Quasi sempre accade
Di Vincenzo Calafiore
12Gennaio2017Udine
( 100 pagine in una)
“ io non morirò se sarò capace
di fermare i rimpianti e impedir loro
di sostituire i miei sogni. “ ( Calafiore)
Succede di
immaginarla, ed è come la vorresti, la sogni e continui a sognarla sperando di
rimanere rapito da quel sogno; poi cambia il vento e vai per mare lontano, e
non ricordi più il tuo sogno.
Quando un giorno non
so come, ma accade, quando meno te l’aspetti, senti da qualche parte una
risata, riconosci gli occhi ma più la loro maniera di guardare, di brillare,
riconosci le labbra che tanto hai baciato, accarezzate in punta di dita è lei
che è sgusciata via dal sogno e si materializzata lì proprio davanti agli occhi
tuoi, è cambiato tutto nuovamente ed è come un tornare in dietro velocemente,
come se si fosse riavvolto in un batter d’occhio la pellicola fino all’istante
di quando la prima volta l’hai sognata.
Quasi sempre accade
di cercare l’amore e al suo posto trovare un oceano grande di solitudine e
rimanere in quel mare con le vele vuote di vento chissà per quanto tempo.
Così in quegli anni
di solitudine forse anche per non morire, cominciai a scriverle lettere e
poesie, a raccontar di me di come ero diventato navigatore navigante che
inseguendola ha perduto la sua vita.
In questo sogno di
fine estate ci sei Tu, che amo e custodisco nel mio cuore; sei nelle mie mani
capaci di riempire interi fogli col tuo nome come fa la marea con la sabbia che
la copre e la scopre, la porta via e la deposita in altro luogo, in altro
altrove.
Ci sei tu nei miei
sogni dove soltanto per gli occhi tuoi attraverso le distanze sospeso tra cielo
e mare come funambolo ed è per te che ancora adesso riduco distanze e
solitudini, pane di ogni giorno di un tempo che non riesco più a controllare né
a fermarlo soltanto per un istante neanche con un ti amo, mentre tu sei già
nuovamente lontana.
Allora è un rimanere
quasi sempre in silenzio in mezzo a un silenzio che a volte uccide; sempre più
di bianco salino, sempre più di mare, sempre più lontananza.
Così riconosco l’amarezza
che confonde i profumi dell’aria che ti annuncia, nasconde agli occhi miei il
bianco gelsomino dei tuoi denti, ma più di tutto la brezza negli occhi tuoi.
Quella brezza che un
tempo mi faceva volare a pelo d’acqua verso sempre un nuovo altrove, un nuovo
incontro, quando ci giuravamo eterno amore.
Guardami ora e dimmi
che m’ami ancora!
Io sì lo riconosco
già da me d’essere ormai, uomo stanco di mare, di lottare contro tempeste e
quasi sempre sconfitto si rialza per riprendere in mano i remi per raggiungere
un mare tranquillo.
Forse non sono più
capace di amare, o tanto mi hanno cambiato le troppe distanze e solitudine in
cui per troppi anni sono rimasto in catene in attesa che da sole cadessero;
quante bugie mi sono inventate pur di farti apparire ancora agli occhi mie
quella che un giorno correndomi incontro disse di amarmi.
Anche solo per un
minuto, per poterti abbracciare, per un altro si, sarei capace di ricominciare
a remare, a tremare come quando ci amavamo in quel letto di rose nella nostra
conchiglia dorata.
Vorrei che fosse
amore, questo malinconico raccontar del sogno; ma è solo acqua che scorrendo mi
porta via.
Ora su questa
spiaggia dentro un tramonto da ricordare chissà perché le mani tornano a
scrivere sulla sabbia il tuo nome come fosse un foglio bianco, poi sale
lentamente la marea e comincia lentamente a sparire; il tuo ricordo è un quadro
su una parete da cui prima sono caduti gli stucchi, poi si sfaldò il colore,
caddero gli intonaci su altri quadri, altre immagini, altri sogni già a terra.
A fare ancora della
mia vita un sogno e di un sogno la mia reatà!
Ma tu, tu sei il
sogno più bello, sei un amapola che caparbiamente fiorisce sopra le macerie e
porta primavera conscio che sarà l’ultima primavera!
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