CRUENTA E DOLCE,
LEI, CHE MI AVVOLGE
By
Vincenzo Calafiore
Dopo
una notte così, con il mare grosso che ha fatto “ ballare” la barca, me assieme
alle stoviglie che volavano lamentandosi da un lato all’altro o in su e poi in
giù che a me pareva di precipitare dentro lo stomaco di una enorme balena.
Al
mattino dopo una notte così non ero più lo stesso, così pure la mia personale
idea sul tempo e la distanza; non avevo cognizione se navigavo a quattro o
cinque nodi, comunque un’andatura non esasperante per un uomo come me che del
tempo e della distanza non gliene fregava poi tanto, finito com’ero prigioniero
e posseduto dalla lentezza.
Lentezza
nel pensiero
Lentezza
nel parlare
Lentezza
nell’immaginare Dio.
Sono
stato abituato dalla mia balbuzie a
parlare piano, scandendo bene le parole; un poi come fa la chiglia con il mare
che l’apre lentamente e lentamente il mare sana la ferita. Lo capisci da come
schiuma, o da come butta il sale nell’aria.
E’
una lentezza che invade con il suo sconosciuto immenso pensato da Dio.
Nella
notte strangolato dalla paura e pure legato a un boma ancorato a una paratia,
avevo pensato se ci fosse un Dio lassù a guardare il mare, se avesse visto il
mio volto stravolto e bianco di sale in quel taciturno e consapevole rispetto
nutrito nei suoi confronti. Davanti a lui non sono più nessuno come individuo,
sono solo un’anima, una di tanti milioni che hanno navigato in questo tratto di
mare; così ho pensato a tutte le anime che si sono perdute nella schiuma, ai
contrabbandieri, ai militari, ai migranti, ai pellegrini che da qui sono
passati per raggiungere la casa di Dio, all’esodo degli ebrei verso la loro
terra.
Solo
chi è stato accarezzato o sfiorato dalla morte può capire le leggende di mare
che i vecchi raccontano ai bambini sulle rive nelle notti estive, capisci le
voci del mare, le ombre che lo attraversano e ai morti che ritornano fino a
quando il mare li strappa dai fondali in cui giacciono senza tempo.
Nella
mia bonaccia filosofeggio pensando che nel mondo che sì è consumato non erano
le distanze a contare ma i giorni di cammino o di navigazione; ma c’è anche la
maniera di guardare le cose e ciò che ci contorna come quando si guardano le
coste navigando. Così ci si rende conto quanto grande sia un promontorio o
quanto sia smisuratamente grande Dio.
Ardono
ancora i fuochi lungo le terre che si tuffano in questo mare, fuochi che hanno
ingoiato vite, fuochi di sfinita democrazia in terre lontane e vicine al mare;
dall’alto costellazioni ardenti.
E
mi ricordano nelle notti di novilunio i fuochi di piante resinose sulle barche,
fuochi naviganti antenati delle lampare accese per prendere il pesce nelle
coste dal Friuli a quelle Dalmate.
Succede
che di notte si accende il fuoco dell’immaginazione alimentato dall’impotenza
di fronte al buio impenetrabile, porta in altri luoghi, vicino ai bivacchi dei
nomadi ai confini dell’ Afghanistan che pregano e parlano a Dio.
Qualche
volta l’ho fatto pure io.

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