domenica 29 novembre 2015



Per sopravvivere

Di Vincenzo Calafiore
30 Novembre 2015 – Udine


<  Un libro ti salva da qualsiasi cosa, persino da te stesso.
(Daniel Pennac)
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Le mie considerazioni su “questo” odierno, tutto politica, tutto commercio e elettronica, di tanta solitudine; da molto tempo pesano sulla mia esistenza. Troppa violenza, troppo sangue che tinge le strade e muri lebbrosi di città vuote su cui ricadono come fango maleodoroso, che tutto opacizza, perfino l’animo.
Città di poco amore.
Troppe le guerre sparse per il mondo, guerre sanguinarie a colpi di macete e di coltelli affilati per sgozzare, di uomini e donne che si fanno esplodere, per eliminare altri esseri umani, per spargere terrore, in nome di un imprecisato.
“ Sei così, sballottato in questo mare di odio e di rugginoso rancore, e non pensi ad altro che a salvarti “, dicevo tra me e me, quando squillò il telefono di casa era la voce rassicurante di Claudio De Muro che mi invitava ad un evento importante bello.
E ieri sera alle ore 18 presso la  - Home Gallery- Espressioni d’Arte in Tolmezzo via IV Novembre è stata presentata la mostra dei quadri del pittore Desio Muner della Carnia.
Un occasione questa voluta e disegnata, sviluppata dall’instancabile e inesauribile fucina di idee che è Claudio De Muro titolare della Home Gallery.
L’artista, il pittore, o semplicemente Desio Muner alla veneranda età di 82 anni, ancora acuto osservatore, nonché amante della natura, capace di cogliere la poesia e l’emozione del mondo        -Carnico- quando si reca in quei regni fiabeschi col suo cavalletto, la tavolozza, i pennelli.
Emozioni trasferite e fissate sulla tela, di tante, tantissime tele, senza ansie e inquietudini, che offrono al visitatore a volte distratto e superficiale, incapace di coglierle e di vedere queste solo che semplice quadri in una cornice di legno, da posizionare a una parete non per beltà, non per cultura, ma per arredo.
E’ il destino dei quadri e dei libri.
Non sono figure attorte, tormentate, le cui linee spigolose da cui spiccano occhi penetranti, ineludibili che attraggono e sgomentano, occupando lo spazio in modo perentorio, che parlano dell’anima nei suoi angoli cupi, inquieti, dolorosi.
Si tratta di Desio Muner e il suo mondo di sfumata rocciosa presenza della natura con i suoi antichi ed eterni vincoli che sfaldano la dodecafonia del nostro essere muto, della psicoanalisi che vorrebbe riscrivere la mente in questo clima orrido. Non è che una parte dell’anima di Desio Muner, indagabile attraverso l’arte, attraverso la sua metamorfosi, che suggerisce punti di vista arditi, seguendo le linee del suo amore per il fiabesco mondo Carnico, a volte spigoloso, a volte drammatico, a volte solamente poesia. Così egli stesso, finisce per farsi contenitore di quell’Io maestoso che deborda e invade di sé tutta la tela di ogni singolo quadro.
In una sala molto gremita la mostra è stata  presentata dalla Professoressa Silvia Marcolini che ha stilizzato in poche pagine quanto di poetico è racchiuso in una tela, o nella pennellata decisa, o come carezza, nelle tinte ovattate e crude, di lussureggianti primavere alpine; le stagioni ricorrenti, i silenzi apparenti, l’aria, le pietre ed il cielo: le radici invisibili ed ineludibili di una terra “ Carnica “, la Patria del Friuli.
Inoltre coi giusti tempi e modulazioni di recitazione è stata dalla stessa letta la poesia “Omaggio alla Carnia “ di Vincenzo Calafiore.
Quella sera c’era un’aria pregna di una poetica sopravvivenza dell’arte alle barbarie di questo odierno, quella sera ha vinto su tutto la cultura, godere del piacere di un insieme straordinario di pittura e poesia, dei silenzi d’attesa, di sogni fanciulleschi lontani sprigionati dall’incanto poetico di quei quadri, ingenui e sinceri com’è la natura.

giovedì 26 novembre 2015





Se una notte….

Di Vincenzo Calafiore
27 Novembre 2015-Udine

<L’amore è un viaggio che non finisce mai>


Così certe notti di tempesta, annaspando tra le creste spumeggianti dei ricordi, a fatica trovo riparo sulla sabbia bianco salino: la mia fucina di parole.
Sul tavolo la mia penna, la matita, gli appunti di viaggi …. A guardarlo il mio tavolo di lavoro sembra un paese del sud  con la sua bottega, il barbiere: punti d’incontro! E contadini in attesa di campi: gli appunti.
La mia “ fucina” di parole di ogni giorno che come nuvole corrono sotto un cielo azzurro, così grande, così mare, così accogliente di navi e bastimenti, sponde e paesi, vecchi in attesa di speranze o cose che si preparano a morire.
Il mio tavolo in disordine, a volte è terra di confine che rimane lì ferma in attesa di un qualcosa, una stella cadente che la illumini; a volte sovrastato da cupo silenzio perché tutto è stato detto e scritto nelle brevi istantaneità di pensieri venuti da un’altra vita di sofferenze.
Di notte si illuminano i paesaggi, cambiano le visioni che vogliono dalle mani colori forti e parole scabre come l’esistenza, inizia a stento il cammino di viaggiatori viaggianti dai volti pronti ad affacciarsi alla memoria con le loro pene per i sogni che hanno perduto uno dietro l’altro nel buco nero di un paradiso indifferente.
Tuttavia le parole scivolano e si aggrumano come gocce di rugiada a grappoli agli angoli bui di bianchi fogli in attesa, le odo come bisbigli ma sono risonanze di parole difettose e rugose,  catramate, parole dette forse amare o per amore; l’amore per la cultura, per la conoscenza, per un vivere diverso, vie che costringono il divenire dei sogno, a scrivere: che bel verbo è!
Esse raccontano e io guardo il mondo! ,  mi sembra di guardare uno spettacolo decadente e di maschere sporche di sangue, di uomini affamati, di luce, sogni, parole, verbi da coniugare, che giungono da ogni epoca dopo aver sconfitto la morte; uomini come insetti preistorici divenuti memoria nelle pellicole dei sogni, ove si muovono come personaggi su traiettorie e scie luminose che alla fine li consegnano alla tragica fine di una vita più o meno utile, più o meno dolce, più o meno vita.
Sono io che mi affaccio agli albori della vita con l’anima piena di pensieri remoti come un viaggiatore viaggiante venuto da un paese di neve e di fantasmi che popolano la mente, pronto quasi a voler uscire di scena.
Come un attore che sente in se le voci di un amore perduto.
Da quei fogli nascono racconti umani che pongono una rappresentazione discreta di simboli e allegorie, realismo composto e note di dolori antichi, sentimenti immediati con personaggi sanguigni e non manichini.
Storie di un mondo rotondo nei blu, nei chiaroscuri adolescenti, cupo e desolato di altre vite che appaiono e svaniscono nel nulla di un’attesa quotidiana.
Scritture sull’onde di eventi, amori, affanni e segreti da raggiungere nei vani di un vuoto che cancella ogni mia certezza, mentre tornano i giorni passati o dei nuovi fermi in attesa di una nave arrugginita che scompare alla prima luce del giorno.
Sono io, viaggiatore stanco che ha negli occhi notti di agonie e città di pietra priva di speranza con le mani insanguinate di destino, verso un assurdo senza senso ne spazio per gli odori dei campi, di cieli sgargianti, di venti, in cerca di una foiba dove andarsi a seppellire.
Tuttavia in quei colori la morte appare un dolore sopportabile difesa nel suo essere, senso non senso; così come ci sono tante maniere di vivere, esistono altrettanti modi per morire, un congedarsi dalla vita senza scelta, andar via come fogli senza parole senza un filo che le possa legare alla vita che si fa sempre più sottile, senza contenuti umani per cambiare l’inizio e la fine.














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martedì 24 novembre 2015



A colloquio con Dio

Di Vincenzo Calafiore
24 novembre 2105- Udine

In questa mia senilità un po’ decadente, un po’ da belle epoque mi avvio pian piano, come un legno alla deriva a un tempo di sempre meno. Senza più priorità o le necessità di una volta, ma c’è un tempo nuovo, il tempo dell’anima, della resurrezione spirituale, la preparazione alla morte, un viaggio verso un altrove lontano da cui certo non farò ritorno; e restano di me forse per poco solo che i ricordi e un verbo: c’era! “

Non è mio desiderio, né compito, parlare di religione, anche perché non sono un teologo, ma neanche un catechista, ma un semplice imperfetto, un ignorante.
 Mi piacerebbe però raccontare la mia religione, il mio credo, del mio rapportarmi con lui, il mio amico -sentibile- come io lo appello spesse volte al giorno.
Parlare di religione è ardua cosa, tanto non si verrebbe a capo di niente ma la religione stessa è causa di conflitti e di infinite discussioni senza nulla concludere; comunque sia per la religione e in nome suo sono stati commessi e si commettono tutt’ora atti di violenza, guerre, assassinii, e sono sicuro che questo Dio che regna su tutto e su tutti, chiamato con nomi diversi, non abbia mai chiesto sacrifici umani anche se nella storia dell’uomo ci sono stati, né tanto meno di uccidere in suo nome.
Queste sono bestialità degli uomini.
A lui devi solamente crederci con la tua fede, quella che ti viene dal cuore e non perché professata da altri.
Devi credere a lui che in nome suo sono state erette le più belle Moschee, le più belle chiese e cattedrali, templi, luoghi sacri ove potersi ritrovare a colloquio con il proprio Dio, lo stesso Dio di nomi diversi per l’umanità intera.
Mi ricordo e lo amo ancora adesso in questa mia età strana, di “Marcellino Pane e Vino” un film che mi fece piangere e capire che c’era un’altra strada per raggiungere Dio, per parlare con Dio e forse questa mia maniera di credere o di essere cristiano penso giunga da lì da Marcellino.
Ma c’è un altro Pastore che una sera da un balcone affacciato sulla piazza più bella del mondo salutò l’umanità intera con un: Buonasera a voi ! Il Papa Francesco, il “ Marcellino” odierno che mi avvicina sempre più con la sua spontaneità, con la sua maniera a Dio.
Non sono mai stato assiduo nella frequentazioni della chiesa, e raramente la domenica sono andato a messa, tranne il Santo Natale.
Un tempo lontano ho visto dei film dedicati a Dio, Gesù, Jesus e devo dire che sono rimasto male, malissimo, provando pure dolore nel vedere come sia stato martoriato quel giovane o uomo che fosse stato, ancora adesso quando immagino il dolore di chiodi che entrano nelle mani e nei piedi, una morte orribile, orrenda,  ma ricordo Primo Levi di < Se questo è un uomo> mi fa ricordare che la bestia umana non è mai sazia di sangue, è questa è una verità!
Oggi, in questo modernissimo odierno uomini sono stati martoriati con la crocifissione, bruciati nelle gabbie, falciati dalle mitraglie, da altri uomini che uccidono in nome di Dio.  Dov’è il significato di questi atti? Se non il solo desiderio di saziare ovunque e comunque ammazzare e di fare scorrere sangue innocente solamente perché siamo divisi in cristiani,musulmani, divisioni e distinzioni che non servono a nulla.
Ovunque nel mondo ancora oggi purtroppo in nome di Dio si uccide, forse per nascondere le vere motivazioni che si possono solo immaginare: denaro e potere! La divinità o le divinità non c’entrano.
Succede in me di sentire la necessità di avere un colloquio con Dio e quindi vado in chiesa, non la domenica, ma nel corso dei giorni, quando la sua casa è vuota; mi piace quel silenzio e quella pace, mi siedo e mi rivolgo a lui come ad un amico, parlo con lui, gli rappresento i miei problemi, le mie paure, le ansie.
C’è solo silenzio e pace interiore in me, all’uscita dalla chiesa mi sento diverso.
C’è stato un tempo in cui bestemmiavo molto, lo facevo quasi senza accorge mene, ed era diventato per me una bruttissima abitudine, intanto erano trascorsi molti mesi dall’ultima volta che ero andato a trovare lui, il mio amico. Ci sono tornato e sono rimasto con lui più di un’ora, ricordo di avergli chiesto ad aiutarmi a non offenderlo più; la cosa strana e meravigliosa è stata che dopo quel colloquio io a distanza di pochi giorni non ho più bestemmiato … questo è per me un miracolo davvero, ma potrei elencare altre cose che si sono verificate  a distanza di tempo.
Con questo esempio vorrei dire che se non si ha fiducia in Dio, se non si dicono quelle due preghiere che recitiamo sin da bambini prima di addormentarsi e che io ancora oggi ogni sera faccio; se non si ringrazia Dio di averci donato un altro giorno da vivere, come pretendere di andare avanti senza il suo appoggio, senza la sua presenza, senza i suoi doni …?  E non sono pochi.
Spesso vado d’estate in bicicletta e in inverno a piedi nella “ casa dei passeri” come io l’ho battezzata. E’ una chiesetta sperduta in mezzo ai campi, in forma quadrata piccolissima, è spoglia di tutto, e c’è solo un vecchio crocefisso non ci sono sedie, ma due grosse pietre su cui poggiarsi e pregare. Ogni volta mi pare d’essere nella più grande chiesa del mondo dedicata a Gesù!
Pensaci zero e vai da lui, affidati alla sua Misericordia, almeno provaci.

venerdì 20 novembre 2015



Lascia che sia la notte a raccontar di te


Di Vincenzo Calafiore
21 novembre 2015- Udine

La notte scivola piano addosso, come perle di rugiada, mi lascia inquietudini e non sono quelle sperate, cioè d’essere rapito da un sogno, dal mio sogno.
Ci sono certe mattine, svegliandomi, che mi pare d’essere sopravvissuto a una catastrofe notturna di cui nessuno si accorge.
Fuori dalle finestre si intravede un sole ancora immaturo che dalle persiane s’intrufola dappertutto, costringe gli occhi a serrarsi; lo stato d’animo è quello di uno che si sveglia dopo la sbronza della sera prima.
E’ uno stato d’animo che si riduce di volta in volta a un racconto che si inanella di episodi su episodi, scarnificati e trasformati in frantumi; lucciole di un universo di pulsioni ossificati, e di sogni innocenti di vita; di miraggi azzerati e passioni, desideri inceneriti.
La notte con tutti i suoi regni e lati oscuri, è una coscienza che pulsa come fa una stella, paradossalmente prende forma di pagina che prende vigore là dove si trasforma in ricordi, dove si consuma nelle medesime derive di un Dio che lascia e si attribuisce.
Che silenzio nell’animo.
Si muovono nelle sue profondità correnti nascono nuovi scenari, altre accelerazioni impreviste, nuovi impulsi che si ammucchiano come foglie ad un angolo della soglia di un giorno che stenta ad esserlo e sembra volere arretrare di poche ore, quel tanto a sfuggire alla calugine della forma piatta.
E allora una rinnovata forma rimette in moto una catena che sgrana la notte e ricomincia a girare la ruota sulla quale personaggi ambigui entrano ed escano di scena lasciando vaghe tracce di loro, passano alla memoria come piccole anticipazioni di un’eguaglianza annunciata.
A volte mi lascio incantare dalla vita con le sue schermaglie amorose e cado in una vaghezza che sa di perdizione, in cui non mi riconosco fino a sera, fino a notte in cui cerco di riprendermi il mio sogno.
Questo “giorno” che è intorno, in un passare lento di stagioni, di natura invasa da un perenne variare dei colori, degli umori, dei destini è uguale al nascere e del morire nel giro di una clessidra.
Ricorro alle immaginazioni di insegne luminose dei caffè ove si mescolano stordenti figure anonime, si spazia fino al deserto delle strade in cui corrono veloci destini e uomini, fino a riviere desolate dove consunte barche perdono la vernice.
E si affaccia ai miei occhi una Trieste languida, col suo castello di Miramare che nelle ore morte pare più bugiardo del solito, Trieste che negli ultimi fuochi di una lunga estate, come premurosa amante s’appresta sempre a trattenermi per donare poi ogni tramonto, una scheggia del suo essere eterna amante mia.
Si assottiglia tutto un po’ in ogni giorno e nelle stagioni, mentre cerco di raffigurare anche l’insignificante gestualità e l’ingiustificanza di un gesto qualsiasi, in questa notte medievale brumosa, invasa da sanguinari cavalieri della morte che si lasciano dietro scie di sangue, non è più un vivere, neanche paura, ma è un prendere coscienza che si possono riaccendere i fuochi di una distruzione totale e penso che siano necessarie nuove parole, nuovi scenari, nuovi animi.
Forse si tratta di un lento divenire in cui si ampliano fino a farle brillare recondite emozioni di un vivere voluto, desiderato,dentro la spirale dell’instabilità quotidiana corposa e lattiginosa, che si espande in nuove zone per accogliere nuove storie dove le mutilazioni degli animi attendono di esplodere in nuovi orizzonti, lontani dalle euforie narcotiche fin qui vissute che in questa notte farraginosa stenta a nuove emozioni.
Forse è in quel tremolio ricolmo di dolcezze alate, del crepuscolo che torna a svegliare, a svelare tutte le dolci voci della sera.