Di Vincenzo Calafiore
01 Novembre 2024 Udine
Si potrebbe pensare a Rashomon, ma il tema della relatività del vero,
dell’impossibilità di coglierne il senso, per dirla in breve, la sua
invisibilità, a dispetto della apparente concretezza del mondo e degli esseri
umani, è antico.
La grande stagione del ’68, gli anni della contestazione, che sono
anche gli anni della grande speranza e della grande illusione di cambiare il
mondo, davanti all’infelicità che lo segna a cominciare dalla guerra del
Vietnam in poi, fino ai giorni nostri in cui non è cambiato nulla se non il spietato orrore delle armi sempre più
distruttive, sempre più terrificanti.
Esiste un antidoto al veleno che sta distruggendo il mondo e la sua
umanità?
Questo, sarebbe la “ Letteratura “ solo questa potrebbe salvarci dalla dittatura
del cosiddetto “ moderno “.
La letteratura narra delle storie.
La televisione dà ( dovrebbe) informazione, vera e giusta, sarà così?
Invece è solo poltiglia di disinformazione nei panni di informazione.
La Letteratura oltre a coinvolgere è una ricreazione della solidarietà
umana.
La televisione, distanzia e ci imprigiona nella nostra stessa
indifferenza. Le sue storie soddisfano la nostra fame di aneddoti e ci offre modalità
di comprensione che si elidono a vicenda. Ciò è rafforzato dalla pratica ormai
incontrollabile di punteggiare con la pubblicità le cosiddette narrazioni
televisive.
Tali storie affermano implicitamente l’idea che tutte le informazioni
siano rilevanti e interessanti, che tutte le storie siano senza fine o che si
interrompono, ciò non accade perché sono state spodestate da una storia più
recente, più clamorosa, più sensazionale.
Così facendo si presentano un numero illimitato di storie inconcluse,
il cui consumo ha drammaticamente inciso sul “ tempo “ che in passato, la
stragrande maggioranza dedicava alla lettura di un buon e salutare libro …. Queste
storie offrono una lezione di amoralità e distacco antitetica a quella
incarnata dalla lettura di un romanzo.
Nella narrazione di storie praticata dal romanziere c’è sempre una
grande componente etica. Questa componente etica non sta nella contrapposizione
di una verità alla falsità della cronaca.
Sta nel modello di completezza, di intensità, di illuminazione fornito
dalla storia raccontata, che è l’opposto del modello di ottusità, di
stupidaggine, di ignoranza, di cattiveria e violenza, solitudine e di
incomprensione, di passivo sgomento e conseguente ottundimento dei sentimenti,
offerto dalla sovrabbondanza di storie inconcluse disseminate dalla
televisione.
La televisione ci offre, in forma estremamente svilita e non vera, una
verità che il romanziere è costretto a sopprimere in nome del modello etico di
comprensione caratteristico dell’impresa narrativa.
Raccontare una storia vuol dire: è questa la storia importante.
Essere un individuo morale significa prestare, essere obbligato a
prestare, attenzione, quando esprimiamo giudizi morali, non stiamo
semplicemente affermando che una cosa è migliore di un’altra. Stiamo affermando
in modo ancor più fondamentale, che una cosa è più importante dell’altra.
Ma forse il primo passo verso la saggezza e l’umiltà sta nel
rassegnarsi ad accettare l’idea, la devastante idea della simultaneità di ogni
cosa e della incapacità della nostra comprensione morale che è anche quella del
romanziere di assimilarla!
Rimanere in un tempo completo, inclusivo di bellezza e di umanità, di
Letteratura, questo ci salverà dall’abisso in cui stiamo per precipitare o
siamo già precipitati.
Nessun commento:
Posta un commento