lunedì 28 agosto 2017

Ad uno a uno sotto un cielo disattento

Di Vincenzo Calafiore
29 Agosto 2017 Udine

( Cento pagine in una)

“ … se amarti significa ricordare
io voglio ricordare, a te voglio tornare
ogni sera come gabbiano solitario
che si lascia un mare in tempesta alle spalle… “
                             Vincenzo Calafiore


La cosa peggiore è rimpiangere la felicità e capita all’improvviso, in quel vuoto di tempo che quando si manifesta è un mare grosso che ingoia ogni cosa.
Così mi sono ritrovato annegato in un bicchiere di neve, quando aprendo la porta trovai l’alito dell’assenza è stato come una bava di vento leggero quasi incapace di sollevare un foglio di carta o rubare polvere da un mobile.
Mancava qualcosa e non capivo cosa, c’erano tracce di trascorsa felicità in quelle foto appese a muri quasi cadenti; si sente l’assenza con tutto il suo vuoto.
In settembre da queste parti il sole una volta superato il promontorio dei quattro venti, si precipita velocemente dietro la linea dell’orizzonte, rassomiglia a un uomo che desidera solo di gettarsi tra le braccia della donna amata al crepuscolo.
Come le vele si piegano e cadono afflosciate, vuote di vento attorno all’albero di una barca che rientra al porto, al sicuro; così immagino il tempo mio che riducendosi accorcia le distanze, pochi margini, pochi spazi, poca vita nella memoria che la ricorda diversa.
Ed è un continuo cercarsi di memoria e ricordo, in mezzo, in quella terra di nessuno, io che assisto senza nulla poter fare agli sfilacciati e sfuggevoli lampi di antiche battaglie!
Così come un cercatore sa fare spreco il tempo mio alla ricerca di una felicità che esisterà solo nella mia fugace immaginazione; è una dannazione a cui non si può sfuggire, se amarti significa ricordare io voglio ricordare, a te voglio tornare ogni sera come gabbiano solitario che si lascia alle spalle un mare in tempesta, torno a te tra le tue braccia che un tempo erano e significavano amore, certezza, futuro, vita, vecchiezza, fine.
Amarti fino alla fine dei giorni miei!
Era un mio sogno prezioso, custodito e affrancato da una certezza altrettanto preziosa, poi come in un teatro repentinamente nella brevità impercettibile lo scenario cambia e mi ritrovo in un inferno a cui volendo sfuggire nuoto in un mare che a volte voleva annegarmi.
Manca qualcosa e so cos’è, ma lo negherò anche davanti a Dio! In questa casa di muri tristemente ammuffiti che scolorandosi han lasciato le voci sospese nell’aria di un mattino, di un giorno più da dimenticare che da ricordare.
Come spiegare al cuore che qualcosa è andata perduta per sempre?
Come dare luce a occhi che piano diventano neve?
Così ritorno come gabbiano in porto al tramontar di stelle e mi ritrovo negli stessi scenari, di un tempo che ti videro felice correre in braccio a me…
Vivo e muoio in questo inganno come attore dietro le quinte cercando di ricordare le battute o i lunghi monologhi, solo davanti a uno specchio perduto in un soliloquio che racconta di te, di te che un vento più forte come foglio di carta nei suoi vortici ti ha portata via!



Gli occhi annegati
Di Vincenzo Calafiore
28 Agosto 2017 Udine
( Cento pagine in una)

“ … amami così come sono, un sogno, dentro un sogno”
                                                       Vincenzo Calafiore

In questa notte che si appresta a finire, che mi ha visto artista di strada ai margini  di un sogno colorare muri di città che ai sogni avean alzati muri sempre più alti.
In questa notte dai suoi margini ho raggiunto lei che a poca distanza da me in un altro sogno ai miei occhi era ancor più desiderata, e nel suo sogno non v’era traccia di me.
Cosa può essere o cosa è, che senso ha o potrebbe avere la mia vita se lei non ne è parte, se lei non è storia, se lei non è sogno.
Il più delle volte in quelle notti afose e irrespirabili di un’estate come un mare salmastro, sono andato a est verso Orione convito dalla mia certezza lì incontrarla;
sono andato da lei attraversando i deserti che la realtà si lascia dietro a pochi passi, nelle minime distanze tra occhio e occhio, tra pelle e pelle.
Sì ti ho sognata conturbante tra lenzuola e cuscini quando da un bacio nascevano ali per un paradiso a portata di mano.
Ma poi come fosse una maledizione tutti e anche questo che mi lascia nelle sue tracce come a voler lasciare tracce di se per un ritorno alla vita, si son frantumati sugli scogli di un’alba d’agosto che non li raccoglie invece li respinge nel ventre di un’altra notte che chissà come e cosa farà di me.
Tu sei quel colore o quei colori che uso di notte,
quel desiderio che il più delle volte nasce e muore sulle rive di un giorno.
Così ancora artista di strada vivo ai margini dei tuoi margini, senza significato come un esiliato che vuole morire nella sua terra, come onda che cerca la sua riva, quella che ingoiandola la restituisce al mare in altra cosa, in altra forma.
Se Tu sapessi dell’amore mio nuoteresti anche la tempesta pur di raggiungermi ove i tuoi no mi hanno abbandonato e lasciato annaspare rischiando di annegare.
E’ così che ti amo, ed è così che vorrei averti come pane caldo, da mangiare a piccoli morsi, per sentirti più mia che preda di altri sogni non miei.
L’amore come tu mi dicevi è quell’andare assieme verso l’ignoto, mano nella mano da incoscienti, da predati dai sogni o dal quel desiderio comune di abbracciarsi e in un abbraccio morire e rinascere ogni volta, ogni notte fino alle prime luci dell’alba.
Ma la realtà è che siamo come falene attratte dal buio ed è proprio li che noi ci incontriamo in quel buio complice e ruffiano, all’improvviso in un’esplosione di felicità racchiusa e contenuta in quel ti amo che sempre le mia labbra sussurrano vedendoti o ascoltandoti.
Tu che sei felicità e guerra,
tu che sei pan di zucchero e sogno a metà
tu che mi fai diventare funambolo sulla tua vita
perché non mi trattieni tra le tue braccia, perché non mi finisci tra quelle lenzuola, tra quei cuscini?
Forse altro non siamo che occhi annegati nel mare di una felicità sentita e trattenuta, non svelata per paura di perderla, io e te, che in questa tardiva estate sfinita da un eterno a cui sperando vado.
Ma qui di eterno è solo la distanza, l’incertezza, l’impossibilità di poter almeno sfiorare con le dita il tuo volto, la tua pelle che sussurra e cerca amore.





mercoledì 23 agosto 2017

Sogno di fine estate


Di Vincenzo Calafiore
24 Agosto 2017 Udine

“  … diciva Pascali “ u russu “ quandu eru picculu e iddu era tuttu iancu, bruciatu ru suli e da salsedini: U Strittu esti troppu largu! ( Diceva Pasquale “ u russu “ per via dei capelli color carota.. quando ero piccolo e lui era tutto bianco, bruciato dal sole e dalla salsedine: “ Lo Stretto è troppo largo “!


A quest’ora da un’altra parte, s’ode la voce della risacca di un mare calmo come una sposa dopo che ha fatto l’amore, e se ne odono i canti, un motore di una barca che passa, di passi che sprofondano nella sabbia.
E’ la voce del mio mondo che piano piano si allontana in una distanza incolmabile!
E’ forse giunto per me di salire a bordo della mia “ Astronave a remi “ e lasciarmi portare dove essa mi condurrà!
Non è un andare via, è una fuga da questa realtà, dalla mia realtà di coatto e prigioniero.
Diceva Pasquale soprannominato “ U russu “ per via dei suoi capelli color carota, quando ero piccolo e lui già era bianco, bruciato dal sole e dalla salsedine: Lo Stretto è troppo largo. E si arrabbiava quando sentiva dire a qualcuno – Guarda laggiù quella terra!, quella è l’Italia -!
L’Italia era la Calabria che diede il suo nome a tutto lo stivale, così questo è l’Italia e l’Italia si chiamò Calabria; io andavo spesso o quasi ogni giorno a Messina per comprare il sale. E sono quel tipo di terrone che andando e tornando sui ferry boat, esportavo Italia e importavo Meridione! Tuttavia quando salivo sul traghetto non mi sentivo mai pacificato, ne tranquillo
<< Noi, quì, non siamo tonni >> mi ripetevo, io i tonni li ho visti che in banco attraversano lo Stretto, li ho visti dalla barca remando là dove il mare è mare e dove, però non ci sono state mai le fere, i pesci abissali, l’orca…
A quest’ora da un’altra parte, c’è un’umanità anfibia dello Stretto, parca come una terra
 in coltivata e allo stesso tempo eccessiva come un mare grandissimo.
Io lo amo questo mare proprio perché è stretto, perché da Scilla puoi vedere e toccare quasi con mano Messina, sono appunto questi gli Stretti, scorciatoie che i mari e gli oceani si sono inventato per ridurre per  le distanze e avvicinare la gente.
Così l’uomo si è inventato i ponti, non c’è una riva che non possa essere raggiunta, non c’è un vuoto che un ponte non colma.. l’uomo fa ponti e Pontifex per unirsi a Dio.
“ Lo Stretto è un dono di Dio e un ponte è un dono a Dio” diceva Pasquale che amava lo Stretto e sognava di passarlo con un salto e non amava quei disegni d’amore e frasi d’amore che i passeggeri dei treni incidevano sulle pareti interne della stiva, riverniciate di bianco antisalsedine, a pochi centimetri dalle carrozze.
Penso che solo su uno di quei ferry boat si sente la separatezza di una terra che non si congiungerà mai con il futuro!
Eppure allora come adesso non si capisce quanto si somigliano Scilla e Cariddi, e non solo perché sono sorelle povere a causa di una politica sparviera dell’Italia, ma per via dello Stretto. Il punto è che nessuno ha capito Che Messina e Reggio sono un’unica città divisa da un po’ di mare e da un bel po’ di fastidi che fanno bestemmiare contro Polifemo, troppo piccolo come gigante e tropo grande come uomo, brutto come il cane cirneco, che è lo storto e spelacchiato quadrupede dell’Etna, arrivato chissà come… non certo a nuoto.
Dunque, da una parte Scilla dall’altra parte Cariddi, e se non è sufficiente si aggiungono le Sirene della follia ( Ulisse), dell’oltranza umana, della presunzione dei discendenti di Prometeo, e di Ercole che non oltrepassando le Colonne di Ercole non possono congiungere la sete di conoscenza con l’oggetto della conoscenza. E tuttavia quando il sole, appena levato sotto quella luce  da mattino del mondo a me e ai viaggiatori dello Stretto, ieri come oggi, pareva e pare davvero che l’Italia fosse o potrebbe essere la nuova prospettiva, forse la modernità, forse la Patria. Non sto parlando degli emigranti con la valigia di cartone, ma di avvocati, medici, scrittori, ufficiali dell’esercito, insegnanti, cancellieri, medici, che nonostante la puzza, il rumore di ferraglia, e lo stomaco vuoto, vedevano l’Italia nel colore cangiante dell’acqua.
Cercavano e la cercano ancora l’Italia in quella diversa velocità delle correnti, nei vortici, nelle scale di mare, nelle macchie e nei garofali che improvvisamente si mettono a friggere.  E mentre la costa Calabrese si avvicina, un occhio al cielo e uno alla gente in fila, i terroni non si accorgevano che quel traghetto non somigliava alla loro idea di Stato. E infatti  su quegli stessi traghetti che diventavano via via sempre più sgangherati, più pittoreschi, sempre più isola, i continentali venivano a cercare la Sicilia o  la Trinacria,, prototipi e stereopiti di razze dimenticate.
Ora, ancora adesso, dopo una vita, qui al Nord, lo Stretto è il mio mito arcaico dell’onore e del disonore, della virilità, della cortesia e la dolcezza, l’ospitalità, la disponibilità, l’educazione, il rispetto.
Il ferry boat è il - come se – nulla fosse cambiato, neppure l’Italia.
Oggi come ieri sui ferry boat gli arancini, le pignolate e le granite al caffè, al limone sono i rimedi all’affanno dei viaggiatori,cucina casalinga raffinata che sul traghetto diventa appunto
“ come se “.
E anche il mare è bellissimo perché chiuso, visto dai traghetti è “ come se “ se fosse maestoso, “ come se “ fosse oceano sul quale secondo Plinio il Vecchio, nel 251 AC, il Console Lucio Cecilio Metello edificò un ponte di zattere galleggianti , rinforzate con botti, per trasportare ed esibire a Roma 140 elefanti lasciati dai nemici.
Lo Stretto oggi è il punto che sta fuori dal tempo che raggiungo con la mia astronave a remi,
 ( lo Stretto è la maledizione del mafioso che senza l’isola che gli è solidale, non sarebbe mai esistito e mai potrebbe esistere! ) fuori dallo spazio o forse è il punto in cui lo spazio e tempo si avvicinano, si incontrano, un punto senza coordinate, dove tutto rimane così com’era, ma è anche l’inefficienza dello Stato, dei servi, e il sottosviluppo, dell’abbandono, della dimenticanza, dell’inesistenza, della trascuratezza, del chi se ne frega!
Essere Calabrese o Italico, è portarsi dentro lo Stretto. Lo Stretto indispensabile, lo Stretto necessario, significa lambire per tutta la vita la costa della miseria dopo essere stati depredati e derubati dell’onore, della dignità, della libertà, dell’indipendenza; dopo essere stati occupati e massacrati in fosse comuni, dopo le deportazioni nei campi lager, dopo lo sterminio di massa, dopo le donne violentate e uccise, dopo essere stati privati dell’orgoglio da un Nord che non poteva esistere ne può esistere senza un Sud.
Dopo tutte le altre cose che ci hanno fatto sentire emarginati e ci hanno reso emarginati nelle città del Nord, troppo grandi, troppo abitate, troppo malate, talenti che si sentono maltrattati, e perciò si sono inventati e continuiamo ad inventarci l’isola che non c’è, quella delle belle mangiate, dei sapori unici al mondo, delle spiagge più belle e più radiose della terra, delle donne più affascinanti e misteriose, degli amici più fedeli, per non dare sazio, per non ammettere la sconfitta dello Stretto, del piccolo mare e della sua umanità anfibia, della nostra storia, della nostra cultura, del nostro essere greci esuli in una terra che non ci ama.
Ecco perché il sogno torna, questo sogno torna, solo che questa volta è tornato sul finire di un’estate vuota e sudata, appiccicaticcia piena di zanzare e di mosche, di fastidiosi silenzi e di pause in cui impercettibili segnali di vita sono stati vanificati da una realtà crudele e sanguinaria, odiosa e desiderosa di guerra. Come se la guerra fosse una cosa necessaria più della parola. Ma la vita che c’è nel mio Stretto è diversa, ha in se l’orgoglio di Ulisse, la voce della risacca, la voce della ribellione all’odio razziale e religioso, è la voce di un Dio che un giorno si è divertito a Crearlo per noi terroni perché fossimo più felici, più distanti dal continente ricco e povero che sia, ma infelice, senza mare e senza cielo che un Dio un giorno disegnò diversi.
E diversi siamo noi terroni, lo siamo perché conosciamo il rispetto dell’estraneo, conosciamo l’ospitalità e la generosità come la nostra bella terra divina. Ma siamo allo stesso tempo consapevoli di sentirci ospiti in casa propria, osteggiati e odiati da un Nord grasso e ipocrita, ignorante e superbo, stupido come il suo disprezzo quando incontrandomi si scorda che mi chiamo Vincenzo e mi chiama terrone, continua a chiamarmi terrone… nonostante tutto.



domenica 20 agosto 2017

                         Domenica era sempre domenica

Di Vincenzo Calafiore
20 Agosto 2017 Udine

Di  “ Domenica “ mia madre si alzava molto presto per mettere sul fuoco la pentola di terracotta che usava solamente per cucinare il suo insuperabile “ ragù “ che lasciava andare a fuoco lento fino a mezzodì .
Il profumo stuzzicava le narici e invogliava al desiderio, faceva desiderare che giungesse presto l’ora di pranzo; uno alla volta ci si svegliava e papà compreso andando in bagno si passava dalla cucina attratti da quel profumo e con quel cucchiaio appoggiato su un piatto si assaggiava quella bontà; nel tempo questa cosa diventò una tradizione.
E abbiamo continuato a farlo anche quando la casa cominciò piano a svuotarsi e davanti ai fornelli non c’era più una donna bellissima e piena di vita ma una donna coi capelli bianchi e uno scialle sulle spalle, sempre bella, sempre con quella luce negli occhi.
Fini anche quella tradizione quando lei ormai stanca decise di raggiungere il suo uomo dall’altra parte del fiume; in quella casa vuota di tutto non ci sono più tornato.
Allora la domenica era la giornata in cui si rimaneva in famiglia, e la radio trasmetteva immancabilmente : Domenica è sempre domenica cantata da Riva.
Oggi quella domenica è solo che un ricordo, e la domenica di oggi paragonandola con quella di una volta altro non è che una bruttissima fotocopia.
Non si sta in casa ma si prende l’auto per andare qualche parte come se la casa fosse diventata una tana dove andare solo a dormire e da abbandonare durante le ore di luce; le famiglie che rimangono in casa a trascorrere la domenica assieme ormai forse non esistono più.
Come sono cambiati i tempi! Anzi come abbiamo potuto cambiarli in nome di un progresso che altro non è che regresso; di quelle domeniche è rimasto oggi solo che lo scampanio dei campanili sparsi per la città, un suono che ricorda che “ oggi è domenica “ !
Mentre un tempo c’era in tutte le case una radio che trasmetteva tanta e tanta musica, oggi al suo posto c’è la televisione che non trasmette musica, ma ahimè immagini di guerra e di violenza, brutalità, problemi e solo problemi!
E’ un veleno che piano nel tempo ci ha intossicati e avvelenati costantemente, tanto da farci perdere colore e siamo tutti grigi, tristi, come un cielo da pianura padana avvolta dalla nebbia.
Non ci sono più i famosi corsi in cui si consumavano le famose “ vasche “ in cerca di una ragazza, ci sono strade piene di gente che cammina sui marciapiedi tanto per prendere una boccata d’aria o per consumare tempo guardando le vetrine oggetti e capi di vestiario, calzature di cui si potrebbe anche farne a meno, ma che la legge del consumismo invece vuole che si entri in un negozio ad acquistare qualcosa e fare ritorno a casa con in mano una busta di carta piene e noi sempre più vuoti invece.

Vuoti di anima e di allegria, vuoti di piacere, vuoti di dialogo, vuoti di famiglia, vuoti di casa.
L’Eterna primavera


Di Vincenzo Calafiore
21 Agosto 2017 Udine

 “ La Casa,
non è una tana in cui rifugiarsi per la notte.
Non è una stazione di servizio in cui sostare per rifornirsi e ripartire.”

Gran Ducato Rione Santa Caterina, Reggio Calabria.
Era uno dei più bei Rioni della mia Città, qui ha iniziato a strimpellare strumenti musicali e a cantare Mino Reitano, ma c’era e c’è ancora Stefano Federico, il “mio “ compagno di classe, l’Amico che abita nel cuore.
Ci si trovava alla “ Villetta” per giocare, per andare a scuola.
Pian piano quella “ Casa” cominciò a svuotarsi e vennero chiuse le finestre, la porta, e tutto dentro cadde in un oblio; cominciarono a cadere gli intonaci, i muri si scolorirono come si scolorì la mia vita.
A 16 anni il desiderio di andare via fu forte come un’onda che travolse ogni cosa, così iniziò il mio viaggio con in spalla uno zaino che custodiva la mia eterna primavera.
Le giornate in riva al mare,
il pane caldo
le strade in discesa
le scarpe rotte e maglioni bucati
le ginocchia sbucciate e la vita negli occhi.
Questa eterna primavera che fa capolino nei giorni miei ricorda la mia casa amata e mai dimenticata.
Ma questa è un’altra storia, un’altra vita nella mia vita.
Quanto tempo è passato e la mia casa è sempre là, nel cuore.
In questo giro di pagina molte cose sono andate perdute, io nonostante tutto non mi ci raccapezzo e vivo sospeso su un mare tra due terre diverse, una specie di oblio in cui il più delle volte ritrovo come sa fare un archeologo ricordi o frammenti di essi che comunque mi ricongiungono a quei 16 anni di cui ricordo poco o niente.
Vivo in questa “ casa “ ancora col suo profumo, con la sua vita, con le arie gaie e festose a cui mi aggrappo per non morire una seconda volta.
Ed oggi in una casa di latitudini diverse, con nostalgia sfoglio pagine di un diario che si interrompe e riprende a vivere, è una magia di quegli uomini che come me non hanno casa, né luogo; raccontano storie che sanno di mare e vivono in una prigione da cui riescono a volte a vedere quanto si è disperso.
Ad uno ad uno cadono i sogni e frantumandosi diventano parole di un dialetto mai scordato, è un ponte che collega gli opposti, sapessi almeno in quale opposto vivo!
E’ la dannazione degli intrepidi o di coloro che hanno attraversato il mare su un pezzo di legno in una lunga deriva col tempo di riportare su un vecchio portolano quanto la mente suggerisce, è un raccontare vita o fare vita.
A volte l’alba mi trova con un pezzo di pane caldo fra le mani e io mi vedo in quella dimensione a cui spesso torno…
Ma, vallo a spiegare a chi oggi che non sa cosa significhi “ casa “ o che non sa cosa significhi il voler tornare a casa per rimanerci!
Vallo a spiegare a chi del mare ha paura e si ferma sulla riva a guardarlo.
Vallo a spiegare a chi corre così velocemente da non riuscire più a parlare o a scrivere una lettera, per dire: torno a casa o per dire semplicemente: ti amo, mi manchi, voglio o desidero che tu rimanga con me a parlare guardandoci dritti negli occhi, stringendoci le mani.
Vallo a spiegare a chi della brutalità e della violenza ne fa abiti o vesti da indossare.
A volte se giro la testa per guardare in dietro li vedo tutti lì ammucchiati in un angolo come foglie raccolte dal vento, i miei anni ed è proprio in quel momento che mi rendo conto di avere in mano una chiave vecchia e arrugginita.
E’ la chiave di casa mia come una donna, come una sposa a cui tornare.


venerdì 18 agosto 2017

Brucia la luna
Di Vincenzo Calafiore
19 Agosto 2017 Udine


Sarebbe una notte propizia ai lunghi viaggi, guardare il mondo da un oblò di un’astronave a remi che silenziosa remata dopo remata si allontana da questo mondo sospeso nell’universo.
Ma questa notte con un cielo così pieno di stella da poter cogliere con le mai, è un peccato chiudere gli occhi.
La luna da lassù fa capolino negli occhi, brucia la luna il mare che per l’occasione si è disteso come me a guardarla!
La radiolina a transistor che prima stava trasmettendo della buona musica come di un
“ Notturno d’Italia “ si interrompe per dare spazio al radiogiornale, rientro in casa e accendo la televisione, si parla ancora dei fatti di Barcellona.
Cambia scena e si parla dei fatti di casa.
Sono assalito dallo sconforto nel vedere le stesse facce di politici che ormai non rappresentano più nessuno se non se stessi; ma c’è anche il fatto del giorno: Cattaneo prenderà una buonuscita del valore di 25 milioni di Euro dalla Telecom/TIM ! Per 12 mesi di cosa….?
Lui però dichiara: “La cifra che mi verrà attribuita non ha nulla di scandaloso, né di disdicevole. Ho la coscienza assolutamente a posto” avrebbe dichiarato Cattaneo, secondo quanto riporta Repubblica. Che novità!
Non saprei neanche contarli tanti sono, e poi credo davanti a questa montagna di euro che svenirei!
Ma cosa avrà fatto di così eccezionale, di così importante per ricevere un premio così?
Si sarà spaccata la schiena pulendo le corsie di un Centro Commerciale Bennet o Carrefour, ma no, povero avrà lavorato per una vita intera in un alto forno, o su un’impalcatura a tirare su malta, oppure si sarà fatto il mazzo seduto su una volante della Polizia… ( qui si tratta di una vita di lavoro, mentre i 25 milioni di euro sono per un anno di lavoro)
E’ questo lo schifo!
E’ questa la vergogna di questa Italia in mano a una banda di nani ragionieri che giornalmente la televisione di stato ci propone le loro facce e il loro bla bla inconcludente, senza via di scampo.
Ma la cosa tragica è che loro difendono a spada tratta i loro diritti acquisiti e gli stessi non esistono per la plebaglia italiana.
Sono cose note vissute da tutti con sdegno e nauseante rifiuto, eppure “loro” nonostante ne siano a conoscenza purtroppo sono lì con il loro unico problema conservare il potere, la poltrona; il nostro problema invece è la loro esistenza.
Ma siamo stati noi a volerli,
siamo ancora noi a permettere la loro esistenza,
siamo noi ad andare in piazza ad ascoltarli con le diverse bandiere di partito,
siamo noi ad applaudire, quando invece maledirli,
siamo noi a foraggiarli e poi ci lamentiamo perché mangiano troppo foraggio.
E mentre da qualche parte per giornate intere si sta a discutere di terrorismo, da noi si parla dell’esistenza della bandiera del PD, se esiste ancora il PD,  come quella pubblicità che puntuale ogni giorno alle 12 e alla sera all’ora di cena arriva e fa vedere bambini denutriti e deformati in viso da un labbro leporino, cosa che ti fa passare la voglia di pranzare o di cenare.
Così loro con la loro faccia di cartone che da buoni ciarlatani la sanno raccontare a noi che davanti a un piatto di minestra li stiamo ad ascoltare incantati ed entusiasti alla stessa maniera di come guardiamo la luna bruciare il cielo!









giovedì 17 agosto 2017

La strage degli innocenti

Di Vincenzo Calafiore
18 Agosto 2017 Udine

A Barcellona come a Nizza, lo stesso copione, lo stesso identico scenario di morte, panico.
Vite spezzate non dalla casualità o dall’imprudenza, ma dalle mani di uomini invasati e ciechi votati al terrorismo, uomini a cui la loro vita e degli altri non ha alcun valore per ragioni personali che la loro mente malata vede come soluzione finale.
Questi uomini “ europei “ che sono partiti ad ingrossare le fila del terrorismo islamico, sono volti noti, conosciuti, sono schedati… insomma noti ai servizi di sicurezza nazionale di ogni singolo stato.
La domanda spontanea è : “ se sono volti noti “ perché lasciarli rientrare a casa liberamente come da una vacanza dopo che questi sono stati addestrati a uccidere?
L’altra domanda è : perché lasciarli circolare nelle città sicuri o certi di poterli monitorare con un elevato impiego di mezzi e uomini da parte dell’intelligence?
Quando si potrebbero eseguire gli arresti all’istante, appena già mettono piede sul suolo di casa?
Perché non ucciderli o farli sparire per sempre perché indegni di stare o di vivere in un qualsiasi contesto sociale?
Abbiamo dimenticato:
le fila di uomini in tuta arancione su una riva e li sgozzati come agnelli,
ma abbiamo anche dimenticato:
le stragi di uomini, donne e bambini con le bombe piazzate sui treni come in Spagna è già accaduto, come nelle metropolitane.
Come abbiamo dimenticato:
le bombe piazzate sugli aerei….
Ieri pomeriggio a seguito della strage di Barcellona in televisione ho potuto seguire un dibattito di uomini intelligenti, luminari in psicologia o filosofia, giornalisti e quant’altro, in cui si sono dette delle “ cazzate “ una più grossa dell’altra.
Questi “ luminari idioti “ fra le altre loro cazzate, affermavano che questi guerrieri della morte andrebbero rieducati nuovamente…… riconvertiti!
E’ come convertire secondo loro un predatore a non essere più predatore!
Ma pare una cosa possibile, una cosa giusta?
Questa è una enorme “ cazzata “ una di quelle coglionate che non stanno ne in cielo ne in terra!
Questi “ animali “ peggiori delle bestie che in nome di un loro ideale hanno disseminato morte, questi animali vanno o andrebbero solamente eliminati, come loro hanno eliminato o potrebbero eliminare ancora dopo molto tempo dal loro rientro in patria.
Ma è anche vero che oggi si pagano gli scotti degli errori di una politica ingerente: l’eliminazione di Gheddafi, di Sadam Hussein, tanto per citarne alcuni!
Non potevamo farci gli affari nostri e lasciare le cose come stavano?
Oggi mi pare che tutto conduca a fomentare odio, razzismo.
Da ogni parte c’è violenza e stragi, distruzioni, eliminazioni di massa; ma che sta succedendo a questa immane società? Perché c’è tanta voglia di scannare, di eliminare, distruggere?
Perché mettere dei pazzi a capo di governo?
Forse incoscientemente ci siamo infilati nel terzo conflitto mondiale.
E come disse quel generale statunitense: “ non so come sarà la terza guerra mondiale, ma so come sarà la quarta guerra mondiale: con le clavi!



lunedì 7 agosto 2017

mouth-603273_960_720.jpgL’alba è quasi finita, ma cerca di esserci !






Di Vincenzo Calafiore                
08 Agosto 2017 Udine











E poi ti rendi conto di quanto sia breve la vita... di come si è perduto il tempo in cose inutili... in un attimo tutti i ricordi in testa tornano e rimangono li fino alla fine, fino all’ultimo respiro….. “
                                       Vincenzo Calafiore

A un certo punto arrivi e tracci una riga a terra o su un foglio di carta, inconsapevolmente cominci ad annotare le cose belle e le cose brutte e poi come accade si fanno le  somme; questo accade prima o poi, accade quando meno te l’aspetti e tutto cambia.
Puoi rimanere sulle stesse pagine o come voltare pagina e ricominciare d’accapo.
E’ quello che sta accadendo, tutto è messo in discussione,
sono spariti i registri, l’ordine delle idee, sogni da realizzare quasi azzerati….
E’ un mare che piano piano mi sta sommergendo, come a volermi annegare nei suoi vortici che spingono verso il fondale piuttosto che verso la luce.
E’ una lunga notte di occhi stanchi e di anni svaporati nel nulla, una notte in cui mette paura perfino guardarsi allo specchio di scoprire la persona diversa riflessa, vincere i timori e l’inconsapevole resistenza di aprire invece gli occhi e guardarsi dentro nell’anima e finalmente conoscere l’altra faccia, l’altro aspetto, quello che è rimasto sempre nell’ombra ad attendere pazientemente questo momento.
E’ un’operetta in un grande teatro seguendo le regole di un invisibile regista che ti dice cosa fare e suggerisce come spostarti seguendo un percorso tutto tuo, per non intralciare quello di altri recitanti.
Una parodia a mezza voce dal buio di un retroscena dimenticato, è questa la vita delle comparse che silenziose se ne stanno lì in attesa d’essere chiamate all’opera.
Ho rivisto vecchi film in bianco e nero riconoscendomi pure,
ho rivisto i miei occhi luminosi e i miei anni ruggenti, riprovando anche se in brevità l’ebbrezza della velocità in quelle scene di patos infinito, quando ignaro mi inebriavo di felicità.
Succede di notte che l’ombra di un ricordo rassomigli a un grosso legno a cui aggrapparsi e lasciarsi portare via in altri mari, in altri altrove, in altre felicità che attendono o potrebbero non esserci e allora cos’è che comunque mi costringe a nuotare a mettermi in salvo e per chi, per cosa?
Che la mia vita non fosse stata semplice io questo l’ho sempre saputo, quello che non ho mai capito è la mia felicità!
Perché sono felice?
Da piccolo quando lottavo tra la vita e la morte, a me bastava un quaderno e una matita, e riempivo pagine di parole, come un’ossessione disegnavo sempre lo stesso sole e lo stesso mare, li chiamavano “ scarabocchi “ per me erano tracciati di strade a cui dovevo andare. …
Al Ginnasio ci andavo a piedi e coi libri in mano e poi le lunghe passeggiate in riva al mare facendo finta di avere una ragazza.
Ma a un certo punto il fondale del palco torna ad essere nero ombre e personaggi si confondo e non si capisce più dove sia finita la finzione e inizi la realtà.
E’ tutta dentro una goccia trasparente di vita che scivola piano fino a sparire in un vuoto tra occhio e mento.
Schiudo gli occhi e mi trovo davanti a una visione diversa, mi scopro stanco, tanto rassomigliante a una barca stanca di tanto mare!
Allora in questa mezza alba sospesa tra un si e un no, mi chiedo se valga ancora la pena di mettere assieme parole per farne una canzone o un copione…
Mi chiedo se vale ancora la pena “ scrivere “ !
Richiudo gli occhi e torna la mia mente a una spiaggia quando camminando a piedi nudi e con le scarpe legate al collo e i libri in una mano facevo finta di avere una ragazza a cui consegnavo il mio cuore, fino all’ultimo respiro.
Mi rendo conto di quanto sia breve la vita… di come si è perduto il tempo in cose inutili.. in un attimo tutti i ricordi tornano e rimangono lì fino alla fine, fino all’ultimo respiro… come nuvole restano lì per giorni e giorni prendendo e assumendo le forme che vogliono, ma mai la mia forma: l’Amore! L’amore per la vita.
L’alba è quasi finita, ma tu cerca di esserci.


domenica 6 agosto 2017

Patriottismo

Di Vincenzo Calafiore
07 Agosto 2017 Udine


Incipt:


Per uno come me che per una vita ha portato le “stellette “ sul petto con orgoglio e con onore il significato di patria è ben radicato in me anche per il “ giuramento di fedeltà alla patria “ ancora adesso è così dopo tanti anni che ho appeso nell’armadio la mia uniforme grigio-verde, quello dell’Esercito Italiano.
Uno come me non sarà mai un uomo qualunque, perché ha nel sangue la disciplina, l’ordine, l’onestà, la lealtà, l’abnegazione, l’alto sentimento della Patria.

Ma che significa “ Patriottismo “ ? 
Il patriottismo indica l'attitudine di gruppi o individui favorevole alla patria. Di norma esso si riferisce ad uno Stato-nazione, ma la patria (o madrepatria) può anche essere una regione o una città. Si esprime attraverso una molteplicità di sentimenti quali: orgoglio per i progressi conseguiti o la cultura sviluppata dalla patria, il desiderio di conservarne il carattere ed i costumi, l'identificazione con altri membri della nazione. Il patriottismo ha anche una connotazione etica poiché implica che la madrepatria (comunque definita) sia uno standard o un valore morale in sé, come esprimono formule quali "per la Patria, nel bene e nel male". Ai patrioti si richiede, inoltre, di anteporre gli interessi della nazione anche ai propri ed a quelli dello stesso gruppo di appartenenza il che, in tempo di guerra, può anche significare mettere a rischio o donare la propria vita. Anche per questo la morte in battaglia per la madrepatria è l'archetipo estremo di patriottismo. Il patriottismo personale invece è emotivo e volontario. In questo caso l'individuo aderisce ad alcuni valori morali quali il rispetto per la bandiera.
Quel che accade molto di frequente è da parte mia chiedermi cosa io abbia o dovrei avere in comune con questa società così lontana dai miei principi, dai miei valori; io che ho vissuto e attraversato tutti i tempi della “ mia ex patria “ , cioè dalla Ricostruzione al boom economico.Il miracolo economico italiano (anche detto boom economico) è un periodo della storia d'Italia, compreso tra gli anni cinquanta e anni sessanta del XX secolo, appartenente dunque al secondo dopoguerra italiano ovvero ai primi decenni della Prima Repubblica e caratterizzato da una forte crescita economica e sviluppo tecnologico dopo l'iniziale fase di ricostruzione. Il sistema economico marciava a pieno regime, il reddito nazionale stava crescendo e la gente era rinfrancata dall'incremento dell'occupazione e dei consumi. Si erano infine dimenticati gli anni bui del dopoguerra, quando il paese era ridotto in brandelli. È pur vero che tanti erano ancora i problemi da affrontare, fra cui la carenza di servizi pubblici, di scuole, di ospedali e di altre infrastrutture civili. Ma in complesso prevaleva un clima di ottimismo..D'altra parte, all'inizio del 1960 l'Italia si era fregiata di un importante riconoscimento in campo finanziario. Dopo che un giornale inglese aveva definito col termine “miracolo economico” il processo di sviluppo allora in atto, dalla Gran Bretagna era giunto un altro attestato prestigioso per le credenziali e l'immagine dell'Italia. Una giuria internazionale interpellata dal “Financial Times” aveva infatti attribuito alla lira l' ”Oscar” della moneta più salda fra quelle del mondo occidentale. Un premio che aveva coronato una lunga e affannosa rincorsa, iniziata nell'immediato dopoguerra, per scongiurare la bancarotta e non naufragare nell'inflazione più totale.
Poi chissà perché forse causa la grande sbornia economica, o a causa delle mani bucate dei governi che si sono succeduti cominciò piano l’inarrestabile declino; un po’ come succede a chi ad ogni costo vuole scalare il successo e alla fine una volta raggiunta la cima, inevitabilmente poi seguirà la lunga e lenta discesa … il declino! Ma a questo hanno partecipato politici ancora in vita e bene in salute, non so se della seconda o terza, quarta, quinta Repubblica ( che casino), che hanno cominciato a vendere i “ gioielli di famiglia “ l ‘I.R.I. , la Cirio, tanto per citarne qualcuno, ma come dimenticare la Telecom… e la Telecom –Serbia ? Questi ratti si sono rosicchiati la forma di grana dall’interno lasciando per intero l’esterno… questi politici che son ancora lì a tenersi ben strette la fama e la ricchezza hanno svuotato col loro ingegno e le cose giuste per il popolo, le nostre casse ! ,  infatti hanno sete e fame, questo mi ricorda Caligola! A questi atti simbolici, Caligola ne affiancò altri ben più concreti e dannosi: dissipò il patrimonio ereditato da Tiberio in donativi ai soldati e al popolo e in abbellimenti urbanistici; aumentò le tasse per ripagare gli sperperi di corte; instaurò un regime tirannico e sanguinario. Così facendo si attirò l’odio di tutti: ad assassinarlo il 24 gennaio del 41 d.C. furono quegli stessi pretoriani, appoggiati dalla plebe, che lo avevano portato al potere e che ora al suo posto, senza neppure consultare il senato, acclamarono il cinquantenne Claudio, fratello di Germanico e zio di Caligola. Quello stesso giorno furono uccise dalla guardia pretoriana anche Cesonia e Giulia Drusilla, la moglie e la figlia di Caligola. Caligola subì la damnatio memoriae (condanna della memoria) e il suo corpo fu dato alle fiamme. Non rassomiglia un pochino alla fine di Benito Mussolini? Ma viene anche in mente il detto popolare: “ Si stava bene quando si stava male….. “ !!!






venerdì 4 agosto 2017

C’era una volta l’Italia


Di Vincenzo Calafiore
05 Agosto 2017 Udine
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Forse sarà la mia età di circa 71 anni più o meno, l’età della riflessione, dell’andare piano per strada, nei ragionamenti, a letto nel fare sesso a volte riuscendoci a volte no; ma è anche l’età in cui si ha il coraggio di dire basta alle amicizie sbagliate, ai profanatori della vita privata ( mi rifiuto di usare il termine inglese, fa schifo ), si ha il coraggio di sempre di esprimere il proprio pensiero su quello che dovrebbe essere la “ mia “ nazione : l’Italia!
Ma è ancora mia?
E’ ancora  < Italia > ?
Io personalmente mi rifiuto e non mi sento di appartenere a questa nazione, perché non mi ci riconosco, perché questa non è l’Italia a cui ho dedicato con Onore e Onestà, Fedeltà, la mia vita! Quell’Italia che mi ha fatto tenere sempre alta la testa con Orgoglio, l’Italia dei valori e dei principi, ora non c’è più.
Questa “ Cosa “ gestita più che governata da gente che cambia, stravolge, muta a convenienza, bugiarda, meschina, arrogante, affarista, arruffona, è diventata un Suk in cui chiunque può venire soldi alla mano a fare acquisti.
E’ un vecchio “ Casino “ in cui vecchie e giovani prostitute si svendono per qualsiasi cosa.
E’ uno di quei porti in cui e da cui tutti possono entrare e uscire dopo aver fatto il proprio comodo.
E’ una serva a cui è vietato alzare la testa dinanzi ai padroni vecchi e nuovi.
E’ la comparsa di se stessa in un Circo senza eguali.
E’ un campo di battaglia in cui si combatte spietatamente per sopravvivere e i vincitori sono sempre gli stessi: quelli che hanno più denaro e più potere.
E’ un luogo in cui ci si sveglia non pregando ma imprecando.
E’ il luogo dove una banda litigiosa fa e disfa a danno del popolo sovrano e non a danno suo che mantiene i suoi privilegi, i suoi giochi, il suo potere che usa per schiacciare il popolo o un popolo che nonostante tutto per servitù o schiavismo di un pensiero politico sbagliato o giusto che sia, lascia fare e va in piazza a sventolare bandiere, ad applaudire, in televisione o nelle televisioni ad ascoltare i parolai che con classe raccontano cazzate e continuano a prenderci per il culo.
E’ un paese o una nazione serva di un Europa o di una coalizione che continuamente ci ricorda che noi “ non valiamo un cazzo “ e che dobbiamo stare solo che zitti.
E’ un paese o una nazione che non ha più la sua “ Sovranità “ e se c’è l’ha la usa contro la sua gente e mai contro chi ha trascinato questo paese in un marasma e pantano da cui difficilmente ne uscirà fuori.
E’ un paese o nazione a convenienza.
E’ il paese in cui il malaffare del potere si intreccia con il male affare della gleba.
E’ il paese in cui alle forze dell’Ordine che garantiscono o dovrebbero garantire la legalità e l’ordine gli vengono levati più che dati i poteri e i mezzi per farlo.
E’ il paese dei balzelli, ( Tasse gravose e arbitrarie, vedi il canone RAI. ) 
E’ un paese disciplinato da “ altri “ e non dalle sue leggi, che sono così complicate che alla fine va a finire come in un noto film di Alberto Sordi in cui …..  “ sai, perché hai perso la causa? Perché io so io e tu non sei un cazzo! “
E’ un paese in cui si è autorizzata un’invasione sotto mentite spoglie e ora ci ritroviamo con gente in casa che ci oltraggia ( non tutti in verità ) che contrabbanda, che spaccia, che ruba, violenta, ammazza.
E’ un paese in cui si può delinquere ed essere certi di salvarsi il culo perché la legge glielo permette.
E’ il paese in cui i ladri sono autorizzati  a fare il loro lavoro indisturbati.
Ora datemi una ragione perché io debba sentirmi orgoglioso di un’appartenenza a cosa?