Di lei mi ricordo
tutto
Di Vincenzo Calafiore
06 Novembre 2018 Udine
“ … ti confesso una cosa,
proprio a te
che mi leggi. Devi sapere che
io scrivo
perché mi piace scrivere. E’
un dolce malanno
dal quale non guarirò mai e
almeno fino a quando
i miei occhi reggeranno. Non
pretendo nulla
da te, voglio solo che siano
motivo di coscienza
i miei scritti, che ti
inducano a pensare in maniera
diversa dal gregge.
Non voglio il solito inutile “
mi piace” è solo una
maniera di porsi sbagliata;
meglio un grazie o un
commento anche se attinente o
no, ma il
“ mi piace “ è ipocrita, una
cosa da non fare
specialmente con uno scritto,
storie di passaggi
esistenziali, come frammenti
di un affresco
assai più grande, che per
farlo ci vuole
tempo e il mio tempo è
notturno! “ Grazie
Vincenzo Calafiore
Di lei ricordo
tutto, perfino il ritmo del suo respirare, adesso non so se è la memoria a
proporlo o è perché tanto amandola ricordo ogni cosa di lei, anche la maniera
di come solo lei sappia prendere tra le mani il mio cuore, la maniera di
accarezzarmi con i suoi occhi che ancora adesso in questa mia età balorda e
ruffiana, per certi versi ingannevole visione di un
“Altrove” ancora da
raggiungere, da esplorare e viverci fino al prossimo sogno, fino alla prossima
vita; ormai sono solo che un vecchio che si rattoppa i giorni addosso, come
fossero loghi adesivi di città visitate sui vetri di una finestra.
Ma oggi anche il
tempo invecchia in fretta, passa rapidamente su noi o perde senso in questa era
veloce, sporca di sangue, arrugginita dalla smania di depredare e barattare
tutto, ogni cosa, persino i grandi sentimenti come l’amicizia, l’amore.
Io l’amo e più di
ogni cosa, con tutti i suoi se, con le domande, coi suoi sorrisi, con quegli
occhi che sanno come Circe ammaliare.
Io e lei nella
nostra terra dai confini sfumati e valori da ridefinire, la nostra terra
coinvolta in guerre vicine e lontane, Viviamo sempre in espressione di un amore
intramontabile, per un sempre - sì – che
sa di eterno, pur nella sua stessa brevità vitale.
E’ dunque così il
tempo è aria che muove in su e in giù, è respiro di labbra che si sfiorano in
una indimenticabile notte e lei la lascia esalare da labbra appena socchiuse in
attesa di un bacio!
Il tempo, l’acerrimo
nemico, tutto segna e riesce assieme ad essere lieve come la coscienza,
allusivo come i vocaboli e gli aggettivi scelti con cura per non ferirci, per
non finirci.
Così come in
Tristano Muore, Tristano si chiedeva: .. la vita appare un po’ qui un po’ là,
come meglio crede. Ma sono briciole, il problema è come raccoglierle, dopo, è
un mucchietto di sabbia e qual è il granello che sostiene l’altro?
E come capita, alla
fine di Tristano resta il suo profilo, un’impronta che ricorda l’ombra stampata
nella memoria.
Guardarla negli
occhi solamente, senza dire una parola, nel silenzio ascoltare i respiri lenti
come di chi sta adagiato nell’estasi, e poi nella poca luce di un chiarore
notturno con la punta delle dita seguire le linee del suo volto già imparato a
memoria e farlo solamente per sentirne leggero il pulsare del desiderio
sottopelle provenire da una meta ancora più lontana.
Trascorrere così una
sola notte sarebbe uguale ad altre mille d’amore, perché è proprio lì che sta
la bellezza, lì risiede la passione nell’attesa della pelle del passare delle
dita… e lei queste cose le sa, e rimane così in attesa come me dalla’altra parte
del mondo che svegliandomi la prima cosa che riesco a dirle è : ti amo! Tutto
ciò tuttavia è un “ notturno indiano” il fascino e il senso di un amore più
grande di noi stessi, è quella nota di indefinita nostalgia che vivo
accorgendomi dello scorrere lento e inesorabile della vita e allo stesso tempo
avvertire il mio essere indefinito.
Io sono un
controtempo che torna spesso alla realtà effettuale, a far la guardia alle
rovine,desolate ma umanissime del mio essere uomo che si oppone all’erosione,
ai muri e confini in cui questa società vorrebbe che fosse, ma perché l’inverno
dello scontento non sia soltanto protesta o acredine!
Mio Dio, quanto
sarebbe stato bello potergliele dire queste cose, invece di scriverle e alla mercé
di una platea distante, troppo distratta, avvezza alla consuetudine, che non
immagina neppure quanti mondi vi siano celati in ogni suo rigo di parole di
ogni scritto!
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