΟΥ ΒΑΛΕΝΤΙΝΟΥ

14 בפברואר יום האהבה

וינסנט קלפיור





"...היום נופל לתוך הבריכה

של דממה כמו אבן, העיגולים

במים הם מתפשטים יותר ויותר,

הם מתרחקים מהחוף... ואני חושב

למעגלי חיי שלא

הם אף פעם לא מפסיקים! "וינצ'נזו קלפיורה



היום נופל אל בריכת הדממה כאבן, העיגולים במים מתרחבים ומתרחבים, מתרחקים מהחוף... ואני חושבת על מעגלי חיי שלא מפסיקים.

הם החתכים הבלתי ניתנים למוח, הסדקים העדינים בין המוח ללב, טריטוריה לא נחקרה שבה המשמעות היסודית של הקיום מונחת על כף המאזניים... קרעים שנגרמו על ידי המילה הזו, אהבה!

אני, סכום אגו!

אני לא יודע מה אני בדיוק, אם הייתי צריך לתאר את עצמי כנראה הייתי משווה את עצמי ל"ערפילית"; אני כנראה אהיה אספן של קוריוזים. סקרנות לחיים, לידע, ללמידה, שבחסד מרחיקים אותי מזה

"היפוך של דברים" שבו הכנות של מה שמרגישים ומרגישים לא חשובה, וגם לא כמה ניתן ואני נותן, על אחת כמה וכמה הדפים המוצעים שמאירים את הרגע כמו זר פרחי בר, ​​שנכתבו וכתבתי, אמשיך לכתוב אותם בתקווה שווא שהם יוכלו לשמש לטפס על מדרון התהום שבה אנו נמצאים.

פתאום התגבר עלי הרצון לחזור לחלום שלי, זה מהלילה הקודם במיטה לא חלמתי ולא הצלחתי להירדם.

מה שהחזיק אותי ער הייתה החרדה המוזרה שמגיעה בך כאשר באמצע הלילה אתה מרגיש כאב בלב, שקט, מתמשך כמו דימום, מזיכרון של כאב קדום, אותו החרדה שאתה מרגיש כשאתה אוהב מישהו יותר מכל דבר בעולם והוא לא מדבר איתך, אפילו לא זוכר את קיומך.

הלכתי לחדר העבודה בין מסעותי בלב דופק; הרגשתי דחף עז לברוח אל אחד מהחלומות המפוזרים על שולחן העבודה, עוד לפני שהמציאות שתוקף אותי בהדרגה רכשה יותר מקום, יותר זמן ובאלה הפכה אותי למה שאני הכי שונאת בעצמי: בן תמותה רגיל בבוץ!

לא יכולתי לזוז, הייתי מאובן, בשבילי זה היה כמו לחזור לכאב הזה, נקודה שלמה בחיי.

מה שאני כותב, בצורה פשוטה במתכוון, יכול להיראות כמו ייצוג של דימויים נפשיים, אבל זה לא!

הכאב הוא הפנים האמיתיות כשהמסך נופל ודומם ביום, בצללי הלילה עם רוחות הרפאים שלו שנראות לי ומנסות לנחם אותי ולהראות לי איך יכול היה להיות קיומי, וכאן מתרחשת הטרגדיה הלילית.

עכשיו בשעשוע כנה, אחרי קוניאק טוב, אני מפקיר את עצמי לשנים שלי, אני עושה את זה באירוניה שאני חולק עם רוח הרפאים שלי, שכאילו רוקדת לי בראש: אני מבין שאני גל שנמתח יותר מדי, מעבר לגבול על החוף ואינו יכול עוד לחזור לאוקיינוס-ים שלו.

אני כוסית לשעות המתות שההעמדת פנים מדברת על קיומי ועושה זאת עם שלהן

<קלילות ראשונית> היא שינוי צורה עלוב של חיי; אני אוסף את הרגשות שהופכים למילים על דף נייר ריק, הם הופכים לסיפור ועכשיו נראה שכולם מבינים בלי לקרוא את המסכה שלי.

כֵּן!

יום אחד הייתי ליצן של כאב ואסל של אשליה והופעתי באישון לילה בחלומות; בהתנגדות מתמשכת, במובן מסוים היותי ליצן של עצמי הרחיק אותי, התעלמה ממערכת, על ידי קיום שעשוי מריקנות, מהיעדר שורשים, מקושי, של ניכור במערכות יחסים, ברגשות, של גאווה, בדידות, עצב.

אני מסירה את מסכת הליצן שלי, העיניים שלי אדומות לא מאיפור, אלא מהרגש של מה שאני עומדת להגיד לך: אני אוהבת אותך!

אני אוהב... אמרתי את זה אז, אמרתי את זה אתמול, אני אומר את זה היום... אני אוהב, אני אוהב אותך!

אלוהים אדירים, איזה נס זו אהבה?

זה הריקוד של הטמורה, עכשיו מתבגר, עכשיו תסיסה, רגש, מעוכב על ידי השפתיים, עכשיו הוא מבקש את המלנכוליה שלי על שלא סיפרתי לך מעולם.

אני אוהב אותך!

אני אוהב אותך בקסם הלב, בקלילות של כן, אני אומר לך בשפתי: אני אוהב אותך!


 יום אהבה שמח אישה