Essere Eguali
di Vincenzo
Calafiore
Quante volte abbiamo sentito la magia emanata da una piccola ma grande
parola: uguaglianza! E quante altre volte, molte volte, abbiamo visto tradita
la sua essenza?
L’idea di essere “ eguali” già i greci
l’avevano probamente derivata dai loro “ diversi” : gli schiavi e i nemici sui
campi di battaglia. L’esistenza degli schiavi in quanto uguali fra loro produce
l’idea della libertà.
La – democrazia- osserva
Aristotele – nasce dall’idea che quanti sono eguali per un certo rispetto siano
assolutamente uguali, e in realtà, per il fatto che sono tutti egualmente
liberi, pensano di essere assolutamente eguali.
L’eguaglianza
greca è dunque figlia della libertà e questa è sorella gemella della schiavitù. Come il campo di
battaglia dunque offre a questa idea di eguaglianza, non solo il luogo in cui
esprimersi, ma anche la metafora attraverso cui pensarsi e rappresentarsi, così
la politica nei templi del potere assoluto.
Il combattimento politico si basa su due momenti
fondamentali, ( tanto per capirci ): la compattezza nel reggere l’urto nemico (
l’opposizione), e ancora la compattezza nella corsa all’assalto frontale. In
entrambi questi momenti è necessario che i combattenti si comportino in modo
esattamente uguale agli altri: la viltà di chi cede e il coraggio di chi
sopravanza; entrambi incrinano la forza d’urto comune che consiste nella
coesione e dunque fatali per tutti. Al suo interno ( politica) l’uguaglianza
significa perfetta intercambiabilità fra i membri e noi in Italia di questi
esempi potremmo averne a bizzeffe. Su questo principio si fonda, o si dovrebbe
fondare l’alternanza tra governanti e governati, cioè l’accesso alle cariche di
potere a turno da parte di tutti gli “eguali”.
Si pongono a questo punto due grossi problemi. Il
primo è che, se si deve essere uguali, occorre diventarlo: cioè rendere
compiuta quella equalizzante “virtù politica” che ciascuno possiede in potenza,
instaurare quella effettiva omogeneità morale e intellettuale che consenta al
corpo civico di funzionare, e a quello politico di combattere. Le leggi offrono
ai cittadini la falsariga, come diceva Protagora, su cui allineare la loro condotta, accalappiandoli
fin da bambini, mediante la legge, plasmando i migliori, i più forti tra loro,
e impastoiandoli e ammansendoli come leoni, li asserviamo dicendo loro che
bisogna essere uguali agli altri e che tale uguaglianza è il bello e il giusto, ma
disse anche "L'uomo è misura di tutte le cose: di
quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono".
L’eguaglianza se non altro come ideologia forte, è capace
di produrre forme di rappresentazione e di coesione sociale!
Chi è l’uguale?
L’eguaglianza si può rappresentare quindi solo sullo
sfondo del suo contrario, della differenza e della dissimmetria.
Aristotele offrì una articolazione sistematica e
precisa. “Uguale” è il cittadino greco, libero, maschio, adulto, dotato di una
rendita che gli consente di non dover vivere di lavoro salariato. Intorno a
questa eguaglianza si forma la costellazione “naturale” dei diversi. I barbari
e gli schiavi, in primo luogo: le due figure, che tendono a sovrapporsi nella
pratica sociale, sono da Aristotele accomunate per un loro deficit di logos (cioè, insieme, di ragione e di
lingua greca), quindi per mancanza del principio psicologico di
autodeterminazione. Poi le donne, che sono sì razionali, ma incapaci di una
deliberazione autonoma (anche qui, la teoria riflette una condizione sociale e
giuridica); i bambini provvisoriamente irrazionali fino alla maggiore età e
alla cooptazione nel club degli
“uguali”; infine i lavoratori salariati, che sono come “schiavi pubblici”, e
privi del tempo necessario per dedicarsi alle opere degli “uguali”, la politica
in primo luogo.
C’è infatti una tendenza dell’eguaglianza giuridica a
trasformarsi in eguaglianza di potere e di ricchezza, azzerando i dislivelli
sociali originari; e viceversa, un’opposta tendenza dei nobili e dei ricchi a
restringere a sé la sfera dell’eguaglianza, escludendone in tutti i sensi i
poveri e i plebei. Sono i principi opposti della democrazia radicale e
dell’oligarchia: “entrambe sciocchezze” – dice Aristotele, ma sciocchezze
pericolose, poiché in esse sta “il principio della rivoluzione”.
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