mercoledì 30 dicembre 2015



L’anno 2015 finalmente sta andando via. E’ stato un anno terribile di guerra e di morte, di rovina. E speriamo che il 2016 sia almeno un poco diverso anche se coscienti che nulla cambierà. Per fortuna c’è la possibilità di fuggire dalle bruttezze riparando nelle cose che più ci piacciono, come ad esempio scrivere o leggere, ascoltare della buona musica, nell’ arte! Perché senza arte non si può vivere.”



Una ragione di più

Di Vincenzo Calafiore
31 dicembre 2015- Udine


Siamo giunti io e te, dopo un lungo e estenuante viaggio in questa stazione dimenticata nella solitudine; abbiamo viaggiato a lungo con il nostro bagaglio pesante di amarezze e di solitudini ormai macerati e leggeri, facili da portare.
Nel nostro viaggiare ci siamo nutriti molto di ricordi, e affacciati da quel finestrino di quel treno abbiamo guardato il nostro passato allontanarsi e riavvicinarsi come un tempo armonico di strane melodie.
Tu sapevi, conoscevi già le trame di binari su cui saremmo corsi come un treno impazzito, avevamo allora più o meno venti anni ed eravamo aria, luce, poesia, amore.
Quanta strada assieme, a piedi abbiamo attraversato in largo e lungo la nostra vita come fosse una prateria sfinita dal frinire di cicale; ci siamo amati allora come adesso che viaggiamo su un treno che corre piano e arranca nelle salite, scivola piano e sferragliando nelle lunghe discese e pianure avvolte nel silenzio.
Io mi sono innamorato di te non perché sei bella, ma di quella primavera che custodisci dentro, del tuo sapermi guardare, del tuo sapermi spogliare di tutte le mie miserie umane; ti ho amata e ti amo ancora per questo, tu sei la mia compagna ideale di questo lungo viaggio assieme.
Ricordo ancora quando ti guardavo e mi perdevo in quegli occhi, ci ho visto sempre il mare di spiagge assolate e gabbiani, certe volte ho visto un dolore che solo tu conoscevi, ho visto le tue lacrime scendere e disegnare il tuo volto.
Credo che fu allora che mi innamorai di te! Di te che venivi da un lontano tanto uguale, tanto di mare, tanto di mio.
C’erano in quel tempo gli attimi lunghi un’eternità e le eterne attese in un attimo risolte con un lungo bacio, era l’attimo conclusivo di un viaggio dentro te che a sua volta era anche l’inizio, la partenza verso un’altra vita alternativa.
Ora tutto sembra scorrere pigro e uguale, tutto è importante ancora fondamentale, come il mio ti amo dagli occhi al cuore in questa stazione sperduta ove si sono perse le coincidenze e i posti a sedere; e c’era un tozzo di pane e un bicchiere di vino scambiati con la medesima simultaneità familiare delle parole non dette.
Sapessi tu quanto ti amo ancora!   
E siamo ancora in viaggio, anche se seduti in diversi scompartimenti entrambi con lo sguardo a guardare comparse affollate dietro lo schermo del finestrino, rapide nel loro incidere come fotogrammi di un film che altro non è dalla rappresentazione realistica della loro vita senza la possibilità di scegliere se stare dentro  stare fuori a sentirla come propria la vita, regalata all’inerzia dell’attesa.
Io ti amo! , ed è una ragione di più per continuarlo il nostro viaggio e non importa che i giorni, i mesi e gli anni scorrono lenti e veloci dentro e fuori le rotaie su cui scorre il nostro treno. Non importa il tempo, non c’è più tempo dentro quel ti amo che scriviamo sui vetri appannati o che diciamo nel breve respiro. E’ un ti amo lungo un viaggio di una vita che ho e che vorrei ancora, ma oltre potrei scambiarla per una  - vicevita -  che esiste solo nella mia mente mentre tu ci sei, e sei dentro me, nell’anima, nel cuore, che mi allontani dalla rischiosa ipotesi di rassegnata accettazione del nulla!
Ti amo! Ed è una ragione di più per vivere, per dirtelo ancora sbagliando anche le parole!

domenica 27 dicembre 2015



E….. ancora ci chiamano “ terroni”


Di Vincenzo Calafiore
28 dicembre 2015 –Udine

“ Questo è l’editoriale che chiude l’anno 2015. A questo ho pensato da molto tempo. Sto anche pensando di smettere, mi sono stancato, sono stanchi gli occhi. Ora mi prendo un po’ di riposo in attesa di nuove! “

Ancora oggi, se pure demodé nel profondo “ Nord” appena mi sentono parlare, sanno già di trovarsi di fronte a un “ terrone”, questa identificazione mi è rimasta addosso da quando vivo qui al Nord, in Friuli.
E’ una storia vecchia, ma sempre verde, a volte con cattiveria e altre volte per scherno, ma la verità è un’altra e cioè che il Sud, in pieno sviluppo, fu svuotato dai suoi beni per far crescere il Nord.
E’ una cosa amara e sconvolgente allo stesso tempo, parlarne ancora oggi, ma è un viaggio alle radici “ vere” di un paese che è riuscito a fare diventare degli italiani del sud
“ meridionali “. E’ una cosa negativa che questo termine ce lo portiamo addosso dalla breccia di Porta Pia a oggi; scoprire perché siamo diventati “meridionali” e un peso morto è un viaggio scomodo perché bisognerebbe abbattere i muri del conformismo, della beffa di inveterati luoghi comuni e perché si rivendica l’orgoglio di chi potrebbe ammettere di non essersi mai posto la questione di essere del Sud o del Nord e poi scopre di appartenere al quel popolo di “ terroni” e di briganti che ha scritto anche pagine eroiche e gloriose di storia.
Forse non si sa o non si conosce perché non è stato mai voluto fare conoscere la storia di quello che i Piemontesi fecero al Sud come quello che i nazisti fecero a Marzabotto. La violenza perpetrata per anni camuffata in operazioni di antiterrorismo cancellò per sempre molti paesi, non si dice o non si vuole raccontare o far conoscere nelle scuole che nelle rappresaglie si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali, come accadde nei Balcani.
Che in nome dell’Unità nazionale i Piemontesi ebbero diritto di saccheggio delle città meridionali come i Lanzichenecchi a Roma e praticarono la tortura. Meridionali incarcerati senza accusa e senza condanna in campi di concentramento.
Non viene detto, non viene spiegato, non viene studiato nelle scuole che l’occupazione del Regno delle Due Sicilie fu decisa e progettata, protetta dall’Inghilterra ( ecco da dove nasce forse il mio rifiuto della lingua inglese e dell’Inghilterra stessa), Francia e dalla massoneria.
Ne si dice o si insegna nelle scuole che Il regno delle Due Sicilie fosse fino al momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo prima di essere invaso.
Noi “ meridionali” o “ terroni “ non immaginavamo certo di stare così male nell’inferno dei Borbone, che per obbligarci a entrare nel paradiso portatoci dai piemontesi ci vollero orribili rappresaglie, stragi, anni di combattimenti, leggi speciali, stati di assedio, lager, paesi incendiati, fucilazioni di massa, fosse comuni.
L’essere obbligati a studiare l’inglese o il francese per essere italiano!
“ Le Royaume d’Italie est aujourd’hui un fait “ annunciò Cavour al Senato.
E’ un viaggio nelle fosse dimenticate (col silenzio della storiografia ufficiale,) dei morti trucidati durante l’assedio di Gaeta, furono trovati  duemila cadaveri di borbonici orribilmente mutilati. Dimenticati, nel lungo elenco degli eroi maledetti finiti nel lungo elenco dei briganti, come quello del Sergente Romano di Gioia del Colle, un Garibaldi alla rovescia, accolto da liberatore nelle cittadine che conquistava.
Un viaggio in luoghi che nessuno ha studiato sui libri, simbolo e sintesi di quel che accadde allora al Sud! Come i due paesi della Campania Pontelandolfo e Casalduini in cui alla sollevazione contro i soldati Piemontesi, corrispose la più feroce rappresaglia mai compiuta in Italia, il mandato fu chiaro: distruggere un paese in un giorno solo! In pratica cinquecento bersaglieri contro cinquemila abitanti. Ogni bersagliere doveva ammazzarne dieci… e fu la mattanza.
Quando l’Italia divenne unita il Piemonte era pieno di debiti, il Regno delle due Sicilie pieno di soldi. L’impoverimento del Meridione per arricchire il Nord non fu la conseguenza, ma la ragione dell’Unità d’Italia.
Pier Carlo Boggio deputato cavouriano ( 1859) scrisse con chiarezza: “ O la guerra o la bancarotta” . Ecco perché dopo la guerra si fece cassa comune e con i soldi del Sud si pagarono i debiti del Nord.
La costruzione della “ minorità” dei meridionali o dei terroni è un processo che va avanti dopo l’Unità d’Italia, ma la verità sconcertante è che il – divario – tra Nord e Sud è stato scientificamente costruito e si ha tutto l’interesse a mantenerlo. E sono stati commessi e si continuano a commettere gli stessi errori cercando di eliminarlo, ma sono stati e continuano ad essere decisioni e interventi, strumenti del male affare, per fingere di fare facendo esattamente il contrario, cioè dando poco, pochissimo di straordinario e togliendo molto, moltissimo dell’ordinario. Senza nulla fare per impedire che le risorse del cosiddetto Meridione continui a migrare al Nord e che il Sud continui a subire decisioni altrui con il doppio danno di venir privato delle risorse e disabituato a essere responsabile di se stesso. Questo ricorda un’altra storia, cioè quella dei visi pallidi e gli indiani d’America, alla fine confinati nelle riserve e li costretti a subire le decisioni altrui!
Forse chi ancora osa appellarmi “ terrone” dimenticando che ho un nome e un cognome, che sono un Italiano, dovrebbe pensare prima a questo retaggio, a questa lurida storia fatta di sangue e di sfruttamento, ma più di tutto dovrebbe ricordare quanta cultura c’è in questa profonda, lontana, “ riserva italiana” e poi vedere chi tra noi due è più “ terrone”.
  


giovedì 3 dicembre 2015




I passi incerti

Di Vincenzo Calafiore
3 dicembre 2015- Udine

Vorrei continuare a studiare, prima di essere troppo vecchio, studiare per contrastare il mio declino.
Le mie età, i miei giorni vissuti, come tante finestre che hanno una vista sull’invisibile si affacciano sul cielo azzurro dei miei sogni, sogni ancora da realizzare nell’arco di questo tempo che mi rimane.
Certe volte mi sento vecchio davanti alle mie parole più giovani di me, che ancora continuano a girare il mondo, a produrre i loro effetti, a far nascere e a tenere in vita altri universi a me sconosciuti. Mentre io sono fermo, lì, su una poltrona davanti a una scrivania ormai da troppi anni in compagnia di una moltitudine di nostalgie, vivo sempre più in disparte, più piccolo, più ai margini della vecchiaia.
Sfinito dalle inutili contrapposizioni vado incontro alla mia triste puttana che m’accoglie da consumata attrice d’avanspettacolo, si spoglia, mi spoglia.
Quelli passati sono stati anni d’oro profuso, anni in cui si sovvertiva il mio mondo, erano gli anni di Socrate,  Aristotele, Freud, di Schonberg, Egon Schiele ( Donna distesa con giarrettiere rosse 1913); gli antichi vincoli si sfaldano mentre là fuori la dodecafonia riscrive la musica e la psicoanalisi riscrive la mente. In quella mia epopea si incubavano magnificenze e errori sotto un cielo sempre più blu sopra un teatro di rovine fumanti, generazioni di sogni cancellate, e parabole di fulgente bellezza polverizzate.
Nella memoria sono e vivono in strana promiscuità soprattutto corpi e volti che scavano entrano sottopelle, costringono a continua metamorfosi, che abolisce qualsiasi forma suggerisce punti di vista arditi, mi fa seguire le linee di un doloroso, spigoloso, drammatico farsi per contenere quell’io che deborda e invade di sé tutto il mio tempo.
E’ un vivere da camaleonte!
In questo mio proscenio certe albe hanno la notte raggrumata attorno agli occhi e mi ricordano la donna che amo, il cui volto è incrocio di tenerezze e infinite passioni di linee di forza del misterioso senso dell’identità!
La mia donna di drammatica seduzione e di altissima fascinazione e provocazioni erotiche, sia pure nelle sue pose spezzate, assi metriche , contorte, all’imbrunire appena tramonto: la mia vita.
Se i miei sogni mi hanno portato fin qui, le mie parole mi portano via da qui, mentre la mia vecchiezza da sofisticata manipolatrice che è sta cercando di cristallizzarli; ma i veri sogni bisogna saperli prima individuarli e poi interpretarli, il resto dei sogni non sono altro che scintillamenti improvvisi che indicano un cammino illusorio che non portano da nessuna parte.
La vecchiaia, sa essere allo stesso tempo, puttana e amante del suo re segreto che governa nel profondo al di la dei poteri apparenti concessi; ma c’è l’amore con il suo fascino e le fascinazioni a ricordarmi quanto sia la mia Amapola la vita.