GIU’ IL SIPARIO
(la solitudine)
( la
vita è da un’altra parte )
By Vincenzo Calafiore

Accese la vecchia
lampada posta sul tavolino accanto alla poltrona ove ogni sera una volta chiusa
la porta della stanza si sedeva dopo aver allentato il nodo della cravatta e
appoggiati i piedi sul piccolo sgabello imbottito, di raso a fiori, consumato e
sfilacciato. La tenda ormai dello stesso colore della solitudine che si porta
dentro da anni, si muove appena solleticata dalla leggera brezza che entrando
dalla finestra appena sollevava le pagine di un calendario sul tavolo rotondo
con una sola sedia stile liberty.
Tutte le sere dopo
aver spento la luce del leggio e il microfono, ha attraversato la sala e prima
di uscire si è soffermato a guardare il buio come a voler cogliere le parole
sospese ancora nell’aria di poesie e racconti che lui leggeva alla platea
attenta del “ Ricciolo di luna”. La luce dell’insegna di un motel frequentato
da prostitute e coppie per una notte, illumina da sempre la vetrata della sala
e attraversandola si espande su un mondo diverso.
Lungo la strada, la
stessa strada percorsa lentamente nel respirare lento della notte, passa
davanti ai pochi locali dai quali si odono i passi e le voci di coloro che spazzavano
e pulivano quanto era stato lasciato dagli avventori.
Cappello a falde
larghe in testa e impermeabile col bavero alto, aperto davanti, il giornale
ripiegato sotto braccio, scarpe rovinate in punta per via dei calci dati ai
barattoli di birra vuoti, che faceva rotolare sul marciapiede forse per
riempire il silenzio dentro e fuori.
Nel frigorifero poche
cose e pure ammuffite, e posacenere poco svuotati.
Sul tavolo al centro
della stanza un grosso cero che usa per scrivere di notte, riempiva pagine e
pagine di parole più o meno comprensibili che messe assieme volevano raccontare
storie, a volte fino alle prime luci dell’aurora.
Pier vive ormai in
quella stanza da un tempo che lui stesso ubriaco ha definito – non lo so - dopo che la sua donna lo ha abbandonato
preferendolo ad un altro uomo. Di lei ricorda vagamente i suoi tratti ma quel
che non ha mai dimenticato è il suo disprezzo per gli uomini come lui inconcludenti
e sognatori, visionari, capaci di navigare la notte.
A volte seduto su
quella poltrona nel buio rischiarato
dalla luce dell’insegna di colore verde consegna al vuoto le sue parole che risuonano
come in un teatro vuoto; lui attore stanco di recitare lo stesso monologo dal
palco avverte la presenza della platea, ne sente il profondo respiro, gli
scricchiolii delle poltrone, è pronto, accoglie in se la magia di quella forza
strana e lo recita come non ha mai fatto. Non ci furono applausi e quello che
lui udiva nel silenzio della stanza era il calpestio di passi veloci sul
marciapiede appena sotto la finestra.
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