QUANDO
LEI NON C’E’
By Vincenzo
Calafiore
Non
c’era alcuna intenzione di andar via, ma quel giorno che si era presentato sin
dal mattino con il bavero alzato qualcosa in me si era messo di traverso e
nulla da quel momento mi andava bene, oltretutto avevo ancora i fumi della nottata
prima assieme agli amici, non ricordo quanto avessi bevuto, non ricordo neppure
come abbia fatto a ritornare a casa, né l’ora.
Lei
era partita.
Non
c’erano in me risentimenti ma senza i miei riferimenti in verità mi sentivo
d’essere dentro un’improvvisazione continua e mi aggiravo nella stessa
estraneità tra gente sconosciuta in cerca di un qualcosa che mi potesse a lei
ricondurre. Non mi bastava più il ricordare l’amore fatto la notte prima o i
suoi orecchini che ha lasciato sul suo comodino, i suoi profumi che mi piace
annusare, le sue vesti appese nel suo armadio e il suo accappatoio in bagno
dove lei ogni sera si rinchiude per venire a letto profumata di primavera.
Siamo stati tutta la notte uno accanto all’altra coi volti illuminati dalla
tenue luce della lampada ovale a terra vicino alla porta, parlando sottovoce
quasi a non farci sentire dal mondo.
Per
lei anche se è andata via ho raccolto fiori che sono appassiti.
Ho
chiuso la nostra camera per dormire su un divano scomodo.
Lei
non c’è e la mia vita si ferma.
Ora
vorrei le sue mani azzurre
i
suoi occhi maculati dalla luna, occhi che sanno guardare e leggere il
complicato scenario che ho dentro.
Le
stanze vuote di lei svelano in segreto situazioni di attesa, nel quotidiano
divenire, durante le quali è come se le nostre esistenze rimanessero sospese,
in attesa di qualcuno o di qualcosa, solitamente un evento di un suo anticipato
rientro, o di un suo felice approdo a casa raggiungibile della nuova tappa
nella corsa terrena all’incerto traguardo.
L’assenza
è un viaggio in vagoni polverosi su rotaie passando per stazioni in cui
probabilmente ci attendiamo. Nella sua assenza scorrono immagini di lei, come
le immagini che scorrono fuori da un finestrino mischiati e confusi al
desiderio di vederla apparire nella luce di una porta ce si apre.
Ma
corrono anche attimi lunghi un’eternità o le eterne attese in un attimo risolte
nel momento conclusivo di ogni viaggio, di ogni assenza; con lei svaniscono le
ansie e le paure quelle note già durante i mille passaggi in treno dell’infanzia
e dell’adolescenza, talvolta dell’ancora lunga stagione dell’amabilità che come
sempre trasforma la memoria, annulla i ricordi guardandola in viso e negli
occhi. Gli stessi che mi hanno fatto innamorare, del tempo perduto, delle
occasioni mancate e degli incontri saltati.
Qui
in questo mio scompartimento vuoto sento il mio pacato meditare di farle
trovare i fiori che più a lei piacciono: le rose rosse! Sono felicemente
escluso dalla inutile frazione di un’esistenza vuota relegata nell’inerzia dell’attesa
che i giorni, i mesi, gli anni scorrono veloci e lenti dentro e fuori l’esistenza
stessa corrosa dal desiderio di sentire la sua voce e di saggiare il sapore
delle sue labbra, o di poterle dire ancora una volta: non andar via! Non farmi
vivere in una permanente vicevita che significa supplenza della ragione di un
sentimento più grande della vita stessa. Di non farmi perdere dunque in una
rischiosa ipotesi di rassegnata accettazione del nulla. Se tu non ci sei!