IO DEL MARE
Di Vincenzo Calafiore
19 Novembre 2024
“ Una volta che hai visto il mare
non potrai più farne a meno
di
guardarlo.
E camminerai per strade da
dove potrai vederlo sempre! “
Vincenzo Calafiore
La barba bianca, i
capelli arruffati dal vento, la carnagione olivastra, gli occhi verdi, sempre
pronti a seguire le strane traiettorie disegnate in cielo dai gabbiani: Quinto
Malatesta!
Questo sono io, io
del mare, io dell’oceano-mare
Seppi
che al mondo molte cose potevano ridiventare buone e che per realizzare questo
bastavano due persone.
Vedevo un sole che
riempiva il cielo.
Paradossalmente il
sole era anche il mare che scaldava piuttosto dal basso che dall’alto. Forse è
così il presente, quando non fugge via, pensai.
Mi bastava scrutare
il lento movimento delle nubi all’orizzonte, poco sopra Capo Vaticano, per
capire che la pesca sarebbe stata buona, oppure ritirarsi in fretta per sfuggire
alla burrasca.
La mia vita seguiva
il ritmo delle onde e l’intensità della luce del sole, piegandosi ai voleri
della luna quando era tempo di pescare, a largo della Tonnara di Pietrenere, i
banchi di totani facilmente neutralizzabili, nelle ore notturne, grazie alle
lampare.
Ho saputo raccontare
le storie di mare ai bambini, con toni e pause con cui incantavo i giovani
spettatori, seduti a terra attorno alla vecchia fontana che zampillava dentro
una vasca.
La voce profonda,
leggermente roca dal catrame e la nicotina inalati per anni dalle ormai
introvabili “ Nazionali “m e le immaginarie geometrie disegnate nell’aria con
le dita, mi facevano il loro migliore amico.
Non c’era tratto di
spiaggia, tra Scilla e Reggio, di cui non conoscessi i segreti.
Spiriti di indomiti
marinai si univano a pesci d’immensa bellezza nei miei racconti, allegre stenelle,
e coraggiosi pescispada.
Così raccontavo le
mie storie, con la dolcezza di un nonno che narra la fiaba ai bambini, come la
storia dello “ Scoglio dell’Ulivo “ quel singolare albero cresciuto in cima
allo scoglio corroso dal mare.
L’ulivo era frutto d’un
patto stretto tra la terra e il mare.
Un patto sancito con
la complicità d’una rondine che aveva rubato un chicco da una pianta secolare
di Trachini e l’aveva deposto sulla vetta di quell’enorme masso caduto tra i
flutti in epoche remote.
La terra e il mare,
contando sull’aiuto del sole avevano poi concentrato le loro misteriose energie
sull’oliva abbandonata, facendola pazientemente diventare un albero.
Per secoli la
pianta, suscitando curiosità e superstizioni tra i pescatori aveva prodotto
annualmente il suo prezioso frutto, un frutto però, di cui nessuno poteva
godere, se non il mare, la terra e le rondini.
Tentare d’impossessarsi di una sola di quelle olive
poteva costare caro, chi saliva in vetta e si impossessava di una sola oliva la
sua vita si accorciava di venti anni. Altri dopo aver commesso il sacrilegio sono morti annegati in circostanze diverse.
L’ulivo insomma è
una sorta di tempio inviolabile creato dalla natura.
Oggi racconto le
storie degli immensi abissi dell’infinito, e delle bellissime fate che affollano i scintillanti mari e le
scogliere profumate del Paradiso.
Li navigo con la mia
inseparabile barca “ Pegasus “, dritto a poppa con il timone stretto tra i
polpacci e una ciurma di bambini intorno.
Qualcuno di quei
bambini giura, d’aver sentito ancora, scivolare nell’aria la Pegasus riverberarsi
tra le nuvole, altri raccontano d’averne scorto la sfumata sagoma su una
candida nuvola scoglio, durante un temporale, che rischiò di risucchiare la
terra e il mare….
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