MONOLOGO
Sovere ( BG ) 15 -05
-1998
“ LA
MISURA DI UN PASSO “
…… Non trovò più divertente quei
panni di buffone.
Cominciò a pensare con la sua testa bagnata di placenta rimastole sui capelli in colore
d’ambra.
La gente per questo lo chiamò sin dai suoi
primi passi
“ viso d’angelo “.
Ora sulle tavole di quel
palcoscenico che lo videro più volte recitare la sua parte, sentirono le
ginocchia tremare. Si rialzò gettando a terra la sua maschera e lentamente coi
suoi passi misurati si avviò a sipario ancora aperto dietro le quinte.
Non seppe mai se il vuoto che stava dietro le luci che lo seguivano
nelle sue diagonali in quello spazio infinito, continuò a respirare
l’immaginario lasciato dai suoi passi misurati. Pier annegò gli occhi dentro
l’immagine che per un attimo attraversò lo specchio dei suoi occhi.
Vorrebbe andar via, uscire di scena senza rumore stringendo fra le mani
un fiore che aveva ricevuto e un nuovo passaporto; ma ci vorrebbe un nome.
E lui sa che quello che ha, se l’era inventato tanto tempo addietro.
Cercando con evidente affanno e delusione una donna capace di stregarlo
come le tavole che per molto tempo i
suoi piedi han calpestato, arrivò perfino a rivestire con panni diversi ogni
sera nella solitudine della sua stanza un manichino che aveva trovato
abbandonato per strada.
Era la sua donna.
Bella, dolce e serena; ineguagliabile compagna di viaggio.
Credette di amarla fino a quando, in una notte senza cielo quel
manichino si chinò sul suo petto conficcandogli un fiore scarlatto. Pier rimase
immobile con la stupida espressione della
sorpresa impressa negli occhi.
Lei andò davanti alla finestra
allungò le braccia e prese fra le mani la luce del lampione, si voltò verso
Pier e con un soffio gliela fece cadere addosso svanendo in quel buio
attorno.
Si svegliò dal breve e intenso sonno, aprì lentamente gli occhi Pier,
sperando di trovare la sua donna ancora là coi vestiti che lui prima di andare
a letto gli aveva infilato addosso, con dispiacere notò che nella stanza
all’infuori di lui e del disordine non c’era nessun altro.
Appoggiò i piedi a terra come usava fare tutte le mattine, avvertì
sotto la pianta una strana fuliggine che lo costrinse a rialzarli. Guardò bene
il pavimento e potè notare la scia che finiva alla finestra.
<< … Sono stati due anni e mezzo d’inferno, mai un momento
felice>> quelle parole nella sua mente erano uno strano rumore che non
gli concedevano tregua.
Il giorno in cui la sua donna gliele vomitò addosso lo segnarono
profondamente.
Ricorda ancora la misura dei suoi passi giù per le scale, a testa bassa
col mondo che gli era appena crollato.
In principio non seppe darsi pace, la solitudine e lo squallore lo
accompagnavano da un vicolo all’altro, dentro e fuori dalla sua vita. Fin
quando non trovò quel manichino di legno buttato a terra tra un cumulo di
cartoni bagnati dalla pioggia.
Pier lo raccolse da terra e dopo averlo pulito, sottobraccio se lo portò a casa sperando in
qualcosa di nuovo che potesse almeno allietare la sua solitudine.
Gli diede un nome e a lei raccontò il cielo e la sua vita ogni volta
che rientrava dal pub dove ogni notte si esibiva suonando il saxofono, gli
raccontava i suoi sogni a volte non riuscendo a prendere sonno, spalancava la
finestra per permettere alla luna di
affacciarsi, la sistemava lì seduta e suonava per lei, solo per lei, le
melodie che attanagliavano il cuore.
Yoko, il suo amico pianista a conoscenza della strana relazione prima
di ogni spettacolo, nel camerino gli domandava <<…Come sta Angie?>>
E una sera vedendolo triste gli disse <<questa sera lo spettacolo è tutto
per la tua donna>>, Pier si voltò e lentamente come se fosse un sussurro
guardandolo dritto negli occhi rispose, << Anche tu ti prendi gioco di
me, lei non è di legno, credimi è viva perché piange e sorride ed è bellissima
credimi, non è di legno>>.
“ OMAGGIO”
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