R/51
Di Vincenzo
Calafiore
2Dicembre 2016 Udine
-9 !
Quelle mattine
profumate di pane.
Sono ritornato dopo
tanto tempo su quelle strade in discesa da cui si poteva vedere il mare, tornai
tenendo per mano la mia bambina, piccoli passi, uno dietro l’altro su un
marciapiede disseminato di buche; la volevo prendere in braccio, ma lei quella
strada in discesa la volle fare tutta a piedi.
Camminavamo io e mia
figlia per quelle strade del Rione di Santa Caterina, che mi videro bambino
scorazzare e giocare; io lo battezzai “ R/51 “ in quel periodo che potevo lasciarci le penne,
fu un tempo terribile fatto di solitudine e di isolamento, ma questa è un’altra
storia.
Camminavo per strada,
su marciapiede disseminato di buche, alberi cadenti, tanti ingressi, tante
vetrine, botteghe. Nulla era cambiato, come se il tempo si fosse fermato lì a
Rione Santa Caterina; ci sono tornato ormai vecchio è da lì che sono partito
per il mio lungo viaggio.
Ma c’è una strada che
amo di più, la strada del pane! Lì c’era un forno. Uno di quei forni poveri, spoglio
di tutto, entravi come in una grotta, c’era poca luce… oltre il piccolo bancone
di legno vecchio, assi levigate dalle borse, dai sacchi di farina scaricati a
spalle, una bilancia, dietro il forno da cui
“ Don Ciccio “ un uomo alto e grosso, capelli rossi tagliati cortissimi
e due occhi grandi come fanali, sfornava pane croccante e dorato, profumato che
metteva in grosse ceste di vimini foderate di tela juta, e coperte affinché il
pane si mantenesse caldo.
Ti accoglieva sempre
con il sorriso e la battuta pronta, per tutti metteva su una teglia di lamiera
pane caldo condito con olio e sale, e tutti grandi e piccini erano obbligati a
prenderne un pezzo.
Erano gli anni
cinquanta, e c’era stato un violento temporale faceva freddo, quella mattina…
Quel cappottino che
indossavo ( chissà quale bimbo lo aveva indossato prima) mi copriva appena le
ginocchia sbucciate e pelle ruvida, la cartella a tracolla, in realtà era una
vecchia borsa di un portalettere, lucidata ( con la crema per le calzature) e
rimessa a posto da mio padre.
I poveri, allora si
identificavano dai panni e dalle scarpe quasi sempre bucate.
Per andare a scuola
io e mio fratello maggiore e, i soliti compagni, ci passavamo davanti perché
lui ci aspettava seduto su una seggiola sfondata davanti alla sua bottega per
darci un panino caldo condito, era la nostra colazione, panino che consumavamo
prima di arrivare alla “ Villetta “ dove ancora oggi c’è la mia scuola.
Il pomeriggio dopo
aver fatto i compiti, sia d’estate che d’inverno giocavamo su quei marciapiedi
e campetti fino all’ora di cena; eravamo tutti della stessa razza: morti di
fame, poveracci.
Io amavo già andare
al mare e ci andavamo tutti, non solo per giocare, anche per raccogliere
lumache e patelle, ricci, il più delle
volte la nostra cena.
E’ un tempo che ormai
non c’è più, ma che vive ancora nella mia testa.
E’ un ricordo che mi
fa apprezzare quanto riesco a fare con le mie mani, senza chiedere aiuto mai a
nessuno; “ R/51 “ è stato una palestra, scuola di vita che mi fa ancora oggi
umile come lo ero allora. Di questi tempi, cioè nelle prossimità del Santo
Natale, allora, Don Ciccio faceva un pane speciale a forma di corona, croccante
e ambrata, era il pane del Natale che si divorava presto tanto era buono; là nella mia terra gli alberi sono carichi di
arance e mandarini, sembrano tante pepite d’oro, che trovavi appese sotto
l’albero, magari assieme a un paio di scarpe nuove, o di un pantaloncino ….
A guardare oggi il
Natale delle vetrine addobbate, tante luminarie, e allo stesso tempo vuote,
fredde come lo è la vita oggi, mi fanno rimpiangere i miei Natali miseri e
poveri, quando per strada si sentivano le zampogne dei pastori che scendevano
dalle montagne con le loro zampogne per guadagnare qualche lira.
Ma era l’aria
speciale! Un’aria di felicità, di gioia, di frenesia, del piacere di fermarsi
per strada a chiacchierare, dei profumi che dalle cucine si diffondevano lungo
le strade per mischiarsi a quello dei forni, delle pasticcerie sempre stracolme
di ogni bontà.
Era un Natale povero,
un Natale … Natale …. ed è quello a mancare oggi!
E ancora oggi è qui
nel mio cuore, come allora col suo incanto, con la sua attesa di Babbo Natale
con la speranza che mi portasse un trenino.
Il mio trenino nel cuore
che corre sui binari di una vita che poco sa di vita.
Come dimenticare,
quando tenevo in braccio la mia bambina e le raccontavo storie, e raccontavo di
Cometa, Ballerina, Fulmine, Donnola, Freccia, Saltarello,
Donato, Cupido, le renne che galoppavano
nel cielo per raggiungere tutti i bambini del mondo, quando la sentivo di notte la mia bambina
agitarsi nel letto in attesa di vederlo, Babbo Natale, ed è stato così bello
quando lo sentì arrivare in casa e lo vide pure andare via dopo aver mangiato
il pane e bevuto il latte che lei gli aveva lasciato su un tavolo, tanto era
Natale!
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