lunedì 18 novembre 2024


 

IO DEL MARE

 

Di Vincenzo Calafiore

19 Novembre 2024


   Una volta che hai visto il mare

non potrai più farne a meno di

guardarlo.

E camminerai per strade da

dove potrai vederlo sempre! “

             Vincenzo Calafiore

 

 

La barba bianca, i capelli arruffati dal vento, la carnagione olivastra, gli occhi verdi, sempre pronti a seguire le strane traiettorie disegnate in cielo dai gabbiani: Quinto Malatesta!

Questo sono io, io del mare, io dell’oceano-mare

 Seppi che al mondo molte cose potevano ridiventare buone e che per realizzare questo bastavano due persone.

Vedevo un sole che riempiva il cielo.

Paradossalmente il sole era anche il mare che scaldava piuttosto dal basso che dall’alto. Forse è così il presente, quando non fugge via, pensai.

Mi bastava scrutare il lento movimento delle nubi all’orizzonte, poco sopra Capo Vaticano, per capire che la pesca sarebbe stata buona, oppure ritirarsi in fretta per sfuggire alla burrasca.

La mia vita seguiva il ritmo delle onde e l’intensità della luce del sole, piegandosi ai voleri della luna quando era tempo di pescare, a largo della Tonnara di Pietrenere, i banchi di totani facilmente neutralizzabili, nelle ore notturne, grazie alle lampare.

Ho saputo raccontare le storie di mare ai bambini, con toni e pause con cui incantavo i giovani spettatori, seduti a terra attorno alla vecchia fontana che zampillava dentro una vasca.

La voce profonda, leggermente roca dal catrame e la nicotina inalati per anni dalle ormai introvabili “ Nazionali “m e le immaginarie geometrie disegnate nell’aria con le dita, mi facevano il loro migliore amico.

Non c’era tratto di spiaggia, tra Scilla e Reggio, di cui non conoscessi i segreti.

Spiriti di indomiti marinai si univano a pesci d’immensa bellezza nei miei racconti, allegre stenelle, e coraggiosi pescispada.

Così raccontavo le mie storie, con la dolcezza di un nonno che narra la fiaba ai bambini, come la storia dello “ Scoglio dell’Ulivo “ quel singolare albero cresciuto in cima allo scoglio corroso dal mare.

L’ulivo era frutto d’un patto stretto tra la terra e il mare.

Un patto sancito con la complicità d’una rondine che aveva rubato un chicco da una pianta secolare di Trachini e l’aveva deposto sulla vetta di quell’enorme masso caduto tra i flutti in epoche remote.

La terra e il mare, contando sull’aiuto del sole avevano poi concentrato le loro misteriose energie sull’oliva abbandonata, facendola pazientemente diventare un albero.

Per secoli la pianta, suscitando curiosità e superstizioni tra i pescatori aveva prodotto annualmente il suo prezioso frutto, un frutto però, di cui nessuno poteva godere, se non il mare, la terra e le rondini.

Tentare  d’impossessarsi di una sola di quelle olive poteva costare caro, chi saliva in vetta e si impossessava di una sola oliva la sua vita si accorciava di venti anni. Altri dopo aver commesso il sacrilegio  sono morti annegati in circostanze diverse.

L’ulivo insomma è una sorta di tempio inviolabile creato dalla natura.

Oggi racconto le storie degli immensi abissi dell’infinito, e delle bellissime fate  che affollano i scintillanti mari e le scogliere profumate del Paradiso.

Li navigo con la mia inseparabile barca “ Pegasus “, dritto a poppa con il timone stretto tra i polpacci e una ciurma di bambini intorno.

Qualcuno di quei bambini giura, d’aver sentito ancora, scivolare nell’aria la Pegasus riverberarsi tra le nuvole, altri raccontano d’averne scorto la sfumata sagoma su una candida nuvola scoglio, durante un temporale, che rischiò di risucchiare la terra e il mare….

 

 

 

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