Il Canto della
megattera
Di Vincenzo Calafiore
30 Agosto 2017 Udine
“ Pegaso” , la mia astronave a remi come una megattera va
negli abissali oceani della vita, ed io con lei in quel mare di silenzio; è un
andare da una vita ad altra vita non con la curiosità o con lo spirito dell’esplorazione
ma con quel senso di paura dell’ignoto che riflette il canto del cigno come
fosse canto di megattera.
Questa età mia dovrebbe essere quella della transizione o
della migrazione da una vita che è stata a una vita che sarà o potrebbe essere;
si riducono gli spazi e le visioni, le immaginazioni come forze si sperdono o
si sono sperdute.
Ma in questo non c’è amarezza o rimpianto, c’è
consapevolezza acquisita negli anni che furono o che sono stati ruggenti che
senza accorgermene fin qui, a questa soglia mi hanno accompagnato.
Dagli oblò della “ Pegaso” osservo quel buio di stelle e
ogni scricchiolio mi fa sussultare, sono ignoti quelle cose che sfiorandola
producono forti rumori e sono causa di paura, paura di finire chissà dove senza
una precisa rotta o meta.
Non ci sono compagni di viaggio e l’unica cosa da fare è
quello di rimanere seduto dietro a un oblò con la speranza di vedere una stella
o la scia di una stella che possa indicarmi una rotta, un punto a cui andare.
In verità io lo so dove sto andando e non ho paura, ma
rimpianti si; uno di questi tanti è quello di non essere riuscito ad assaporare
la felicità, perché non sono mai stato felice nella mia vita fatta di
privazioni e sacrifici …. almeno fossero serviti a qualcosa.
Una vita per lo più di solitudini e di silenzi …. fossero
serviti a qualcosa.
Una vita in cui sono stato venduto e svenduto no una volta
sola ma mille volte,
tradito dallo stesso mio essere.
Ora in questo tratto ultimo tratto di viaggio c’è la
necessità della pianificazione, dello scorrere lento, della navigazione
tranquilla; le mie mani non hanno più forza nello stringere un remo o un
timone, un sestante.
E’ il tempo della beatitudine, della contemplazione, dei
passi lenti senza affanno, senza corsa; un tempo che dia tempo o il tempo che possa
permettere di preparare l’ultimo viaggio
senza ritorno della “ Pegaso “.
Non ho più voglia né le forze di reggere o affrontare mari
grossi e in tempesta o di affrontare le tropicali tempeste cui una forma di
vita che non mi appartiene e che non potrei reggere vuole ancora gettarmi.
Allora seduto dietro uno dei tanti oblò osservo il buio
scivolarmi addosso e non mi importa più sapere chi era o chi è stato mio padre,
non mi importa più sapere se sono stato o sono ancora un buon padre.
Non importa più sapere cosa c’è ad attendermi in quell’
oltre a cui sto ormai andando da tempo, tanto è o sarà così immane che nulla
potrei fare ugualmente per salvarmi.
Ma ho il tempo di pensare!
Non c’è un equipaggio né un compagno di viaggio; ma una
mostruosità che vuole a tutti i costi non invecchiare; una mostruosità di
alchimia per una vecchiezza bambina …
Una mostruosità che ha la voce fragorosa e prepotente,
invadente nuova forma di vita che in realtà non serve a niente, tanto è sempre
lo stesso identico viaggio: l’ultimo poi non c’è più niente.
C’è solamente il pensare a come preparare la “ Pegaso “ l’astronave
a remi che scivolando via negli spazi e negli oceani del nulla mi condurrà
sulle note de: “ Nessun dorma “ di Giacomo Puccini, piano verso l’oltre da cui
non tornerò in dietro.
E’ questa l’unica vera realtà: non si torna …. Non si torna in dietro!
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