Di : Vincenzo
Calafiore
Persi nei viaggi fra
carovane e stazioni noi esseri mutanti in attesa nelle lunghe soste forse di un
quotidiano divenire. Durante le quali le singole esistenze rimangono sospese
come treni su binari morti o in attesa di qualcuno o di qualcosa, di un approdo, di un arrivo a una
meta più volte vista dietro finestrini di vagoni in corsa ove tutto muta
continuamente e si compongono e scompongono nuclei d’improvvisata familiarità.
Era un’altra vita con
altri sogni più volte smarrita fuori dai finestrini, mischiandosi e
confondendosi nelle nebulose spirali di un tempo in continuo mutamento che su
noi rispecchia altre entità di sconosciuta sopravvivenza.
C’erano nell’aria di
quelle lunghe attese, gli attimi lunghi un’eternità, risolti nella conclusione
del viaggio che a sua volta era partenza verso un’altra meta.
Ma c’era il tempo
della memoria che da un bilancio a un inventario ci costrinse in faticosi
rendiconti alla coscienza senza farla guarire.
Noi da tempo avevamo
lasciato città di ferro senza cieli e di
strade paludose, tutte nella stessa direzione, senza deviazioni possibili;
eravamo diventati mutanti o reincarnazioni d altri, per non farci sorprendere
da un sistema cinico e spregiudicato, senza ideali, che non crede in nulla e
cerca un illusorio rifugio nell’alcool e nelle droghe.
Per raggiungere Kayfa
la città della luce e della seta, la città dalle mille essenze diverse. Era
notte in mare aperto più
a Sud di Valona, la barca ebbe un sussulto, arrivò una folata, un improvviso respiro della notte al boma e
alla barra, le vele piene di maestrale si svuotarono, si gonfiarono al
contrario. Non fu solo un cambio di vento, fu molto di più, mutò il nostro fato
di provvisorio terreno.
Le stelle
improvvisamente brillarono lontane più intensamente e aumentò la temperatura, il mare diventò
bastardo; la barca sbandò come un’ubriaca, l’aria diventò di collina, rovente
come il Foehn.
Diverso anche l’odore.
Nella lunga notte
imbevuta di aromi dolciastri dei gelsomini di Saranda, navigavammo dentro una
bonaccia; cominciò l’aria desertica dell’Oriente, la stessa degli altipiani
afghani o del Turkestan, aveva lo stesso odore delle praterie ustionate, di un
mondo pastorale lontano dolce e cruento. L’Oriente è questa coabitazione di
dolcezza e violenza.
Succede al largo di
Saranda in una notte di stelle, il vento cambia e porta odori di mare in cima
ai monti e calando al mare porta quelli della montagna; di notte infinita notte
tra le sue braccia. Cominciammo a vivere le visioni, nel buio un mezzo marinaio
sembrò ai miei occhi una donna che urla
al vento e si dona.
Dopo una notte così
non sono stato più lo stesso, le mie idee sul tempo e le distanze cambiarono
mentre scivolavamo lentamente su un mare plumbeo e lentamente quella lentezza
ci aveva posseduti. Sono invaso da un immenso silenzioso e non sono più nessuno
come individuo, sono solo una delle anime che a milioni sono passate scivolando
su questo mare. Così comincio a pensare alle tante vite perdute di emigranti e
viaggiatori, soldati e avventurieri, agli eroi e ai mansueti. Solo allora
cominci a capire le leggende di uomini capaci di mare, di ombre e di voci,
mutanti che ritornano sempre a vivere divisi fra il terreno e il sogno: la
vita.
Nessun commento:
Posta un commento