Luna spinosa
Di Vincenzo Calafiore
25 ottobre 2015-
Udine
Io che il mare
ricordo rassomigliarti vedo da un angolo perfetto, di una finestra abbandonata
su un vuoto di visioni, seguo le strane traiettorie disegnate in cielo dai
gabbiani; un tempo ormai lontano, mi bastava scrutare il lento movimento delle
nubi all’orizzonte, poco sopra gli scogli per capire se si poteva fare una
buona pesca, oppure ritirarsi al sicuro per sfuggire alla bufera.
La vita, ha seguito
il ritmo delle onde e l’intensità della luce del sole, piegandosi ai voleri di
luna spinosa solo quand’era tempo di fuggire lontano dentro le mie storie che
raccontavo.
Un tempo sì, che le
sapevo raccontare.
Era da poco che avevo
abbandonato il tavolaccio sul quale per anni seguii lo stesso percorso segnato
recitando ogni sera una storia diversa, inventata al momento.
Da istrione che ero la
mia voce era la impostavo bene, sapevo raccontare le storie con i toni e le
pause con cui un attore sa incantare la platea.
Voce profonda, resa
leggermente roca dalle sigarette fumate agli angoli delle strade di notte ad
aspettare luna spinosa, mentre lei giocando con la mia vita disegnava immaginarie
geometrie nell’aria con le dita che galleggiando se ne andavano via anche senza
corrente. Una notte sciolsi le vele e navigai in mezzo a quel mare pur di
raggiungerla: la mia luna spinosa.
Tornando in dietro
tutte le notti pensando che mi sarebbe piaciuto avere un figlio suo, per far
tornare il Natale, per raccontargli del mare con la mia voce roca, per
diventare nonno ancora capace di narrare fiabe.
Se ora all’improvviso
mi cadesse il cielo, come polvere bianca, gettata addosso, lo so io morirei
perché il cielo senza i suoi occhi non brillerebbe più.
Ma c’è in me quel
doloroso rumore, più forte delle onde sugli scogli, che non mi fa aprire le ali
per volare in alto nel cielo per raggiungerla, e come sogno finito precipito e
chissà se ci sarà una stella a salvarmi, se saprà abbracciarmi, se mi amerà o
che potrei amare.
Così adesso lo saprà dalle mie parole che si
muovono stanche in mezzo a quel mare che lei dall’alto, di notte illumina con
il suo sguardo sereno.
La felicità su quale
treno viaggia e chissà se si fermerà in questa stazione lontana dal cuore ove
un giorno mi sono fermato ad aspettarla; lo so lei passerà e come sempre in
fretta senza fermarsi. Passando il suo vento mi getterà in acqua gelida
costringendomi a nuotare dentro gli occhi suoi.
Forse per questo non
sono più sogno!
Di sogni non ce ne
sono più, forse perchè bianchi di polvere di cielo si nascondono agli occhi,
forse saranno a rimbalzare sulle bianche spumeggianti creste di onde, dure come
macigni che li fanno rimbalzare e tornare nelle mani di una dispensatrice
notturna.
Come un sogno viene e
così se ne va, vorrei farmi portare via nei suoi occhi piccoli e cerulei,
librarmi in cielo ed essere felice!
Allora, per essere
felice, mi bastava ascoltare la sua voce, ma ora sarebbe il caso che io
chiudessi gli occhi e provare a sognarti, mia luna spinosa.
In quel silenzio ove
tu mi hai lasciato attendo l’agguato mortale!
Chiusi nelle misure
dei ritratti si delineano i molti sogni, mentre piove in sordina in ogni luogo
del cuore.
E’in quel buio
davanti agli occhi, in quel pianto che non finisce mai serpeggia la malinconia,
un contrappunto amaro di dolcezza sfiorita dell’andare e tornare da quel grande
deserto di passato che non avrei voluto mai esplorare.
Guardo il cielo e mi
pare di leggere me stesso entro le strane geometrie di un pensiero, ebro
d’amore.
E’ l’inconveniente di
chi se n’è andato portandosi dentro il mare, come un santino nel portafoglio; a
volte mi pare di udire l’eco della sua voce chiamarmi da una conchiglia vuota,
a volte mi pare di udire il canto della risacca che risale e ridiscende
portandosi dietro ogni cosa.
Io della mia vita mi
lascio dentro!
Sento che parlandole
avrebbe tirato fuori antichi malesseri, tracce di antiche battaglie di una
lunga guerra ormai persa da entrambi: forse le distanze che non aveva mai
accettato!
Quasi con la dolcezza
di un tempo il sole si sta abbassando tra poco sarà all’orizzonte, sopra il
mare e come una fata comincerà a dipingerlo con tinte forti purpuree.
Certi
pomeriggi,quando mi alzo dalla scrivania, fisso nuvole bianche, con intensità e
ansia come quando si aspetta la sola visione: il mare; che sogno è poterlo
accarezzare con la mano, prenderlo con la tentazione di riempire le nuvole
sulle strade vuote e cupe dei silenzi o a volte si sente il profumo, avverto la
sua presenza anche negli occhi chiusi in una vita lontano dai luoghi e persone,
perduti e abbandonate.
Tutto dentro una
parola che in questa età poco ricordo
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