mercoledì 19 febbraio 2025

 


La mia paura di esistere

 

Di Vincenzo Calafiore

19 Febbraio 2025 Udine

“ La mia mente sfoca sotto il fiume di immagini che cattura e mette a fuoco, registra. Guardando Udine, mi viene in mente la sua immobilità, il suo rimanere storia, la mia ansia di scrutare mi fa rimanere nelle mie retrocognizioni che mi consentono di trasformare questi attimi in un altro tempo, fino a rivivere emozioni del passato e del presente! “

 

 

 

 

 

In piedi nel primo albore dal balcone, fisso la città, la città in cui vivo, Udine avvolta nella sua  calma, in questa notte di febbraio, che sembra appartenere a un tempo indefinito.

Il profilo di Udine è chiaro, nitido, città femmina per eccellenza, con la sua storia di delizie e di drammi, che si porta addosso come una vedova.

Sto prendendo appunti diversi fra loro e tutti nella stessa direzione, con significazioni diverse.

Di notte, i pensieri diventano delle “ superfici vitree” su cui compaiono strani riflessi che ingannano gli occhi; registro i miei appunti, non so a cosa adesso possano servire, ma in futuro potrebbero essere usati per comporre una scala verso il cielo.

La mia mente sfoca sotto il fiume di immagini che cattura e mette a fuoco, registra.

Guardando Udine, mi viene in mente la sua immobilità, il suo rimanere storia. La mia ansia di scrutare mi fa rimanere nelle mie retrocognizioni che mi consentono di trasformare questi attimi in un altro tempo, fino a rivivere emozioni del passato, con un presente da inventare.

La penna per ora corre veloce sul foglio, l’inchiostro rosso è il sangue delle mie ferite, esita, si ferma, come se improvvisamente si cancellassero le immaginazioni in un vuoto temporale, preda di un’ansia strana come improvviso ritorno di un dolore dentro; mi sembra di essere come quello che si alza a camminare dopo una lunghissima malattia, a cui viene meno la mano di chi lo sorregge è, un cercare il giusto senso delle cose, del vivere.

Tra me e il buio c’è una lampada accesa sembra un faro a cui andare, come una falena cerco la luce di una verità nascosta come i grandi perché, come le grandi assenze dimenticate da Dio.

Da quando ho ricominciato a scrivere, dopo il mio mancato ritorno alle origini del mio tempo, mi ha ripreso una strana paura, me ne ero quasi dimenticato in questo anno e mezzo.

Tengo la lampada accesa per non perdermi tra le file di parole infilate come perle attorno a un verbo coniugato nella maniera più imperfetta. E’ una paura che mi porto dentro sin da ragazzo quando annotavo i miei pensieri su un quaderno, nella luce di una candela, che nel tempo sono diventati i miei portolani.

La lampada per me è un faro che splende su di me, una luce piena calda e rassicurante, come una immagine sacra protettiva.

Mi sorprende il silenzio che ho addosso e mi pare lo stesso silenzio che hanno i porti nella notte, quel silenzio fra le navi in rada, e lo assaporo con la stessa gaiezza di un delfino, avendo la sensazione che al fondo del silenzio giacessero i miei portolani, manoscritti che attendono di rivedere la luce e sentire il calore delle mani, e mi pare che le finestre che mi stavano scrutando con maligno, siano gli oblò di navi sommerse.. come la mia anima di navigatore, di ladro di coriandoli.

Mi piace scrivere ascoltando la Carmen di Bizet: vita, vienimi dietro, come se tu non vedessi ciò che sono, come se non vedessi ciò che vedrai … procedi in punta di piedi, da ballerina … scrivo, mentre le mie parole volavano in cielo, mi raggiunge l’eco di  …. Non ti scordar di me , la tempesta in me suscitata strappa le mie labbra.

Mi sono trovato, a distanza ravvicinata, con gli angeli, nei quali mi riconosco, specie in quei rosa mattinali su Udine, quei viola di nostalgia, quei bianchi sconfinati che s’infrangono sulle alte montagne, sono stordito, stanco!

Cambia tutto, cambiano le visioni, mentre risuona nella mente … Non ti scordar di me, il giorno che è giunto sulle ali di un vento gelido si trasforma in abisso e io pur restando in silenzio andavo a

quel cielo origine, mi sentivo trascinato dal mio buio dentro un precipizio.

Poi ho avuto la sensazione che una donna in nero con il viso coperto da un velo mi pedinasse.

Attraversavo Piazza San Giacomo o Piazza delle erbe, (perché un tempo vi si svolgeva il mercato delle verdure portate dai contadini), a quell’ora deserta.

Io camminavo e non sentivo il rumore dei miei passi. Alle mie spalle, invece, i passi della donna risuonavano. Se mi fermavo, si fermavano.

Tuttavia se mi arrestavo o proseguivo cercavo con naturalezza di far finta di non essere seguito, che dietro di me non ci fosse nessuno.

Non mi voltavo a guardare, avevo paura di scoprire chi fosse quella donna, ma sapevo in cuore mio che chiunque fosse, avrebbe continuato a seguirmi.

Mi rendo conto che la vita non è solamente bella è bellissima, di una bellezza unica, verginale. Tanto bella da essere vissuta senza ansie o ragioni da ritrovare se stessi in questo febbraio gelido e solitario.

Ma in fondo a questa mia felicità c’è lei la mia donna misteriosa e la sintonia con lei, profonda e simile al rapporto che si ha con una melodia  …. È sempre un qualcosa di indefinibile che ne definisce il destino!

La mia donna, in nero!

 

 

 

 

 

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