La memoria del sangue
Di Vincenzo Calafiore
22 Giugno 2017 Udine
“ nessuna cosa finisce, quindi sorridi
perché è già accaduta
e riaccade, come l’Amore… “
Vincenzo Calafiore
Tutti i meriggi alla
stessa ora si sentiva il treno sferragliare lungo la prateria arsa dal sole e
si correva per vederlo sparire nella galleria stretta come un budello, senza
mai riuscirci perché una volta giunti in cima alla collina potevamo vedere solo
gli asini all’ombra degli alti eucalipti o di frondosi carrubi.
Lei , Claudia, che
chiamavamo “ lenticchia “ per via delle lentiggini che correvano da una parte
all’altra del viso sormontando il naso; portava i capelli raccolti in due
trecce bionde come le spighe di grano.
Era l’unica bambina del
nostro gruppo e tutti o quasi tutti eravamo innamorati di lei!
D’estate il sole bruciava
così forte che anche agli asini mettevano un cappello di paglia bucato per le orecchie; tutto si rallentava e c’era tanto
silenzio che si potevano udire le mosche ronzare, oltre che al piccolo ruscello
che incuneato tra due colline correva dritto fino a sparire sottoterra, era lì
che noi ragazzi trovavamo refrigerio facendo il bagno in mutande.
Che cosa fantastica la
vita allora…
<< Che ci fai
ancora qui, in questo buco di paese?>> disse Claudia, in piedi davanti al
letto.
<< Che ci fai tu,
io non me ne sono mai andato, che sei tornata a fare?>>
<< Per una vacanza,
poi torno ad andare via. Qui è rimasto tutto uguale come l’ho lasciato tanti
anni fa, è uguale tutto come a prima, l’abbeveratoio in cui facevamo i bagni,
la piazzetta. Alcuni sono andati via come me, ma tu no! Sei rimasto qui, in
questo buco paese sperduto tra i monti. >>
<< Si, sono rimasto
qui con la Claudia che ho amato e che ha preferito andar via, invece di restare…
>>
Dalle persiane socchiuse
entra la brezza che risalendo dal mare, gonfia le tende come fossero vele, lei,
si siede a bordo del letto e comincia a sbottonare la camicia, poi si alza e si
leva la sua maglietta bianca e torna a sdraiarsi al mio fianco.
Al tramonto fanno ritorno
le giumente e gli asini dai campi e come sempre si fermano all’abbeveratoio
prima di andare nelle stalle, nell’aria il frinire delle cicale, lei fuma
seduta sul davanzale della finestra.
<< E’ stato bello
ritornare tra le tue braccia, tutto come prima, mai dimenticato. E’ la memoria
del sangue, la memoria di quanto sei in me, ecco perché sono tornata in questo
buco di paese..>>
Il cielo trapuntato di
stelle così vicine da poter essere toccate con le mani, le nostre mani che si
cercano in un incanto che scendendo dal cielo fa sì che la memoria si riaccenda
e tornano in mente i primi baci dietro un fienile o in mezzo a un campo di
grano mietuto.
Torna l’età delle corse
in riva al ruscello ove il più delle volte attendevamo la sera, lo facevamo e
l’abbiamo fatto fino a quando non decise di lasciare tutto per un pugno di
menzogne.
La vita è qui, in questo
buco di paese, come lei lo ha chiamato, ma è qui che l’ho amata ora come ieri.
<< Adesso che fai,
come tutti gli altri, finite le vacanze tornerai a partire? >>
<< No, non partirò,
resterò qui in questo paese sulla cresta di un monte, resterò per
sempre..>>
Dal letto abbiamo
guardato la porzione di cielo dentro una finestra, senza dirci una parola,
sentendo la brezza che dal mare porta la salsedine; l’alba ci trova abbracciati
come è successo tanti anni fa, quando eravamo come adesso, infiniti!
In questo buco di paese
sulla cresta di un monte che da sempre sfida il cielo; come non fosse mai
andata via, lei si alza e torna con il caffè che solo lei sa fare a quella
maniera; la prima sigaretta.
Poi si vestì e davanti
allo specchio mi disse:
<< Vado in posta a
spedire un telegramma! >>
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