Si è consolidata l’idea mia di “ 100 pagine in una”
apprezzata da molti che mi incoraggiano a continuare a scrivere queste cose che
ho chiamato per la loro brevità “ pillole”. E’ grande il numero delle persone
che mi seguono anche attraverso il mio blog dall’estero specialmente; sapete
come funziona del breve testo nomi dei personaggi e situazioni, le continuità e
il finale sono cose vostre. Affinchè voi possiate continuare ad immaginare e a
continuare la storia fino al suo naturale finale. Provateci mentre lavorate o
state facendo qualcosa, vi terrà compagnia e vi allontanerà dalla noiosa
usualità. Buona lettura a voi e grazie e ancora grazie. Calafiore
COME SE CI FOSSE
“ Se si potessero usare le parole..” era scritto su muro cadente e lebbroso del
quartiere 208.
Dal marciapiede s’intravedevano solo le finestre con le
tende chiuse, dal muro di cinta sbordava giù sul marciapiede la bucanville
fiorita; io ci passavo ogni giorno davanti alla casa tinta di rosso quando
tornavo dal lavoro con l’alba già avanti.
Addosso mi portavo ancora l’odore del fumo di sigarette
fumate lentamente mentre scrivevo un pezzo che già lo stanno leggendo; con la
notte negli occhi protetti dal cappello calato sopra, camminavo coi miei passi
stanchi per raggiungere il letto.
Non avevo fretta di raggiungere casa poiché non c’era
nessuno ad attendermi; andavo piano anche per non svegliare la disperata
solitudine che albergava in me e questa cosa me l’avevano fatta notare anche i
miei colleghi con la solita frase, “ la
si percepisce anche dai tuoi scritti la tua solitudine”.
Quella frase mi frullava la mente, mi offendeva ed era una
cosa che odiavo molto; ma la verità è che i miei colleghi avevano ragione, io
sono un uomo triste!
Triste nel vestirmi, tristezza gli occhi, tristezza nel
giornale ripiegato più volte sotto l’ascella come fosse un filone di pane.
Una volta in casa le stesse cose di sempre tranne la pila di
giornali ripiegati che potrebbe
collassare a terra da un momento all’altro, con tutto il suo peso di notizie
che nessuno forse avrà letto, specialmente i miei articoli che trattando
argomenti inusuali e anche incomprensibili qualcuno pure l’avrà usata quella
pagina per pulirci i vetri della finestra o peggio ancora per avvolgere
ventresche puzzolenti di pesci sviscerati.
Seduto sul letto, allento il nodo della cravatta, mi levo le
scarpe e mi sdraio per riprendere fiato.
Nel sogno mi torna in mente la frase scritta su quel muro
fatiscente, “ se…. si potessero usare le parole” al posto delle mani. Le parole
per esprimere l’amore, per dare conforto, per dire amicizia, le abbiamo
dimenticate e abbiamo imparato il linguaggio delle mani che non usano parole ma
lasciano segni sui volti di donne violentate, sui corpi immobili avvolti da un
lenzuolo. E quello delle mani è un linguaggio che non conosco. Mi salva dal
terrore di una realtà tenuta da me lontana, la casa rossa di via Garibaldi!
Chissà come sarà la padrona di casa? Spero che il sogno continui così forse
potrò realizzare la sua immagine oppure sarà il suo vero volto, che magari avrò
visto di sfuggita nel tempo che impiega una tenda a chiudersi?
La bocca amara e nel buio di casa mi alzo e restando seduto
sul letto massaggio i piedi dolenti della notte prima, sempre con quel pensiero
in testa, la donna misteriosa che abita in quella casa rossa.
Il frigo vuoto di tutto tanto mi rassomiglia, allora
riannodo il nodo della cravatta e ritorno sulla strada investito dai profumi e
dai colori, dalla luce forte che fa lacrimare gli occhi. Non li ricordavo quasi
più, eppure di loro ho anche scritto e raccontato; quasi ora di pranzo entro
nella solita trattoria e mi siedo allo stesso tavolo di sempre con le spalle al
muro come se volessi guardare in faccia gli avventori come me, soli e
sorridenti. Io non ricordo più da quanto tempo non sorrido eppure c’è stato un
tempo che il mio volto era illuminato da un sorriso, ma poi cosa l’abbia
cancellato non sono riuscito a capirlo.
“ Buongiorno… professore, i soliti spaghetti al sugo con il
basilico? “ La voce mi riporta alla realtà ed è qui che scopro quanto triste
sia in questo caso la solitudine, la mancanza della gioia di poter scambiare
qualche parola con una donna. Poi la stessa voce continua a interrogarmi “ ….
Ma quando vi decidete professore a prendere moglie? “ Magari ce ne fosse una!
La mia risposta. Ma è quello che frulla in testa. Il problema è che oggi non ci
sono donne, ma evanescenti figure femminili imbrattate di tatuaggi e di cose
rifatte. Donne spregiudicate e volgari…
di donne vere se ne incontrano sempre meno e quelle poche sono rare perle di un filo di parole che a
volte mancano per fare belle la vie!
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