Quanto m’è dolce dirti, t’amo
Di Vincenzo Calafiore
24Gennaio2017Udine
( 100 pagine in una)
“ Lasciami sognare.
E’ lì che io e te senza maschera guardandoci così come
siamo ancora ci diciamo: t’amo! E’ lì che viviamo, dentro un sogno, dentro una
realtà che stranamente ci fa vivere, ci fa
sogno di un sogno più grande: la vita mia! “
Al di là dei vetri la scena è
sempre uguale, bigia, con il cielo ovattato e tetti bianchi; la prima sigaretta
con un’anta appena accostata, fuori c’è il freddo di gennaio e fumando ripenso
all’ultimo sogno che ha lasciato tracce di se impigliate nei rami secchi d’una
memoria quasi stanca.
Lontano da qualche
parte, il nuovo giorno s’appresta a divenire luce che dipana gli strani
intrecci malinconici che un’età sconosciuta comincia ad orlare i miei giorni;
certi risvegli hanno il sapore asprigno come di mela cotogna, di un tempo
raggrumato dentro certe distanze o lontananze alle quali non sono mai riuscito
a sfuggire.
Mi pare d’essere
attore dentro una nuova scena in attesa che si alzi il sipario!
Ripasso a memoria la
mia parte, rifaccio le prove del percorso stando bene attento a non voltar mai
le spalle alla platea che dall’altra parte oltre il muro di luce respira
impaziente e chiama la ribalta ….
Che tristezza!
Ripetere ormai le stesse cose in veste diversa di questa opera buffa.
Per fortuna, c’è
sempre un sogno di riserva il più bello, quello custodito gelosamente
all’occhio maligno del tempo, ed è l’amore che serbo in me per colei che da
buona funambola rimane sospesa ad un filo tra me e il mio eternarmi istrione in
uno scenario sempre nuovo.
Amarla è come andare
per mare, un mare cangiante e immenso, luminoso o minaccioso, calmo o
improvvisamente burrascoso; lei è quel patos che avverto ogni qual volta entro
in scena, senza un copione, a ruota libera come fossi malato di sana follia.
L’amo e sento in me
quel forte desiderio di allungare le braccia per poterla stringere anche se a
volte sguscia di mano per diventare mare che mi fa navigare sempre verso un “
oltre” o un nuovo “ altrove”.
Lo ripeto sempre
tutte le mattine al mio interlocutore riflesso nello specchio ” sono ormai come
una barca stanca di mare” è una verità che tengo nascosta agli occhi suoi così
capaci di sentire qualsiasi bisbiglio dell’anima.
Così accade ogni
volta che i miei occhi incrociano i suoi, è così forte il mio sentirla dentro
che dimentico il pantano che pian piano inesorabilmente risale la china fino a
quando mi coprirà interamente; questo strano gioco è un incontro senza fine con
quella realtà spiacevole che a volte mi fa essere attore di ieri, straniero
agli miei stessi.
Tutte le mattine
entrando in scena mi porto in tasca qualcosa di lei, è il mio lasciapassare o
il mio portafortuna per fare in modo di non cadere o di perdere i miei passi e
rimanere senza alcuna direzione, è come navigare al buio o senza sestante.
Immagino d’essere
ancora capace di remare e di trovarmi in mezzo al mare che più amo in cui
potermi lasciare andare nella corrente più forte che mi trascinerà in un lungo
viaggio da cui tornare diventa ogni volta più bello; e non importa quanto lunga
sia stata l’assenza, non importano i giorni macerati dalla tristezza o dalla
lunga attesa, l’importante è il tornare sempre e comunque da lei.
Ma ci sono giorni che
risvegliandomi non riesco a riconoscermi e mi scruto davanti a uno specchio
nella penombra di un angolo, e vedo un altro uomo al quale chiedere notizie di
un sentirsi felice; la sua risposta mi fa capire che ho vissuto come un
clandestino senza passaporto o un documento di riconoscimento che mi faccia
ricordare chi in realtà io sia.
Dalle mi tasche
fuoriescono angoli bianchi delle tante pagine di copioni già imparati a
memoria, provo ad estrarne una che rileggo ad alta voce, non è più una recita!
Non c’è più un palcoscenico né il pulsare di una platea che dal buio assiste al
mio lento declino.
Chissà se
Mangiafuoco, questa sera a fine spettacolo mi appenderà ad un chiodo o mi
getterà inerte nel carrozzone di coda assieme ad altre marionette tristemente
inanimate, silenziose e smarrite dietro i grandi occhi spalancati al buio.
E’ un canto
malinconicamente silenzioso, un treno dannatamente veloce questo tempo che va
in sembianze di quasi umanità; eppure c’è amore, c’è voglia di vivere, c’è
desiderio di sentire labbra con labbra e pelle con pelle dentro le spire d’una
età fugace.
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