domenica 30 gennaio 2022


 

 

 

 

VINCENZO CALAFIORE

 

 

 

Ci si può tuffare e rischiare di annegare in quella luce degli occhi tuoi.

Così lesta l’alba colorata dal pesco, profumata nell’aria di bianco salino, al tuo cospetto inchinata, elargendo folate d’essenze s’accosta al dì.

Immaginare di poterti incontrare e guardandoti dritta negli occhi dirti: t’Amo! E’ solo una immaginazione dettata da questa mia età che poco sa di vento, è di assennata follia che si tratta.

Tu mia cara, non esisti, sei un nome scritto su un rigo e vivi in quegli sbalzi d’autore tra le righe d’una pagina, di un romanzo che pian piano si snoda negli alvei dei pensieri miei.

Con te trascorro le ore più felici, io che a fatica nel tuo mondo orizzontale, cerco un equilibrio per non cadere nel becero e squallido silenzio d’una pagina, e tu  sobria e solenne tra le parole e reconditi pensieri ti muovi senza paure, né timori dei miei occhi che assetati di armonie ovunque ti seguono.

Sono un autore in cerca di quella magica illusione che gli umani chiamano  Amore….. ma l’amore è lì dove tu sei dove tu vivi tra le pagine di quel mio romanzo che non riesco a finire, perché da te stregato vivo felicemente tra le tue righe.

Come chiamarti?

Che nome darti?

Un nome l’avrei, suggerito dal mare, ma mi piacerebbe chiamarti Nausicaa, come lei tu sei lo strano miscuglio di amore e desiderio, beltà e dolcezza … e come lei incanti chi si soffermi a guardarti.

Amarti è davvero difficile, come si può amare una donna con un unico vestito d’inchiostro?

Come la si può desiderare se le braccia stringendosi abbracciano il vuoto?

Come desiderarla che se appena mi avvicino sbalza in un altro rigo, riparando in un altro pensiero?

Succede di notte davanti a un computer nel fiume di parole che poco riescono ad eguagliare  la tua beltà, che se a malapena ti sfiorano s’adornano di tristezza tanto son lontane, tanto afone da non poterti chiamare.

Lente si alzano spire di fumo al cielo, mentre gli occhi seguono ogni tuo movimento, ascoltano le tue parole che vanno dritte al cuore; intanto va lontano il mio pensiero che in qualche modo cerca di materializzarti qui in questo angolo di mondo ove tu regni.

C’è che notte dopo notte mi sono sempre più innamorato di te che entri ed esci dalla mia vita danzando sulle note di un risveglio ancora pregno di te.

Fermati e leggimi, ascoltami e raccontami, dimmi come vorresti essere amata?

Lo so, sarei da considerare un folle, per un amore così forte e così d’anima. Ma è la follia dello scrittore che sa bene come ammalarsi e non sa come guarire, così resto come le alghe strappate dalle onde, prigioniero dello stesso andirivieni  tra mare e sabbia.

Al risveglio la solitudine ammanta di silenzio le cose inanimate, il disordine e le cicche dentro un bicchiere; ritrovo la mia vita uguale a un bicchiere pieno di neve, provo a ricordare le parole mi sussurrasti sorseggiando un caffè, tra un tiro di sigaretta e l’altro.

Provo a immaginare dove tu ti si rifugiata nella notte, e cerco di immaginare su quale rigo sono cadute le tue parole. Amore che te ne stai così lontana, così distante dagli occhi miei, che aspettano una nuova bassa marea sperando di raggiungerti.

E’ strana la sensazione addosso, come la sabbia a terra,sulla scrivania…..

 

mercoledì 26 gennaio 2022


 

 

AUSCHWITZ, la dimensione del dolore

 

Di Vincenzo Calafiore

 

27 Gennaio 1945/ 27 Gennaio 2022

 

Sognavamo nelle notti feroci

Sogni densi e violenti

Sognati con anima e corpo:

Tornare; mangiare; raccontare.

Finché suonava breve sommesso

Il comando dell’alba:

        “ Wstawac “

E  si spezzava in petto il cuore

 

Ora abbiamo ritrovato la casa,

il nostro ventre è sazio,

Abbiamo finito di raccontare.

E’ tempo. Presto udremo ancora

Il comando straniero:

          “ Wstawac “ .

 

Primo Levi da: La Tregua

 

 

 

 

 

 

Nei primi giorni del gennaio 1945, sotto la spinta dell’Armata Rossa ormai vicina, i tedeschi avevano evacuato in tutta fretta il bacino minerario slesiano. Mentre al trove, in analoghe condizioni, non avevano esitato a distruggere col fuoco o con le armi i Lager insieme con i loro occupanti, nel distretto di Auschwitz agirono diversamente: ordini superiori dettati da Hitler in persona imponevano di – recuperare – a qualunque costo, ogni uomo abile al lavoro. Perciò tutti i prigionieri sani furono evacuati, in condizioni spaventose, su Buchenwald e su Mauthausen, mentre i malati furono abbandonati a loro stessi. Da vari indizi è lecito dedurre la originaria intenzione tedesca di non lasciare nei campi di concentramento nessun uomo vivo; ma un violento attacco aereo notturno, e la rapidità dell’avanzata russa, indussero i tedeschi a mutare pensiero, e a prendere la fuga lasciando incompiuto il loro dovere e la loro opera. “

 

La maggior parte dei deportati che hanno avuto salva la vita hanno sempre affermato:

“ … nessuno e mai tornato da Auschwitz “ una frase che di per se dovrebbe farci riflettere, o per lo meno essere grati a quegli  Stati che hanno voluto e compiuto la Comunità Europea perché esistesse finalmente un’Europa senza guerre.

Dalla rilettura di Auschwitz  si potrebbero trarre indicazioni precise per il nostro tempo.

Quelli che uscivano in quel tempo da Auschwitz, scrive ne – La Tregua – Primo Levi

“ non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, era la stessa vergogna che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che esista nel mondo delle cose che esistono e che la sua volontà sia stata violata, nulla.

Questa si chiama dignità, onore, o semplicemente, umanità!

E allora, il punto da capire è: perché Auschwitz- Birkenau? E’ stato un accidente della storia?

E ancora chiedersi: non si ripeterà mai più o è destinata a ripetersi, magari come modalità inscritta nel DNA del genere umano?

Nell’insonnia della ragione di questa società “ Europea “ adesso si rinnova la rimemorazione della apertura dei cancelli di Auschwitz, dove entrando capeggiava

la scritta “ Il Lavoro rende liberi  “ la metafora della morte! Dove si compì in larga scala lo sterminio degli ebrei, dei Rom, degli omosessuali, dei bambini.

Rimemorazione che non può e non deve diventare abitudine a un appuntamento,  non potrà mai essere routine. Ma dovrà essere sempre punto di ripartenza, riannodare i fili della storia, della tragica unicità della Shoah.

Giornata della Memoria per comprendere il senso profondo di quegli eventi orrendi, per tentare di capire con uno sforzo continuo della ragione perché AUSCHWITZ   è accaduta.

Questa società che non vuole vedere i lutti della storia, lutti che propongono ancora oggi l’onnipotenza divina.

Lutti da giudicare.

In questa giornata dovrebbero aprirsi angosciosi interrogativi, come ad esempio quelli che la coscienza ha incontrato ad Auschwitz: un abisso di smarrimento e di dolore ed è proprio questo a sollevare un apice di angoscia sull’ontologia del male!

Dopo AUSCHWITZ non si possono più scrivere poesie o dopo Auschwitz si possono scrivere poesie solo su Auschwitz !

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Vincenzo Calafiore

27 Gennaio 2022 Udine

 

…. Ricordare la “ Shoah “ !

Oggi occorre dargli un significato

che rimanga impresso nella – memoria -.

Altrimenti sarà una data importante

da celebrare con la solita ipocrisia propria

dell’umano. Come lo è “ l’evento Shoah

forse fin troppo umano. Dal quale sempre                                                

si deve ripartire; affinché si indaghi sulle

individuali e collettive radici del razzismo,

della xenofobia, dell’antisemitismo. “

                                Vincenzo Calafiore                   


 Se questo è un uomo

                                                                                     

Voi che vivete sicuri

nelle vostre tiepide case,

Voi che trovate tornando a sera

il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per un tozzo di pane

Che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna

Senza capelli e senza nome

Senza più forza di ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

   Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:

vi comando queste parole

scolpi tele nel vostro cuore

stando in casa andando via,

Coricandovi alzandovi;

ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

la malattia vi impedisca,

i vostri nati torcano il viso da voi.       Primo Levi

 

 

 IL CORAGGIO DI VIVERE

 

Oggi si celebra il  - Giorno della Memoria – e ci vorrebbe una cartolina da Auschwitz, il Lager -simbolo nella memoria storica e nell’immaginario collettivo, del delirio di onnipotenza di Adolf Hitler; il quale assisté drammaticamente alla fine del suo Reich, dal bunker sotto Berlino.

AUSCHWITZ ,  è il Lager- simbolo del sistema concentrazionario nazista ma anche espressione profonda della crisi della civiltà occidentale e della ragione umana.

Il Lager-simbolo della Shoha, evento definito umano, forse fin – troppo umano – che sottratto alle leggi della storia si trasforma in un evento metafisico inspiegabile.

L’analisi odierna deve assolutamente rimuovere i molteplici luoghi comuni antistorici e la stereo tipizzazione dei fatti e dei suoi protagonisti su cui si fondano le nostre conoscenze. Che ricordano di ricordare questa “ storia “, letta ancora oggi da molti, come le agiografie sui martiri e gli eroi, solo in occasione delle ricorrenze ufficiali celebrative o commemorative.

Dobbiamo noi comprendere che l’evento Shoha, investe la storia morale di questo secolo e che da questo si deve ripartire per scavare e indagare sulle radici individuali e collettive del razzismo.

Eppure c’era la musica, in quei campi dell’orrore ! Tra le mortificazioni dei corpi, delle dignità, delle anime, tra la distruzione e l’annientamento c’era chi aveva salvato brandelli di qualcosa d’altro, e li ha difesi come ha potuto affermando così le ragioni della vita e del pensiero ove regnava il nonsenso della violenza e della morte.

Era un’orchestra di solo donne messa su nel più spietato dei Lager : Aschwitz- Birkenau! L’unica orchestra mai esistita in un solo campo di sterminio, perché i nazisti, uomini colti e raffinati, amavano la musica almeno quanto odiavano i loro prigionieri.

Era diretta da Alma Rosé, grande musicista nipote di Mahler.

La musica era per loro la salvezza, del corpo e dello spirito.

Ad Auschwitz non faceva solo freddo, non cadeva solo la neve, c’erano anche urla, latrati dei cani, comandi, pianti, lamenti, disperazione .. questi erano i rumori di Auschwitz.

Ma c’era anche un’orchestra di donne prigioniere e umiliate, il campo sentiva quelle note sotto i cieli plumbei, donne che subivano ogni giorno l’orrore e la musica era la cosa più bella, come una rosa tra i fili spinati, ed aveva un pubblico di assassini.

Assassini capaci di assaporare a occhi chiusi un’aria della “ Madama Butterfly “ e mandare a morte con un si o un gesto, un gruppo di bambini, un incubo apocalittico, da fine dei tempi.

Non a caso, Oliver Messiaen scrisse in un campo di prigionia il celebre  “ Quartetto per la fine del tempo”. Così la musica salvò quelle donne di Auschwitz-Birkenau e tutte quelle che riuscirono a sentire una sola nota di quella musica, ma capace di ricordare loro che il mondo continuava ad esistere e a sperare.

 

L’Olocausto dimenticato

 

E’ un Olocausto dimenticato quello dei Rom, razzisti persino nel ricordo, 500 mila, forse 1 milione di Rom e Sinti che morirono nei campi di sterminio.

Per loro i nazisti avevano allestito uno speciale Zigeuner Lager ,  un ghetto nel ghetto di Auschwitz.

“ Al Porrajmos “ , il termine che i nomadi usano per designare il loro Olocausto.

La Memoria degli altri, il Dramma degli altri campi come nel campo di Sachsenhausen, come ad Auschwitz. Il “ Porrajmos Rom “ sarebbe da ricordare assieme all’annientamento dei disabili e poi quello degli omosessuali.

Lo sterminio dei Rom e degli “ altri “ fu sistematico alla pari quasi di quello degli ebrei. E’ difficile recuperare  la loro storia perché i suoi protagonisti non venivano registrati proprio perché nomadi per cultura e tradizione, anche se nel tempo studi e ricerche sono stati fatti.

Un Olocausto dimenticato, questo è da ammettere anche per lo steso sottile  e sotterraneo rigetto per l’indifferenza che ancora oggi colpisce la popolazione Rom e Sinti, perché ancora oggi ritenuti geneticamente ladri, dunque colpevoli.

Nelle baraccopoli del Zigeuner Lager le donne Rom e Sinte potevano partorire i loro figli, perché quei bambini dovevano fare da cavie umane per il Dottor Josef Mengele, l’angelo della morte.

Quei “ bastardi asociali” così definiti, in Italia in base ad un ordine fascista del 1940 i Rom venivano portati nei campi di Agnone in Molise, A Ferramonti in Calabria,in Sardegna, alle isole Tremiti, a Tossicia in Abruzzo.

Dopo l’Olocausto per le genti zingare non c’è stato riscatto nel ricordo!

Lo si dovrebbe.

 

“ QUALSIASI DITTATURA CONTIENE IN SE’ LA VIRTUALITA’ E L’ANIMA DI AUSCHWITZ “  ( Vincenzo Calafiore )

 

 

 

 

 



martedì 18 gennaio 2022


 

 

 

 

 

 

Vincenzo Calafiore

 All’improvviso facciamo conoscenza di un qualcosa che poi veniamo a scoprire sia l’inquietudine; a causarla sono molti gli eventi, le aspettative mancate o più semplicemente i pensieri, i timori di un – futuro – incerto. Ma anche le più fantastiche fantasie, i sogni più intimi, i desideri non soddisfatti.

Ecco che diventiamo: ansiosi !

Chiedersi se questa nostra inquietudine è un malanno oppure un benevole stimolatore che in qualche modo agendo sulla nostra coscienza la stimoli alla ricerca di qualcosa che in noi latente, affiori a una consapevolezza coscienziosa; essa potrebbe rivelarsi una preziosa e inesauribile fonte di ispirazione, arriva quando noi riusciamo ad aprire le maglie pesanti della mente verso un nuovo aspetto o dimensione a cui la vita vuole che si vada ad esplorare.

Non bisognerebbe pensare mai che – l’inquietudine -  sia un male da cui allontanarsi subito o un campanello d’allarme, ma occorre accoglierla aprendole la porta e capire, vedere do ve questa ci condurrà.

Ecco, questa inquietudine altro non è che  lo scuotersi o il fremere per un amore o quando ci  afferra per i capelli la sublime nostalgia dell’essere …. Esistenza, vita. Ma anche lo squarciarsi delle nubi per aprirsi a un nuovo e sereno orizzonte, un nuovo cielo da guardare, una nuova terra da esplorare, tutto come se fossimo investiti da un’onda anomala di amore e gratitudine …   come le vigne, o platani che si contorcono in un dolore di acerba sincerità nella gioia dolorosa della vita stessa.

Non bisogna guardare l’inquietudine con preoccupazione, come una condizione interiore, ne sentirla potenzialmente pericolosa. Non, ovviamente, quell’inquietudine conseguente a un senso di colpa per una cattiva azione commessa, o all’incertezza per un evento minaccioso che ci viene incontro, o ancora alla difficoltà di prendere una decisione difficile, penosa, che ci vede obbligati a fare una scelta.

Ma guardare l’inquietudine come un qualcosa di esistenziale legata a un’intima esigenza di cambiamento e di rinnovamento, di superamento di una situazione limitata e frustrante verso la libertà e la realizzazione.

L’inquietudine esistenziale è il grido o l’urlo di una fortissima vitalità dell’anima, che non vuole accontentarsi  della banalità nel quotidiano e aspira invece a una meta degna dei suoi sforzi e del suoi ardire.

Quando l’inquietudine  arde vivamente in un cuore generoso, lo spinge a osare e cimentarsi in una grande avventura; allo stesso tempo essa prefigura, mediante la nostalgia che ne scaturisce, lo stadio più alto del movimento ascensionale dell’anima, cioè, la speranza! Quella che suggerisce di non mollare mai !

L’inquietudine,  nasce dalla delusione dei desideri non realizzati; dalla nostalgia d’infinito, si origina e si  apre la strada alla speranza, all’ attesa fiduciosa, di quella pienezza e appagamento profondo che ruotano attorno “ all’Essere “.  

Un cuore arido, che non ha ma conosciuto l’inquietudine o che non ha mai saggiato la nostalgia, non arriva nemmeno a capire la bellezza e la profonda necessità di questo movimento.

Se non ha mai provato l’ardente nostalgia dell’Essere, vuol dire che non è mai stato in coperta, dove soffiano liberi, venti,  e uragani; dove si viene sommersi dalle alte onde o dove fermarsi a contemplare l’orizzonte marino disseminato di nubi, a respirare profondamente l’odore di salso delle vastità del mare.

Vuol dire che è sempre rimasto rintanato pieno di paure  in un angolo buio della stiva, nell’odore di muffa e di stantio, dove giunge appena un’eco del possente fragore delle onde e dove le ragnatele tessono indisturbate la tela fra vecchie cose e logore e polverose condizioni “.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

venerdì 14 gennaio 2022


 

I tappeti narranti

 

 

Vincenzo Calafiore

Sai, è da molto tempo che non parlo con una donna, ti sembrerà strano, ma è così , è la pura verità ….. quante volte ho pensato a questo, l’ho anche scritto chissà su quale quaderno.

Rispecchia in vero una realtà mia, quella di non avere avuto mai il piacere di parlare  a visus con una donna; è difficile, molto difficile, forse perché da una parte c’è l’enfasi o il piacere della conversazione e dall’altra parte c’è il sospetto, la remota convinzione che se un uomo avvicina una donna è solamente per raggiungere un obiettivo o lo scopo, chiamalo come vuoi ma il significato è lo stesso: di portarsela a letto! Ma non è sempre così, non è da tutti gli uomini.

Accade che alla fine mi è sempre convenuto rimanere molto distaccato da questa cosa, tanto che nel tempo sono diventato un introverso o  uno che preferisce starsene più da solo piuttosto che essere al centro di tante attenzioni ipocrite e sporche come l’onta di una bugia.

Mi piacerebbe molto riuscire a parlare così come due vecchi amici che hanno molto da dirsi.

In verità “ tutto “ è cambiato, sono purtroppo uno catapultato da una porta spazio-tempo in questa epoca per me sconosciuta, per certi tantissimi versi ostile; vivo con quella dannata sensazione addosso che si chiama –paura – o forse è solo timore, poco cambierebbe comunque, restando di fatto, uno che la bordeggia piuttosto che viverla.

Nel tempo in cui vivo io, la donna è l’espressione o la rappresentazione della bellezza, e non parlo dell’aspetto o di bellezza fisica, ma di quelle cose che appartenendole, profumano e donano calore all’intorno, questa si chiama in quel mondo: femminilità che poi è eleganza in bocca e nel vivere.

Quelle che ho incontrato casualmente per strada, in questo mio tempo sbandato,hanno poco di quella femminilità, sono delle amazzoni che cavalcano la precarietà, la dissolutezza; riescono ad essere d’una volgarità sopraffina, disgustose con quelle maschere indossate a secondo l’occasione, ma sono soprattutto raffinate amanti del lusso, e sessualmente piacevole amanti occasionali, senza amore, senza patos, senza anima.

Che dico!!! Questo non è da me, io che da sempre amandola, ho cercato di difendere !!

Ma questa notte ho commesso l’errore di aprire lo zaino che mi porto addosso come una seconda pelle; aprendo il quaderno blu, torna la mia mente a Dogharon nel campo profughi iraniano sul confine afgano, in cui  hanno trovato rifugio afgani che sono scampati all’invasione russa. E’ li che l’ho conosciuta mentre lavorava a un suo tappeto narrante … tessuti con simboli che raccontavano tutto il suo amore per la vita, per la bellezza della vita, dell’amore in se, senza nulla elemosinare.

Richiudo lo zaino, tanto qui questa visione non ha alcuna importanza, non troverebbe luogo ne motivi per restare, ne significato.

A poco a poco il cielo si apre sullo scenario di sempre con la stessa scenografia di ieri, di violenze e di soprusi d’ogni genere; chissà se varrà la pena di alzarsi o se varrà la pena distogliere lo sguardo dall’ultimo sogno ..  o sarà meglio rimanere in  questo, piuttosto che in quel mondo là fuori, che come un solo polmone respira e prende fiato.

Risvegliarsi e sperare di non ricordare, e se dovesse accadere pensare a un incubo notturno, è strana però la sabbia lasciata dalle mi scarpe sul marciapiede ed è la stessa che un dì calpestai a Dogharon!

 

 

 

 

 

giovedì 13 gennaio 2022


 

 

 

Il mondo di fuori

 

 

Vincenzo Calafiore

 

In questo mio mondo, di musica e libri, lontano dal mondo di fuori, mi pare d’essere in una pace e in paradiso, ove è possibile sentire  frusciar il silenzio della vita.

E’ un vivere che porta immancabilmente alla riflessione, mentre piano si ammucchiano le pagine lette di un libro nelle mani.

E’ il momento in cui si manifestano i profondi grumi di sapienza, sobria e ilare, che evidenziano la percezione dei dettagli, degli angoli morti. Gli attimi lunghi un’eternità delle eterne attese; riemergono allora con tutta la loro memoria le occasioni perdute, le amicizie dissolte nel nulla, gli incontri rifiutati o mancati, tutto pare scorrere pigro e uguale a se stesso e tutto può divenire nel contempo importante e fondamentale.

Basta immaginare il luogo dove si è, come in attesa di una coincidenza dentro una cuccetta, o un posto a sedere dietro un finestrino, con un tozzo di pane e un bicchiere di vino, scambiati nella medesima simultaneità e familiarità delle parole. Cose che della statica umanità in movimento, come sui treni fanno parte, anzi ne caratterizzano la sostanziale diversità con il resto del mondo, con quelle comparse affollate dietro il finestrino, veloci nel loro incidere come fotogrammi di un film che altro non è che la rappresentazione realistica della vita.

 Ma il “ vissuto “  torna a vivere forse in forma tangibile o forse  con qualche ricordo.

In questo c’è lei, che come onda mi travolge scaraventandomi sugli scogli della solitudine tutte le mattine, quando il sogno si ritira nelle ombre.

Diventa allora difficile distogliere lo sguardo dalla bellezza di certi occhi, di un sorriso, l’amore è lì sotto gli occhi, pronto a essere consumato dal lento scorrere delle ore.

La mia “ voce “ narrante è serva di Kronos, e con sua dispensa speciale adorna i giorni miei di misere illusioni e l’illusione non dura a lungo Kronos comunque rivuole in dietro le sue monete … mi affido così a un’insegnante di teatro per dare il meglio di me nei teatri di periferia, nei bassifondi dimenticati!

E lì comincio a recitare quella vita da burattino, da oggetto senza coscienza e senza anima così come vogliono i burattinai.

Fino a diventare essi stessi burattinai, in un mondo dove  tutto è fluido, labile…. Dove i veleni hanno cancellato ogni umanità!

Attori infelici a recitar …… ne convien!

 

 

 

 

 

 

 

mercoledì 12 gennaio 2022


 

Un Centimetro

 

Vincenzo Calafiore

 

 Svendiamo la dignità, l’unica cosa che abbiamo.

Tutto di noi sta in un piccolo spazio: il centimetro!

Lì siamo con la nostra libertà e dignità; ed è qui

che voglio vivere e morire, anche se finirà ogni cosa di me.

Tranne che quella misura di un centimetro.

Un centimetro di vita, di libertà e amore, ma è

l’unica cosa al mondo per cui vale la pena di lottare, che ho,

che abbiamo. Non va perduto, ne tanto meno svenduto,

non dobbiamo mai permettere a nessuno di portarcelo via! “

                                     Cit. Vincenzo Calafiore

 

Quanto pensi sia lunga la tua vita?

Non pensare sia di tanto tempo, a guardare bene hai, abbiamo a disposizione 10 millimetri che sono poi un centimetro.

Come lo spendiamo? Non bene certamente.

L’ulteriore grave crescita dei più diversi atti di violenza è il frutto di una malattia morale che ci sta annientando lentamente.

Il cinismo e la spregiudicatezza sempre crescenti, il pragmatismo senza principi, la mancanza di ideali e alti valori etici, il non credere in nulla, il rifugiarsi nell’alcol e nelle droghe, sono le strade che portano al degrado, alla violenza nelle sue più brutali forme, che purtroppo sfociano nell’assassinio, ma anche nel disprezzo dei principi e dei valori umani del vicino, all’assenza dei principi morali, alla mancanza di rispetto verso quanto è estraneo, alla violenza verbale, per no parlare poi della violenza quotidiana verso le donne.

Il degrado dei valori umani è cresciuto in maniera esponenziale  dopo la caduta delle ideologie totalitarie del Novecento, ( sono state confuse le ideologie totalitarie con gli ideali democratici e la cultura civile dell’Occidente che avevano osteggiato i totalitarismi.

Quindi senza Ideali e valori morali quasi azzerati, la malattia morale causa la triste superficialità, il dannato cinismi, la maledetta violenza, poco contrastati da chi dovrebbe.

La ricerca dei valori religiosi, le meravigliose iniziative del volontariato da sole certo non bastano, non sono sufficienti.

Per sconfiggere questa “ malattia morale “ non basta promulgare nuove leggi e non ne occorrerebbero altre, quando vengono saltuariamente applicate, quando manca la certezza del diritto e della pena.

Ciò che manca è la Cultura e lo spirito del rispetto delle regole e dei valori umani e morali che sono insiti in uno Stato.

Basta pensare che in Italia ormai non si insegna più la Costituzione, non si fanno conoscere i suoi fondamentali principi, l’educazione civica è scomparsa, cancellata!

Occorre essere consapevoli di questa micidiale e tremendo circuito per affrontarlo davvero coi fatti e non solo con parole di circostanza.

Bisognerebbe ricostruire una “ profonda consapevolezza delle responsabilità “ e degli inscindibili doveri e diritti individuali.

Sarà indispensabile ricostruire lo Stato di diritto, inserendo nei percorsi scolastici e formativi a ogni livello l’educazione civica, dei doveri e diritti di cittadinanza.

Senza queste premesse  la malattia morale come infestante gramigna ci soffocherà

A volte succedono cose strane, un incontro, un alito di vento suggeriscono nuove avventure della mente e del cuore, poi il resto arriverà da solo, nell'intimità dei misteri dell’anima.

A mancare in verità è la felicità! Perché spesso spendiamo la maggior parte del tempo, pensieri ed energie, in qualcosa che non ci fa sentire bene veramente. Non abbiamo uno scopo che ci emozioni e riempie la nostra vita.

Le persone infelici lo sono proprio per questo motivo. Non hanno qualcosa che dia loro una direzione precisa in grado di emozionarle. Non trovano un senso in ciò che fanno.

Come esseri umani cerchiamo sempre un modo per sentirci bene. Quando non lo troviamo adottiamo quelli che definisco “surrogati della felicità”.

Futili abitudini e comportamenti come mangiare in eccesso, bere troppo, trattare male gli altri, cambiare spesso lavoro e addirittura partner, che in qualche modo anestetizzano il nostro cervello e ci permettono di pensare ad altro o di non pensare affatto.

La domanda sul senso della vita è un tema ricorrente nella filosofia e nella psicologia, oltre che in letteraturapoesia e altre forme espressive.

Secondo la filosofia greca, la risposta è nella filosofia stessa come discorso e modo del vivere; emblematica, a questo proposito, è la figura di Socrate, a cui Platone attribuisce questo apoftegma: «Una vita senza ricerche non è degna per l'uomo di essere vissuta». La filosofia ellenistica indica altresì la strada degli esercizi spirituali, dell'«imparare a vivere». Per Zenone di Cizio, fondatore dello stoicismo, «Lo scopo della vita è di vivere in accordo con la natura»

La visione organica dello Stato platonico riproduce la tripartizione dell’anima individuale: l’anima razionale, la cui sede è la testa, è rappresentata dai filosofi, quella irascibile, la cui sede è nel petto, i guerrieri, quella concupiscibile, la cui sede è nel ventre, i lavoratori. L’armonia interiore che si deve stabilire nell’anima di ogni individuo affinchè sia felice ed appagato, si deve ricreare anche all’interno dello Stato, cercando di stabilire un giusto equilibrio tra le classi sociali, in vista del Bene comune. Lo Stato ideale platonico si configura come l’aspirazione per eccellenza dell’ideale del mondo classico all’equilibrio, al dominio razionale delle passioni, all’armonia tra le parti, valori che rimarranno impressi nella caratterizzazione della Cultura.

 

lunedì 10 gennaio 2022


 

Cominciamo da qui …

 

Di Vincenzo Calafiore

11 Gennaio 2022 Udine

 

“ … Cominciamo da qui,

dai miei giorni rubati, dai giorni lontani.

Entriamo nelle nostre vite in punta di piedi,

per non farci sentire, per non farci rubare

il desiderio di scriverci.

Il nostro angolo di paradiso, siamo noi!

Noi delle emozioni fluide, dei sogni che ci trasformano..

delle parole che a fatica volano

nei giorni ammucchiati, nelle ansie e le paure.

Dobbiamo vivere, vivere questo amore ora

come ieri, domani più di oggi !

Anche se poco conosciuti …. 

                   Vincenzo Calafiore

 

 

Ti chiedo di non dimenticarmi! No come un oggetto abbandonato in una lontana stazione.

Non dimenticarmi anche se non sai dove sia!

Se ti va, cercami e respira il mio silenzio dove per non morire trattengo quell’amore addosso come placenta, con quell’amore dentro.

Vorrei imparare a conoscerti e come sempre accade mi perdo nei miei pensieri conscio che il luogo del pensiero può essere un pericoloso labirinto di paure e sogni, emozioni, ricordi.

Io ti conosco, non ti lascerò più andare via ti terrò stretta al mio petto sussurrandoti quella canzone nostra, ti dico che ti amo baciandoti nell’abbandono, sottovoce senza luce.

Ora dimmi che mi ami!

Dimmi che stavolta non te ne andrai via, perché sai la vita non potrebbe essere domani,

resta qui, tienimi dentro i tuoi occhi e continua a brillare affinché possa sempre raggiungerti.

Sai dovremmo imparare a conservare i nostri sogni magari in quelle conchiglie che d’estate raccogliamo in riva al mare, e mettere le paure  nelle impronte lasciate sulla sabbia affinché il mare se le porti via.

Lo so, è assurdo! E’ una follia, io che parlo con te a uno specchio che nulla ha di te.

Ora in questa mia età credendo di essere lo stesso di ieri sai quante volte avrei voluto chiederti di rimanere … ? Vedi ? In questa mia età guardo la vita con altri occhi perché sai, altro non sono che il fantasma di quello che ero.

Ora ho l’amore sussurrato tra le pieghe della notte, negli occhi socchiusi,  e mi par di avere la tua testa con quella montagna di capelli appoggiata sul mio petto; sai è un’illusione! E come tale mi serve per non impazzire, a volte mi pare d’essere tornato a quando ero ragazzo, quando facevo finta di avere una ragazza.

L’adoro questa età, la rinnego quando mi getta in un angolo e mi fa scoprire fragilità che credevo non avere; in verità amore mio, sono uguale a una barca stanca di tanto mare!

Vorrei essere amato con le mie lune, col mio essere sempre perso in qualche sogno, con i miei silenzi; vorrei credere ancora che in questa mia senile attesa tutto possa diventare possibile, anche il vivere sperando che sia vero, sperando che la poetica leggerezza mortale mi accolga con la grazia che ho sempre dato ai giorni miei.

Sulla parete bianca con un carboncino, forse anche ubriaco, fumando un sigaro, una sera d’estate ….

  Oh quanto l’ho amata, la mia donna!

Ogni notte una donna diversa,

a volte impacciata, a volte sicura.

Arrogante e dolce tra le braccia.

Era tante donne in una, ma la tradiva il profumo

della sua pelle, sempre lo stesso,

il sapore delle sue labbra inconfondibile.

Queste le mie uniche certezze!

Era un sogno.

Che sapeva sorridermi e prendermi,

un sogno che a volte trovo e a volte no

come adesso che non so dove sia, ma so per certo

che l’amo da morire! “

Una cosa la so adesso, continuerò a mettere  il mio cuore in tutto quel che faccio come sempre accade!

sabato 8 gennaio 2022


 

Si, che lo sai !

 

 


Di Vincenzo Calafiore

09 Gennaio 2022 Udine

 

… dovresti fare attenzione

a certi occhi a come ti guardano,

a certi sguardi….

Dovresti sentirli certi abbracci,

ricordare certi baci… potrebbero

farti innamorare! “

                              Vincenzo Calafiore

 

Tu lo sai, tu sai amare e amerai quell’uomo che potrà rimanere con te tutta la vita.  Lo Amerai con tutta la tua anima perché tu Donna sai essere Angelo dei sogni e passione nell’amare.

Tu però Vivi, devi vivere  e lottare per la tua libertà, dignità; per abbracciare la vita e viverla con passione, vincere le tue battaglie di eguaglianza perché il mondo ti appartiene,

devi vivere perché con te la vita e bella, è troppo bella per essere senza significato.

Innamorarsi di te Donna è come entrare nella tua vita, entrarci in punta di piedi! Evitando di stravolgerla, non essere tempesta.

Ma per rimanerci come una carezza nell’anima, regalandoti sogni, ma soprattutto per ascoltare i tuoi silenzi. Non avere paura di aprire il tuo cuore … gli uomini non sono tutti uguali, sono mari e come il mare cangianti e sapranno emozionarti se saprai guardarli, se saprai cavalcare le onde buone o bastarde che siano, perché lo vuole l’amore, perché solo così è possibile amare, perché l’amore è questo.

Tu saprai trovare l’uomo della tua vita, sarà quando questo è capace di far rinascere la fantasia che è in te, quando ti sentirai guardata dentro … e ti renderai conto di quanto tempo avrai sprecato a inseguire chi invece non ti meritava.

Io, uomo, sarò emozione, sensazione, battito!

Sorpresa.

Carezze rubate anche dalla lontananza …. Solo se sarò in grado di leggere la tua Anima,

gli sguardi che raccontano.

Perché tu sei una Donna! Una donna da amare e non violentare, unica, capace di regalare un sorriso, amarti perché è bello, come respirarti attraverso il cuore.

Quegli attimi negli occhi! Questa sei Tu.

Sai l’amore è così, arriva all’improvviso e come un’onda ti travolge, a volte ti annienta, a volte ti porta in cielo, lo sentirai in te, dentro il tuo cuore l’amore vero, sulla tua pelle, sulle labbra, nelle mani.

L’amore che ha lo stesso colore del sangue: rosso, quel colore che scalda e brucia che può far del male, può essere un vuoto che ti inghiotte, o una mano tesa che ti aiuta a rialzarti.

L’amore che ti dona la vita o te la toglie in una lotta continua come l’onda con lo scoglio; ma è felicità, quella felicità che pur durando un solo attimo la ricorderai tutta la vita tua.

E allora cos’è questa felicità così indescrivibile, così diversa ogni qualvolta?

Sarai felice solo se non ti arrenderai mai al sopruso, alla violenza, allo stupro, se lotti per tenerti quell’amore, per nutrirti di purezza.

Sarai felice solo lottando ogni attimo, ogni istante di ogni giorno per non farti sfuggire di mano lo tsunami che ti ha travolta.

Io vorrei che tu credessi di più in te, vorrei che tu ti amassi di più e invece il più delle volte oltrepassi l’osceno e l’orrendo, o come scimmia vivi di gruppo, di vana e falsa vita sociale, dimenticando chi sei e cosa saresti dovuto essere, semplicemente una donna che si ama.

Io in te ci voglio credere e tu?

E’ notte, esco fuori e fumo una sigaretta pensando a un mondo senza te e non riesco ad immaginarlo; tremano le mani, vedo la neve scendere silenziosa e lentamente, le luci ovattate della strada in quel silenzio mi par di udire il rumore della nevicata, mi sbaglio è il tuo respirare lento che con magia chiama a se i sogni: questa è l’ora del sognare, sognare te che da qualche parte chissà in quale sogno tra un po’ mi raggiungerai, e allora si che sarò futuro e non passato remoto!

Abbi cura di te, Donna.

 


 

Che cosa, ci fa sentire soli ?

 

Di Vincenzo Calafiore

8 Gennaio 2022 Udine


Noi  “ umani “ siamo – forse- gli animali più socievoli  e lo sono anche gli scimpanzé e le scimmie . Troviamo conforto e piacere nell’avere sempre più amici e conoscenze che gravitano o orbitano attorno a noi; persone che per motivi diversi o passivamente onorano o venerano la nostra persona quale che sia la nostra azione o le parole donate loro.

La “ vita “ però va in una direzione esattamente opposta alla nostra di desideri o a quella immaginata, così viene a crearsi una sorta di competizione che rende impossibile la realizzazione di un modello di vita, quindi non rimane che scendere a compromessi.

L’ arte “ del piegarsi senza spezzarsi “ è un’abilità essenziale alla sopravvivenza del nostro smisurato ego e allo stesso tempo essere così tanto inarrivabile per la stragrande maggioranza di noi?

Il male di questo millennio ha il nome di “ ipersocialità “ . Come è possibile in questa era di – globalizzazione -  sentirsi soli ?

Ma la vera domanda, cioè quella – zero -  è : perché ripudiamo la solitudine? Capita a ognuno di noi sentirsi persi stando da soli, perché ci troviamo di fronte all’ultima cosa con cui vorremmo avere a che fare: noi stessi , il nostro peggior nemico !

Quando ci si trova nel gruppo o nel branco nella maggior parte dei casi tendiamo ad avere un comportamento diverso, come avere una seconda personalità; questa personalità sociale o più semplicemente maschera. Le due personalità tendono a combattere per la supremazia giusto il tempo che la persona tende a trascorrere assieme ad altre persone, solitamente scialbe e remissive, vuote e superficiali che rimangono lì senza risolvere un qualsivoglia problema.

Quando rimaniamo soli, non avendo la necessità di mettere in atto la personalità sociale, veniamo a contatto e siamo obbligatoriamente in compagnia con l’ex- vero “ io “ ormai uno spettro che, specie nella mente dei più insicuri, i più deboli, tormenta le nostre decisioni e azioni guidate da quel precario e inutile istinto della personalità sociale.

Non sarai mai solo/sola se ami e ti piace la persona con la quale stai solo/solo: te stesso/a  La precaria e inutile personalità sociale conduce alla totale chiusura in se stessi o a una esasperante ricerca di socialità, ( ricchezza, notorietà, successo ), segnali di una grandissima insicurezza e mancanza di carattere ben formato; sviluppiamo così una grande paura per il “ vero io “  che ci rende terrorizzati solo all’idea di rimanere soli con lui,  ( il star da soli ) .

Così stando le cose, si potranno verificare certe situazioni a questo “ sdoppiamento della personalità “ :

-          Accettare la personalità sociale come vera e definitiva seppellendo la vera.

-          Accettare il proprio – io – ( Ego Sum ) e seppellire la personalità sociale, in cui il vero io è la personalità sociale, per farlo ci vuole carisma, animos.

-          Si può relegare ipocritamente a personalità di facciata ( maschera) pur mantenendo ben saldo al timone della nostra esistenza il vero io.

E’ essenziale come il mangiare e dormire, considerati i tempi delle dinamiche sociali fluide e superficiali, la nostra vera entità non è sempre ben gradita dal gruppo, branco, compagnie con cui spesso ci relazioniamo lungo il percorso della nostra esistenza. La solitudine e la sensazione di essere soli è una – condizione – che spesso sperimentiamo nella nostra vita. A volte .Si sceglie di stare soli per godersi un momento solo per sé, che possa servire come periodo di riflessione, di meditazione o di puro rilassamento e pace interiore. Paradossalmente, questa ricerca di intimità con sé stessi è scarsamente ricercata dalle persone che vivono in questo periodo storico. Si riduce la tendenza a voler ‘convivere’ con il proprio Io, si ha paura del proprio ‘buio’, dei propri pensieri, di cadere vittima di tranelli della mente che potrebbero condurre verso cali di autostima, depressione o ansia. Si tende a prediligere la presenza di altri, probabilmente per soddisfare i crescenti bisogni di approvazione e appartenenza tipici della nostra epoca. La continua presenza dell’altro può rivelarsi un efficace distrattore dai propri problemi e difficoltà personali, e colmare vuoti affettivi.