Che te ne fai?
Di Vincenzo Calafiore
21 Settembre 2017 Udine
La mente torna dove i ricordi si ammucchiano come foglie in
un angolo o come mare alla spiaggia, provocando malinconiche realtà ormai
affievolite o che sono andate sfumate nella fuliggine di un tempo implacabile.
E’ lo scenario a cui spesso mi affaccio come da un balcone o
come quando mi affacciavo a guardare il mare per pensare, per sentire il grande
respiro della vita.
Immancabilmente mi si presenta la nuda e cruda e
raccapricciante realtà, il Mangiafuoco delle favole che torna sempre e tutto
cambia.
Il pensarti è il canto solitario d’una megattera, è il
desiderio di cercarti o di ritrovarti, di incontrarti magari in qualche
stazione in attesa di prendere un treno che mi porterà a te.
Io e te altro non siamo che prigionieri di un amore che per
questo amore evadono o vorrebbero evadere scalando i muri alti delle prigioni a
cui costretti viviamo.
E’ così che si ama?
E’ così che si desidera?
E’ a questa maniera che si va incontro alla vita?
Se amare significa solitudine o tristezza,
lontananza e desiderio di ricongiungersi,
se l’amare è questo allora io Amo.
Vorrei in qualche modo svegliarmi e rendermi conto che non è
un sogno, che Mangiafuoco è stato sconfitto!, che finalmente la vita non è e
non sarà una finestra spalancata sul nulla.
Allora, comprensibile sarà il disaggio e lo sconforto quando
“ lei “ pone davanti a scenari improbabili, di conflitti più per effimeri
interessi che per la pace, di disuguaglianze e di ingiustizie, di carceri e
carcerieri capaci di torturare e uccidere un’altra vita.
Ricorro all’oppio di sempre: all’amore! Per sentirmi bene,
per riuscire a dare una giustificazione alla permanenza dell’uomo su questa
zolla di terra sospesa in un oceano di altri oceani.
E anche qui in questo amore, c’è vita e c’è speranza, quella
che ti porta a letto e rimane a frullare in testa, la speranza che porta sogni,
la speranza che dona e non leva che è a sua volta sconfitta già ai primi albori
quando giungono gli echi di lontane battaglie.
La miseria di tutte le miserie e povertà a portata di mano.
La povertà che vede donne svendute sui marciapiedi e chiese
sempre più vuote di anime e di passeri; sull’altra sponda invece l’opulenza e
muri alti, recinti, innalzati a difesa di un qualcosa che rimarrà e passerà di
mano.
Dunque che te ne fai di tanta ricchezza quando la potresti
condividere.
Che te ne fai dei tuoi muri e dei tuoi recinti che non ti
salveranno dalla fine e dalla tua solitudine, dal gelo che ti circonda?
Che te ne fai della mano di un bambino che ti cerca, di un
suo sorriso,
che te ne fai di una donna se non sei in grado di capirla e
amarla come lei vorrebbe?
E’a sera, quando cominciano ad accendersi qua e là le luci che
si compie il miracolo, come greggi che tornano all’ovile, noi torniamo a casa,
nel calore della famiglia. E chissà se colui che si è macchiato le mani di
sangue avrà il coraggio di guardare negli occhi la sua sposa o un figlio,
chissà quanti invece si godranno quel preludio prima delle tenebre.
Ma c’è un conforto più grande, l’unico, la possibilità di
ricongiungersi con Dio, con la sua bontà, col suo cuore, l’essere abbracciati
dal suo amore grande e infinito.
E’ il momento più bello il più intimo, quel poter
colloquiare con Dio per andare incontro al sonno con serenità e pace nell’anima.
Ciò che manca nei giorni è questo: l’amore divino, la sua
mano rassicurante, c’è invece il desiderio del suicidarsi con le proprie mani,
condannati a vivere con la paura che il bel sogno del vivere possa finire in
qualsiasi momento a causa di qualche pazzoide.
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