I FANTASMI DI
DENTRO
Di: Vincenzo Calafiore

Andare e tornare in qualsiasi ora del giorno e della notte,
senza saperlo avevo la possibilità di viaggiare nel tempo! Ero felice, perché libero,
avendo la possibilità di cambiare tutto.
Ma lei non sono riuscito mai a cambiarla.
Come accade invece sull’isola greca dove tutto cambia:
cicale, fichi, lenzuola al vento, rumore di stoviglie, tutto diventa
accomodante perfino lei.
L’Albania era quasi alle mie spalle e più mi avvicinavo e
saltato la Terra Incognita e più mi sentivo a casa. Navigavo nel buio verso la
Grecia, culla del pensiero occidentale, mentre il mare si riempiva nuovamente
di una foschia lattiginosa.
Al timone guardai sulla mia sinistra le sagome dei
minacciosi bunker, gli ultimi baluardi
del paese delle Aquile; davanti a me si profilavano i rilievi della nuova Troia
il luogo di Eleno figlio di Priamo che battezzò con gli stessi nomi della
patria perduta.
Anch’io senza patria costretto a navigare per sfuggire al passato che non volevo e tornare
a vivere.
Ma arrivò all’improvviso la bonaccia e un grandissimo
silenzio cadde sul mare e su noi che non ci sputammo in faccia più parole; con
le tempeste ho sempre combattuto e mi sono arreso alla bonaccia, come un
soldato alla trincea.
Io un tempo non lontano pensai di arrendermi nei miei
naufragi.
Senza motore restai con le vele flosce prigioniero di quel
mare nero per tutta la notte.
Anemometro morto.
Ebbi tempo di pensare a luoghi diversi dove potrebbe tornare
ad amare.
Quando la barca in quel buio lattiginoso urtò qualcosa di
lungo che fece urlare il fasciame da un lato,
s’inclinò. Ebbe un sussulto che mi fece immaginare di vedermi aggrappato a
qualche pezzo di legno o a qualcosa che potesse reggere il mio peso di terrore
diluito assieme a me in quel buio gelido senza sapere dove il mare mi volesse
portare o come farmi annegare.
Accesi una sigaretta, non per fumare ma per vedere se si
muoveva, se c’era la minima bava di vento. L’alba mi trovò aggrappato al timone
mentre lei dormiva sottocoperta davanti ad un oblò interamente sottacqua.
Lo scoglio aveva inciso per mia fortuna superficialmente lo scafo, più in
là tra il cordame scoprii due grilli, feci due conti e pensai che oramai ero
quasi giunto a Corfù.
Sbarco e cambia tutto, la gente passeggia sentendosi a suo
agio, ciascuno prende il suo tempo ed io il mio sul molo di pietra scura con i
piedi a penzoloni sul mare quieto.
Nella chiesa, la gente camminava rumorosamente e chiacchierava
come in un qualsiasi vicolo, le porte erano aperte ed entrava il vento, un cane
sdraiato sulle pietre lucide, e c’era chi litigava a bassa voce, altri che
accendevano dei ceri e andavano a baciare il sarcofago del Santo protettore.
Pure io mi inginocchiai e gli chiesi senza mezze parole di farmi tornare a casa
felice e non infelice, e se per ottenere la mia grazia avrei dovuto affrontare
il peggio l’avrei affrontato, pure qualsiasi tempesta, qualsiasi bonaccia. Il
Santo protettore non era di grandi pretese, nella sua chiesa si parla, si
prende il fresco nelle ore delle cicale, è un Santo quasi umano, il Santo di
tutti.
Sulla barca il caos tanto rassomigliante al mio, e legando
le vele pensai a quali tempeste sarei andato incontro per ritrovare lei la mia
vita che forse sarà là dove gli dei incontrandosi si parlano, mentre noi miseri
e meschini non troviamo le parole neanche per dirci buongiorno!
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