lunedì 27 ottobre 2014


SE NOI POTESSIMO

 

Di Vincenzo Calafiore

 

Ci sono giorni da ricordare e altri che si vorrebbero già dimenticati , ed invece sono lì nelle anteprime di una memoria instancabile nel riproporle in seno di una quotidianità sfiancante e disarmonica.

Lo è così per i ricordi suddivisi sapientemente in belli  e brutti, sempre galleggianti su quella superficie di quel mare dentro che silente si sposta su diverse sponde delle età smarrite, e lì depositati su spiagge ove si ritorna e si riparte.

Quel che più umilia e uccide è la monotonia della ripetizione del singolo avvenirsi del ricordo ogni giorno, ogni notte, finendo per ricordare ugualmente certe bruttezze d’animo.

Se solo noi potessimo in qualche misura modificarne gli aspetti e le distanze da essi creati, se solo potessimo allontanarci anche se per brevità quante albe, e quanti tramonti non sarebbero andati perduti.

Ma in queste latitudini di improvvise tempeste e mareggiate che travolgono e annegano chiunque  e cose, non è un bel vivere, neanche un bel sognare; per fortuna a salvarci saranno quei ritorni di ricordi che fanno abbozzare un sorriso e la speranza di una felicità intima e segreta.

Noi, questa cercavamo quando all’inizio ci siamo messi in viaggio affascinati forse da questa chimera attraversammo tempi, e navigato a lungo; noi una lunga schiera sempre avanti, sempre in movimento, sempre destinati “sognatori “ ancora adesso dopo millenni costretti a continua migrazione senza ritorno, senza tregua.

La vita sta in un sogno e il sogno dona nuova vita, è energia che muove, solleva e affonda nuove radici, ma mai definisce, mai è deriva in un mare piatto.

Se solo noi potessimo definire nuove rotte per avvicinarci a quella terra di confine tra gli spazi indefiniti tra parole e pensiero che continuamente usiamo per incontrare e tramandare, lasciando in ovunque impronte di se.

Parole e scritture  per un soffio vitale in continua evoluzione, per tracciare nuove rotte che ci allontanino dalla solitudine, dall’indifferenza, dall’ingratitudine, dall’abbietto; consci che quel che è stato dimenticato in realtà è dentro le parole e nei sogni per cui ancora val la pena di annaspare in queste ombre.

Consci che la salvezza della razza dei sognatori non sta nella corsa, ma nella misura di un passo ove ci si aggrega, ci si affascina e si conquistano millimetro dopo millimetro spazi di ingenua vita nei vortici  di nuovi “altrove” invisibili in cui tutto avviene tutto è stato già scritto.

venerdì 10 ottobre 2014




LA DISTANZA E L’ANIMA

Vincenzo Calafiore


Qualsiasi manifestazione della lontananza trova il suo correlato psicologico nell’idea della separatezza, di uno spazio fisico o mentale che divide, creando quel senso d’interna mancanza, se la memoria non interviene sui fatti trasfigurandoli e rendendoli oggetto di nostalgia, dolce sofferenza.
Ci sono, distanze e distanze, ognuna diversa, ognuna personale che comunque riconducono sempre ad un vissuto che nella distanza vive in attesa di fare ritorno.
E’ nostra infatti la capacità di conservare e quindi far rivivere nella nostra immaginazione ciò che più ci procura piacere e, di contro, di rifuggire da ciò che è negativo e ci procura dolore.
Ma succede anche che non avendo la possibilità di ripetere le esperienze appaganti, il senso della lontananza nel suo aspetto di distanza anche se temporale agisce sulla quotidianità in maniera perversa esaltandone la qualità della piacevolezza e di contro sbiadendo la portata del negativo.
Accade così che i ricordi si fanno rimpianti di ciò che non è più, ovvero tanto lontano da non poter essere afferrato e tenuto con sé.
Questa situazione la si vive negli amori finiti o nei ricordi delle stagioni trascorse della vita che nel momento in cui si allontanano, sembrano quasi senza macchia.
Arrivando perfino a godere della propria sofferenza nel rivivere il passato immergendosi nei fatti come se nulla fosse cambiato.
La distanza peggiore è quella che viene a crearsi tra i fratelli o sorelle, tra gli amici; e sempre a causa di cose che nulla hanno o dovrebbero avere a che fare con la nostra anima che da certi atteggiamenti ne rimane conseguentemente ferita.
Cerchiamo di diminuire il carico emozionale negativo proprio della lontananza, con altri supporti quale la tecnologia, dalla struttura sempre più complessa, inarrestabile nella sua marcia al pari passo della crescente paura nostra di rimanere da soli con se stessi e subire il peso del distacco dall’altro come dal sé più autentico.
La luce della tecnologia come quella di un display del telefono offre nuovi spazi alla distanza, avvicinando l’oggetto allo sguardo, ma non al punto di poterlo toccare, annusare, insomma vivere.
In conclusione si potrebbe dire che la capacità di vivere la distanza è quel tratto tipicamente umano teso a sconfiggere lo spettro della solitudine e dell’umana finitezza, ma è anche una partita giocata a livello interiore, mnemonica ed immaginativa.
Allora diviene essenziale scrutare orizzonti lontani, per esorcizzare la paura della fine anch’essa legata al distacco dal passato, a spegnere la sete di conoscere mete lontane e diverse, di ritrovare persone e rivivere fatti già vissuti in veste nuova.
Dunque la vita è un’immagine che torna da luoghi e tempi lontani, sembra rompere le severe leggi dell’irreversibilità, per questo accoglierla appare dolce , come una donna!