Al Vespro
VINCENZO CALAFIORE
All’imbrunire, gli ultimi raggi solari entrano in casa colorandola di rosso.
Seduto al tavolo cerco di leggere un buon libro, sorseggiando un buon cognac, senza riuscirci, perché la memoria martella la mente con i suoi incantesimi.
Non conoscevo tutti i suoi aspetti.
Quando si è giovani non c’è il tempo di rimanere con lei e ascoltarla. Ma, a questa età mia, pigra e svogliata, il tempo è divenuto prezioso, importante, tanto da non sprecarlo.
Questa è il tempo della ponderatezza, è un tempo di sospensioni e quindi si può dare ascolto e tempo alla memoria, lasciando alla “ grande vecchia” la possibilità di proporre le sue narrazioni.
Non è rimpianto. Non è di rimpianto che si tratta.
Mentre continua nelle sue stesure, la memoria, cerco di figurarmi il mio giudice, che leggerà la mia vita senza giudicarmi. Che rilievo potranno tutte le cose che ha appuntate? In apparenza nessuno. Eppure immagino il
( Il mio giudice )
mio “ gran togato” restarne coinvolto, possibilmente da me affascinato e una volta conquistato, non mi giudichi, non mi condanni. Penso, illudendomi, che là, nella mia memoria egli vada cercando fra le infinite righe di parole, quelle emozioni in grado di illuminare la sua vita che la mia.
In verità provo disaggio nel sentire il suo sguardo freddo, penetrante, addosso, e un confuso sentimento di amicizia e rammarico allo stesso tempo per il mio stravagante giudice.
In certi momenti vorrei incontrarlo, prenderlo per mano e condurlo nel mio labirinto, non quel labirinto ideato diabolicamente perché uno si perda; ma l’altro, quello della fantasia, la fantasia dello scrittore ove mi sono perso, per fargli provare l’oblio, una fuga dallo squallore del quotidiano a cui per una vita intera sono stato costretto, dalle delusioni che l’hanno assediata.
Sarà proprio lui, a cui basteranno le mie meravigliose immaginazioni per dar vita a un nuovo universo in cui collocarmi fino alla fine del mio viaggio.
Fosse per me tradurrei tutta la mia memoria in versi e, la sera, nelle ore del vespro rileggerla da una spiaggia al mare.
Ora ho in questo mio tempo lebbroso dar la caccia alle diverse vite che mi pare di aver vissuto.
Le ho annotate ai margini dei fogli del mio portolano, furtivamente, quasi timoroso che il mio giudice se ne accorgesse, non le ho mai cancellate, in effetti quei fogli hanno avuto da sempre il mio concetto d’universo!
Le mie < circostanze > !
Le riprendo, con una mia logica, seguendo una mia simmetria ragionevole. Lo sguardo cade nel vuoto dove è apparso il ricordo di una schiena rosea, natiche ben modellate, lunghe gambe che stringono le mie mani e sogno ad occhi aperti nei colori infuocati del vespro.
Allora, mi rendo conto di quanto sia bella la vita, è davvero bella, di una bellezza unica, semplice, pulita, straordinariamente al femminile!
La luce man mano lascia il suo posto alle tenebre, e mi trovo in un ambiente buio e polveroso, pieno di cose coperte disseminate qua e là, tuttavia la polvere con il suo pudore nel depositarsi e avvolgere le forme, viene messa in evidenza dal filo di luce che entrando da una fessura viola quella solitudine: la mia memoria ha aperto le sue stanze!
E quando vado ad aprire una finestra le forme manifestano tutta la loro grazia.
Alla luce si diffondono, variano le loro tinte con grandi macchie di colore qua e là, come le foglie e i fiori di un autunno mai profanato.
Ai mie piedi c’è un baule che conserva i sogni fantastici d’una età perduta: la mia adolescenza, cose che si sono salvate dall’oblio.
Sono rimasti chiusi 78 anni; sto per riaprirlo, ma mi fermo col cuore che prende a battere!
Il mio sguardo si fissa sul pavimento, dove in mezzo alla polvere galleggiano orme, impronte di piedi femminili, e subito capisco che sono i passi della mia gioventu!
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