lunedì 5 novembre 2018


Di lei mi ricordo tutto

Di Vincenzo Calafiore
06 Novembre 2018 Udine

“ … ti confesso una cosa, proprio a te
che mi leggi. Devi sapere che io scrivo
perché mi piace scrivere. E’ un dolce malanno
dal quale non guarirò mai e almeno fino a quando
i miei occhi reggeranno. Non pretendo nulla
da te, voglio solo che siano motivo di coscienza
i miei scritti, che ti inducano a pensare in maniera
diversa dal gregge.
Non voglio il solito inutile “ mi piace” è solo una
maniera di porsi sbagliata; meglio un grazie o un
commento anche se attinente o no, ma il
“ mi piace “ è ipocrita, una cosa da non fare
specialmente con uno scritto, storie di passaggi
esistenziali, come frammenti di un affresco
assai più grande, che per farlo ci vuole
tempo e il mio tempo è notturno! “  Grazie
                                              Vincenzo Calafiore


Di lei ricordo tutto, perfino il ritmo del suo respirare, adesso non so se è la memoria a proporlo o è perché tanto amandola ricordo ogni cosa di lei, anche la maniera di come solo lei sappia prendere tra le mani il mio cuore, la maniera di accarezzarmi con i suoi occhi che ancora adesso in questa mia età balorda e ruffiana, per certi versi ingannevole visione di un
“Altrove” ancora da raggiungere, da esplorare e viverci fino al prossimo sogno, fino alla prossima vita; ormai sono solo che un vecchio che si rattoppa i giorni addosso, come fossero loghi adesivi di città visitate sui vetri di una finestra.
Ma oggi anche il tempo invecchia in fretta, passa rapidamente su noi o perde senso in questa era veloce, sporca di sangue, arrugginita dalla smania di depredare e barattare tutto, ogni cosa, persino i grandi sentimenti come l’amicizia, l’amore.
Io l’amo e più di ogni cosa, con tutti i suoi se, con le domande, coi suoi sorrisi, con quegli occhi che sanno come Circe ammaliare.
Io e lei nella nostra terra dai confini sfumati e valori da ridefinire, la nostra terra coinvolta in guerre vicine e lontane, Viviamo sempre in espressione di un amore intramontabile, per un sempre  - sì – che sa di eterno, pur nella sua stessa brevità vitale.
E’ dunque così il tempo è aria che muove in su e in giù, è respiro di labbra che si sfiorano in una indimenticabile notte e lei la lascia esalare da labbra appena socchiuse in attesa di un bacio!
Il tempo, l’acerrimo nemico, tutto segna e riesce assieme ad essere lieve come la coscienza, allusivo come i vocaboli e gli aggettivi scelti con cura per non ferirci, per non finirci.
Così come in Tristano Muore, Tristano si chiedeva: .. la vita appare un po’ qui un po’ là, come meglio crede. Ma sono briciole, il problema è come raccoglierle, dopo, è un mucchietto di sabbia e qual è il granello che sostiene l’altro?
E come capita, alla fine di Tristano resta il suo profilo, un’impronta che ricorda l’ombra stampata nella memoria.
Guardarla negli occhi solamente, senza dire una parola, nel silenzio ascoltare i respiri lenti come di chi sta adagiato nell’estasi, e poi nella poca luce di un chiarore notturno con la punta delle dita seguire le linee del suo volto già imparato a memoria e farlo solamente per sentirne leggero il pulsare del desiderio sottopelle provenire da una meta ancora più lontana.
Trascorrere così una sola notte sarebbe uguale ad altre mille d’amore, perché è proprio lì che sta la bellezza, lì risiede la passione nell’attesa della pelle del passare delle dita… e lei queste cose le sa, e rimane così in attesa come me dalla’altra parte del mondo che svegliandomi la prima cosa che riesco a dirle è : ti amo! Tutto ciò tuttavia è un “ notturno indiano” il fascino e il senso di un amore più grande di noi stessi, è quella nota di indefinita nostalgia che vivo accorgendomi dello scorrere lento e inesorabile della vita e allo stesso tempo avvertire il mio essere indefinito.
Io sono un controtempo che torna spesso alla realtà effettuale, a far la guardia alle rovine,desolate ma umanissime del mio essere uomo che si oppone all’erosione, ai muri e confini in cui questa società vorrebbe che fosse, ma perché l’inverno dello scontento non sia soltanto protesta o acredine!
Mio Dio, quanto sarebbe stato bello potergliele dire queste cose, invece di scriverle e alla mercé di una platea distante, troppo distratta, avvezza alla consuetudine, che non immagina neppure quanti mondi vi siano celati in ogni suo rigo di parole di ogni scritto!


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