Esplorando le parole
Di Vincenzo Calafiore
20 ottobre 2015
A volte sogno e in
quel sogno mi perdo in certe latitudini ai confini di un mondo che cerco sempre
di raggiungere, in una stazione sperduta nel tempo.
E’ come dipingere un
paesaggio, un paesaggio di parole dai diversi colori, senza accorgermene
dipingo il mio volto certe volte a me sconosciuto e altre volte quasi
familiare, così accade a chi legge,scrive e racconta di libri.
Di scritto in
scritto, molti ancora nei cassetti, altri usciti, pian piano è passata la mia
vita, sto passando gli ultimi anni della mia vita a scrivere.
Certe notti di
bonaccia con le vele sgonfie di vento, rimango intrappolato in un mare che mi
fa paura, con la mente spenta come un faro sopra la crocietta dell’albero maestro,
sono buio nel buio con la gola serrata quasi a mancarmi il respiro.
Ascolto l’eco di
parole che mi ammaliano e mi commuovono e mi coinvolgono, fino a convincermi di
sentire la presenza di un’anima, un respiro lungo, ma è la carezza del buio!
Vado, insomma, da
quelle parole fondanti, che hanno fatto ad altri scoprire il piacere di
rimanere nel buio ove è possibile sentire il loro sapore di avventura, di
sogno; lo stesso sapore che aiuta ad aprirsi alla scoperta del mondo, del mio
mondo.
Conosco a memoria tutti
gli alfabeti del mio grande amore.
E’ un’apertura sul
suo mondo, su come sa e riesce a farmi ancora sognare.
Mi sento così misero,
così inutile distante dalle parole, distante dalla lettura, dalla conoscenza!
Leggo libri, come
quelli che scrivo al mondo che mi circonda, per leggere il mio amore, per
leggere un lettore attento, invisibile e sconosciuto ma sempre attorno dentro e
fuori di me.
Una volta pensai che
la scrittura fosse un essenza della realtà che potrebbe fare a meno della
realtà, che può sostituire ciò che non esiste o esiste, può rappresentare
un’assenza, costringere la realtà o l’assenza a presentarsi nella sua
inafferrabilità.
Fuggo da qualcosa.
Forse
dall’esteriorità, dalla società, dalle false idee, resto in quelle passioni nei
miei scritti; è forse meglio scriverle le parole che riescono a trattenere una
moralità limpida e chiara che pronunciarle dinanzi a una realtà fatta di inevitabile
contraddizioni e chiaroscuri.
Il disincanto di
certe notti, le solitudini, le disillusioni non negano ma filtrano come un
setaccio le gelatinose menzogne di un quotidiano meschino e gretto, la retorica
sentimentale con la quale il più delle volte si ingannano gli altri, e si
inganna se stessi; smascherando il vuoto su cui poggia la realtà, gli inganni
con i quali si vorrebbe celarlo senza accorgersi dell’amore che esiste e
resiste nonostante il baratro.
Da qui la necessità
di donare,
consegnare all’animo
altrui le mie parole!
E quindi è da qui da
quelle parole che da un mare di silenzio notturno vanno verso gli alfabeti a
raccontar d’amore, dai fondali di una lucidità che sa di presa di coscienza; da
qui l’ambiguità dell’ambivalenza scrittore-individuo che chiude tutte le albe
il libro con una difficile riflessione sul rapporto amore-esistenza; ma c’è
un’irresponsabilità poetica che facendo i conti con la realtà riconosce il
bisogno dei sogni di illuderci d’essere amati da una vita che cela l’inferno.
Mettono in evidenza
il continuo viaggio dell’uomo fra scrittura diurna in cui si batte per i valori
e i propri dei e quella notturna in cui si ferma per ascoltare le parole del
cuore, quelle suggerite dall’amore che lo allontanano dai demoni: i sosia che
abitano in fondo di ogni cuore anche quando sussurrano cose che smentiscono la
vita stessa.
Parole vergate in un
notturno per cancellare o celare l’addio lento a una sedia e a un tavolo, alle
penne e alle matite, ai fogli di carta appallottolati, agli occhi da naufrago, stanchi
di tante visioni di demoni che cercano e
distruggono quanto reggono l’amore per le parole che vorrò dirti fino a quando
gli occhi reggeranno la distanza del buio.
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