Se mai ci fosse un sogno
Di Vincenzo Calafiore
23Dicembre2016Udine
In quel silenzio
ovattato risuonano gli echi di parole e risate, come se quei mondi che si
credono ormai perduti o dimenticati invece son lì e generosamente offrire
ancora dopo tante distanze tutta la loro vita.
E’ una strana
sensazione di estraneità dall’odierno, una tentata costruzione di una realtà
diversa sostenuta dagli affetti, ma nonostante tutto appare sfuggente,
irraggiungibile nella sua pienezza.
E’ una vita
“slegata”, tanto per lo smarrimento delle radici di famiglia nella terra
d’origine, tanto per la complessa ricerca di una condizione di serenità che mi
permetta di vivere serenamente ciò che rimane e che voglio sia continuità.
I luoghi dell’anima
non smettono mai di stupirmi coi loro impulsi costringono ad accendere la luce
e cominciare a scrivere conscio che forse non servirà a niente, è un giocare
d’azzardo la composizione di ogni rigo in cui volti reali scivolano già inghiotti dalla brevità lunga un secolo,
passano cose come comete.
Ma il ricordo più
bello o il volto più amato di una donna, madre o compagna di viaggio, come un
soffio di sogno s’impiglia nelle maglie della memoria e rimane in quel
sempiterno di vita pulviscolare ove immagini più care, sempre uguali e insieme
sempre altre, a comporre la storia degli affetti, lo spazio virtuale e vero
della vita, tra le cose tangibili e grumose e il vorticare alto nell’aria che
attende la fine di ogni viaggio.
Chiedermi sempre se
il senso che ho dato e continuo a dare al mio viaggio sia quello giusto, se ciò
che rimane di me sospeso in certe dimensioni che pian piano svaniscono come
inghiottite da strane maree che poi lo restituiscono, è un vagare sempre verso
mete di diverse emozioni, di nuovi approdi, di proibite sensazioni di ogni
giorno, di ogni notte, senza sosta, senza fine.
Ogni alba è l’aria
rarefatta di un tango, passionale, intimo, condiviso con chi più amo, passi e
geometrie sempre in evoluzione, come movimento, come ala che taglia il cielo
per disegnarne altri! Allora ecco che schiocca la magia del volare là dove
voglio essere e rimanerci solo per l’istante di sussurrare nel “ suo sogno” il
mio ti amo.
Così e chissà ormai
da quanti anni, da quanti secoli io faccio lo stesso viaggio di andare e
tornare sempre dentro lo schiudersi di occhi tanto amati, tanto desiderato
incontrare affinchè io possa avere un approdo o un appiglio, una motivazione
del mio esserci, del mio esistere, del mio amare.
E’ una presenza
costante, come il pensiero, come la ricerca di una sensualità che svenendo
cerca un angolo sicuro da cui poter fare ritorno senza rischiare di perdersi
assieme al mare di ricordi.
Ogni alba è il
momento più sacrale di una intimità preziosa in cui vivono le perdute esistenze
ma che a un cenno o lampo di luce tornano più forti di prima, è l’amore che
torna!
Tutto ciò ha in se il
piacere e la donazione dell’argonauta, di quell’andare e tornare tra cuore e
labbra, tra cuore e giorno, che separa e allontana coi suoi rumori, con li suoi
strani giochi che a volte mi fanno giocoliere, o trampoliere di palude,
funambolo sospeso sopra un mare che probabilmente cadendoci mi ingoierebbe
facendomi sparire e riapparire in un altro ti amo diverso, più profondo, più
intimo, più prezioso.
Non ho certezze, ma
un sogno e un approdo.
Che strana è la mia
vita, me lo dico tutte le volte davanti allo specchio mentre mi rado, è come
levarsi strati di magica follia, per vedere nuovamente come sono.
Mi fermo e noto nuove
rughe! Capisco che chissà da quanto tempo non do luce a quel volto riflesso
allo specchio che con la sua anima dagli occhi mi racconta di se, tra le spire
di fumo della prima sigaretta serrata nell’angolo destro delle labbra… è un
momento prezioso, come se si levasse il sipario di un avanspettacolo sommesso,
laborioso, in cui si muovono preziose intime felicità.
Dio, come sono
vecchio io!
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