LA VIE EST BELLE
Di Vincenzo Calafiore
Il sole si era alzato
e tramontato per sei volte sulle nostre teste, prima di raggiungere Medain
Saleh. Seguimmo le vie dimenticate di spezie e di aromi nelle solitudini d’Arabia.
Ci avvicinammo arresi ai ruderi di città
sepolte dalla sabbia, colossali necropoli scolpite nella roccia rossa da uomini
scomparsi e dispersi, per la sola certezza che ha la morte, per la quale hanno
scavato ed eretto con le sole mani, muraglia di sepolcri. Pietre miliari lungo
le strade di un tempo che ci attraversa senza dolore.
Le carovane
silenziose disegnavano gli orizzonti mutanti come il vento le dune delle rose selvagge.
Avrei voluto avere
una penna e fogli di carta su cui incidere nuove vie per poter riattraversare i
miei deserti di ombre che si animano dentro un tempo negato che costretto ho
atteso.
Mi sono perduto lì,
davanti a quel mare infinito di niente con le mie poche cose, aspettando un Dio
che non è mai passato da queste parti. Io e lei eravamo seduti nella sala
d’aspetto di una stazione sperduta ai confini di due mondi paralleli; io con
gli occhi fissi come se mi trovassi davanti a una fotografia che la ritraeva
sorridente accanto al mondo che inconsapevolmente lasciammo. Niente era materia
perfino il tempo che avevamo aspettato forse l’avevamo solo sognato o
immaginato allora, ignari dei giorni che piano andavano nei percorsi di
calendari sdruciti dagli anni lontani da noi.
Dopo il mio naufragio
su una spiaggia deserta lei, Jacinta, visse ancora nei rudimentali sentieri del
mio sguardo, ove udivo l’eco del suo: “ Mon amour, la vie est belle” Vivemmo desideri
clandestini sopra cieli di raso di pianure conosciute, sui fianchi di un
adolescente destino. Seguimmo le strade sotterranee dei sensi che ci condussero
nelle pallide orbite di ricordi dispersi nei mari dietro le palpebre. Ove
cantando ci siamo detti: La vie est belle!
Poi rimasero le
nostre ombre a volte così grandi da farci perdere entro la misura di un passo,
a volte prendendo vita riuscirono a prendersi la nostra.
Con loro ho cercato
di trovare le parole giuste per giungere ad un trattato di pace proponendo di
cancellare quanto ci avesse diviso e creato distanze, con un colpo di spugna,
senza nulla concludere.
Non sono stato
capace.
Si muovono dietro le
palpebre ombre dolcissime di baci e carezze ormai lontane.
Se potessi guardarla
negli occhi.
Se potessi parlare
con gli occhi le avrei detto Amore corri più forte accarezzando l’idea di una
vita possibile.
Se potessi
pronunciare parole difficili per incantarla davanti ai miei, lo farei.
Attraversando i
deserti più volte fui attratto dal chiarore di falò lontani; più volte, troppe
volte andai in altre vite attratto dai miraggi suadenti di nude danzerine in velate nuvole di ombre.
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