martedì 29 novembre 2016



Vita, quanto mi sei triste
Di vincenzo calafiore
30Novembre2016Udine


Novembre è andato via portandosi dietro le distruzioni e domani inizia il mese più bello, il più fantastico, il mese della fantasia, della magia, in cui tutti o quasi riescono ad ascoltare il cuore e la magia si ripete: è quasi Natale!
Per questo bisognerà lasciarsi alle spalle i soggettivi percorsi vitali anche se sarà difficile, se non altro per la necessità di ridefinire se stessi sui nuovi parametri che attestano la crescita e il cambiamento possibile.
Anche se qualsiasi evoluzione comporta rinunce più o meno gravose, oltre che la profonda ristrutturazione dei rapporti con gli altri.
Difficile, col mondo esterno che pressa, depositario di mode che non servono,disvalori che certo non fanno bene nei rapporti umani.
Troppo cinismo e spregiudicatezza, sappiamo sempre più crescenti, il degrado dei valori che cresce sempre più, la mancanza di alti ideali e valori morali fanno si che cresca una specie di malessere morale sociale che produce superficialità, cinismo e violenze.
Forse a mancare sono i valori religiosi per sconfiggere questa malattia, credere a Dio sarebbe la cura perfetta.
A mancare è la cultura e lo spirito del rispetto delle regole e dei valori morali che sono necessari, bisogna essere consapevoli di affrontare questa terribile spirale con la consapevolezza delle responsabilità e degli inscindibili doveri e diritti di ognuno.
Tuttavia non è più sufficiente osservare per capire perché è importante leggere fatti e azioni dall’interno, dalla parte dell’anima e della sensibilità.
Purtroppo abbiamo a che fare con il tempo, che scorre velocemente, inesorabilmente, estremamente variabile, se ci si trova con persone con cui si sta bene esso scorre velocemente e bene, se invece ci si trova da soli è triste e sembra quasi fermarsi e far avvertire la solitudine come una condizione esistenziale, proprio nella sintesi di attimo che fugge, di memoria del passato e di speranza del futuro, risiede quindi la percezione temporale soggettiva che potrà essere ricca di progetti, di speranze, di amore. Ma può diventare vuota e triste se non viene riempita di parole che parlano e raccontano di una lei o di un lui.
Parole che sono sentimento che si avverte quando la persona verso cui si provano non è presente e, emozione allo stesso tempo, voglia di tenerezza, voglia di desiderio.
Quindi il sentimento è interumano e dà forma ad un legame attraverso il quale due esseri umani si confondono l’uno con l’altro, sino a diventare qualcosa d’altro rispetto a ciascuno dei due presi singolarmente.
Anche la nozione di corpo fa parte del gioco, per la sua fonda mentalità nel processo di costruzione dell’identità; il corpo amato e venerato, ma talvolta odiato perché non conforme ai modelli offerti da un esterno vuoto che diventano imperativi rispetto alla percezione che si ha di se stessi.
Esso è l’elemento di valutazione più immediato che il soggetto esibisce al mondo esterno, ancor prima che avvenga il contatto relazionale con gli altri. E’ noto che esiste un’iterazione tra la personalità e il corpo per quel processo di reciproca influenza che tanto fa bene nei periodi felici della vita, quanto male in quelli bui.
E’ un gravissimo errore tuttavia ridurre il valore di un essere umano al corpo soltanto, così come  lo sarebbe  non prenderlo nella giusta considerazione.
Purtroppo erge la necessità del sentirsi belli ad ogni costo e quindi diventa fondamentale l’aspetto fisico per una donna un bel corpo significherà essere una bella…. Per l’uomo un bel… ma non è esattamente così sempre.
E’ un valore fortemente simbolico. Solo in questa maniera si corre il rischio di diventare oggetto di culto per la valenza che ha, talvolta sacrale.
Il corpo quindi mezzo attraverso il quale sentirsi di appartenere a una finzione più che all’umano, e al tempo!
Meglio godersi questo lungo mese di pace e serenità con noi stessi prima e poi con gli altri, sperando che sia davvero “ Natale”, sempre più se stessi, sempre più umani.

sabato 26 novembre 2016



La mia solitudine

Di vincenzo calafiore
26Novembre2016 Udine

“ … non lasciare un sogno morire, non abbandonare un sogno, potrebbe non tornare più! Ma se l’hai per esso lotta affinchè rimanga, affinchè viva…. “

La notte si presentò col suo velo di sposa,trapuntato di puntini d’oro, a guardarla brilla come una culla di madreperla.
E’ una donna che seduta sul bordo del letto, scioglie i suoi lunghi capelli, negli occhi già un sogno s’appresta e il viso si distende, la sua pelle vellutata è l’ombra in cui pian piano svanisco; in questa mia solitudine un sogno è andato perduto.
Vale la pena di rimanere fermi ad ascoltare il suo lento respiro, e immaginare cosa potesse significare se l’avessi incontrata; è come restare fermi davanti a una porta per giorni interi senza che questa si apra.
Mentre la radio trasmette, “ Era di maggio”  ….. sale così maggiormente la tristezza e avverto il peso della solitudine: lei è così lontana, così irraggiungibile, così immediata nelle sue scelte di fredda realtà.
Le ricordo ancora le sue parole, parole tristi, come un mare senza spuma bianca, senza ala di gabbiano.
La mia notte rosso di tannino è lì che sale piano, come marea e fra poco ogni cosa sparirà come spariranno i contorni, le sottili sfumature di vita che si vorrebbe avere e invece inghiottite, da un nulla perentorio.
Come il velista rimane a bordo a cucire vecchie vele, così io resto nel mio sogno a sentire il sapore che ha un sogno che muore!
Proteggo con il cuoio il palmo delle mani mentre scivolano via nodi da velai…. È la realtà!, che ripudiata ricade in mare, polvere inutile che invece di abbellire, invecchia e ammuffisce le cose.
Sembro un certosino. Ogni rammendo è una buriana alle spalle! Dico: < finirò che ci metto la firma, o almeno la data. >
E’ il 26 novembre scopro un grillo a bordo, faccio un po’ di conti, dev’essere veneziano.
Finisce che sbarco dal mio sogno per cadere in una pagina del mio racconto ove personaggi e comprimari, comparse, sospesi attendono di riprendere vita; sbarco e tutto cambia, non c’è più quell’aria da sogno, è andata perduta la magia e, gli elfi hanno fatto ritorno tra le rime del sogno.
Io sono qui con la mia solitudine.
Provo ad accendere una delle candele e la fiammella sbava verso la Grecia, l’Albania,
dico ad alta voce: << Egyna Tourkos …. mi sono infuriato come un turco; rispondo: < scusa mi sono comportato come un Vlaho …. come un montanaro >>
Ecco, la mia Grecia è anche questo …. Un po’ quello che sta muovendosi dentro me, uno strano miscuglio tra rabbia e delusione, amarezza di vedere un sogno nascere e poi vederlo morire.
E’ questa la realtà ? La realtà tanto amata e tanta osannata?
Ma è così davvero necessaria? E’ davvero così importante rimanere prigionieri di una realtà che come piombi legati ai fianchi tende a portare giù negli abissi di un’esistenza opaca, grigia di solitudine, ammuffita dai rimpianti, incenerita da un sordo tonfo in un fondale nero?
E’ dunque così importante essere realisti, anziché sognatori?
Mio Dio che offesa alla vita!
La vita non è realtà, la vita è sogno!
E’ un sogno da cullare e crescere, con cui andarci a letto e assieme svegliarsi, portarselo dietro ovunque, in tasca, in testa, nella memoria, ovunque purché il sogno sia sempre lì a portata di mano a portata di occhio, di cuore, di vita.  
Allora chiedo alla notte a cosa serve la realtà? Lei si ritrae solo a sentirla pronunciare e svanisce, così pure le stelle, rimangono invece nuvoloni grigi, pesanti come drappi davanti alle finestre da cui non entra luce.
Non c’è più luce.
Non c’è più sogno.
Che senso ha consegnare la vita alla realtà?



domenica 20 novembre 2016



                        E’ quasi Amore, quasi vita

Di vincenzo calafiore
21Novembre2016 Udine

“ ….. tanti rumori, tanti desideri,
tanti sogni, tanti silenzi…… “

La mia lunga notte “ turca “ finisce davanti a un davanzale di finestra, immaginando che lì dinanzi a me ci sia il mio mare,  e sentire quel vento dolciastro di miele, fichi, proveniente da Messina; improvvisamente tutto cambia, l’aria sa di cicale, lenzuola al vento, rumore di stoviglie, profumi di basilico, gelsomini.
L’ombra dei miei ricordi si allunga fino a coprire l’orizzonte e già, mi pare di tornare a casa.
Navigo con la mia astronave silenziosamente verso le braccia dell’amore più bello, dentro una foschia color viola, il mare dei ricordi si riempie nuovamente, la processione si compatta e riprendo a navigare …. mille vele bianche sospese sul blu!
E c’è questo amore che improvvisamente mi rende indomito e fiero, condottiero della Santa Alleanza, desideri come bandiere al vento, come di quarantamila rematori che desiderano la terra.
Scorrono nuove immaginazioni è ricomincio a muovere i primi passi nell’eco di un sirtaki che si fa sempre più forte sempre più intenso, sempre più vita; così mi lascio andare in quei voli e sobbalzi di cuore, di desideri infiniti, è quasi un tornare, è quasi amore!
A bordo, lato mare, negli ultimi fuochi di età selvaggia leggo come di un portolano le ultime rotte che mi faranno tornare la mia tendenza alla rapina di quegli amori che io credetti di aver perduto, la mia nuova terra, i miei nuovi cieli, i miei nuovi desideri di sbarcare tra le braccia che da una riva lontana mi attendono!
Mancano due miglia soltanto e mi preparo a sbarcare.
Nel frattempo in una specie di bonaccia, da una finestra resto fermo, a vele flosce e immagino cosa significa vivere senza amore, restare prigionieri di desideri incalzanti è come trovarsi fermi davanti a un porto e non poterci entrare.
Mi accendo una sigaretta, non per ingannare il tempo, perché nulla nemmeno l’anemometro sostituisce il fumo della sigaretta nell’indicare se c’è una bava di vento nell’aria.
La mia anima, come mare respira la bonaccia, resto in un mare senza patria, mentre vergo rime rosse di tannino, e via coi pensieri e le immaginazioni, sembro un certosino.
Ogni pensiero è una buriana alle spalle! Scopro un sogno…. Ed è quasi vita!
E’ quasi l’alba … sbarco e tutto cambia.
Cicale, fichi, lenzuola al vento, rumore di stoviglie, musica, allegria, desideri, amore, lontananza, distanza, tutti dentro una parola, tutti in fila in attesa d’essere librati nell’aria che in me torna a muoversi.
Tutto diventa accomodante, i miei anni passeggiano sentendosi a proprio agio…
Gli anni vecchi sono vecchi.
Gli anni nuovi, sono pirati.
Benedetta vita che torni!
Ciascuno si prende il suo tempo, in questo mare di mezzo e la mia vita diventa flamenco o sirtaki è uno scoppio di felicità, o una lite spaventosa tra l’età mia e i nuovi o forse gli ultimi sprazzi di desiderio di fare l’amore, su una riva lontana da tutto.
Si accende forte la luce, il sole è già alto, è già giorno! Si spegne l’alterco tra i tanti desideri, comincia la vecchia “ Moya” e tutto torna negli occhi!
Da ciò che è in lotta torna la più bella armonia mentre pare che tutto si realizzi attraversando desideri.
Parto per le stradine di quel mio portolano a caccia di cose veneziane … di una Venezia caduta e risvegliata da un letargo lontano, mentre io Andreas Papadatos, benda nera come Capitan Uncino, schiudo stanze pieni di libri e manoscritti su questo scalo d’amore e di distanze, cerco sicurezze come vecchi mercanti cristiani,ebrei e greci, cercavano riparo dai pirati algerini prima ancora che dal Turco!


sabato 19 novembre 2016



La lunga notte

Di vincenzo calafiore
19Novembre2016 Trieste


chissà se mi leggerai.. “

Ci sono situazioni inaspettate che aprono nuovi scenari, fanno sì, che si pensi a nuovi risvolti possibili, ma anche alle brevità delle cose sia dell’amore che del quotidiano vivere.
C’è in ogni aspetto di questi, una cosa fondamentale, non trascurabile, ed è la dignità umana, da tutelare, da difendere, rispettare.
“ Noi “ detti umani ( fino a che punto poi ), sospesi in un’aria di vita e di morte, fatti più di stupidità che di intelligenza, noi che continuiamo caparbiamente ad affermare nei fatti e nei pensieri, con le parole affermare di voler vivere, vivere ad ogni costo a volte lottando con ogni mezzo contro ciò che naturalmente o accidentalmente “ la vita “ ci pone,  facendo primeggiare la vita ad ogni costo e farne di questa poi scempio.
E’ un controsenso, un orrendo controsenso, perché la vita o il vivere, non è certamente quello che noi ostentamente ogni giorno, ogni momento, vogliamo sia o facciamo sembrare.
Ogni essere umano teme la morte e vorrebbe vivere in eterno; negare la fine sembra infatti rappresentare l’unica battaglia che si vorrebbe vincere, impegnandosi in attività che sfidano l’inesorabile scorrere del tempo.
Perché è di tempo che si tratta, un ticchettio inesorabile che si mette in moto sin da quando si è micro!
Così ci si spinge ad accumulare, denaro e ricchezze, così nel tentativo vano di apparire inossidabile, a ricercare spasmodicamente il successo, potere, ma anche per poter vivere dignitosamente, per amare, per amore.
Affrontiamo l’eterno tema ricorrente vita-morte con sforzi sovrumani per essere al meglio nell’aspetto fisico mantenendolo il più possibile inalterato anche ricorrendo a ripetuti interventi di chirurgia estetica.
In questa ottica, pure l’anima e i sentimenti finiscono per essere sottoposti a lifting per apparire …. quelli che non si è!
C’è ora una donna, una madre, che in questi giorni lunghi come la notte sta lottando per tornare alla vita per se, per sua figlia, l’unico suo grande amore.
Grande lavoratrice, ma anche una di quelle persone sempre sorridenti, con la battuta pronta per fare allegria o per esprimere un suo pensiero sul sempre eterno tema di cosa significhi vivere.
Lei vuole vivere e forse non potrà come lei vorrebbe, poiché all’improvviso e inaspettatamente la sua vita è cambiata o sta cambiando!
Chissà se penserà di vivere o di morire, morire con dignità! La dignità umana del congedo è fondamentale per chi va ma anche per chi resta a ricordare.
Come si pensa di vivere, allo stesso modo, non si può sconfiggere l’idea e la realtà della morte se questa è intimamente legata alla vita in ogni istante, sin dalla nascita.
Senza farsi vincere dallo sconforto, è invece possibile imparare a convivere al meglio con il pensiero della fine, analizzando la percezione dell’umana finitezza nei suoi aspetti più simili alla vita, in quelli che rendono comunque il soggetto degno del suo nome, dignitoso al cospetto della sofferenza, e coraggioso di fronte all’esperienza della fine.
Chissà se Rosanna sta pensando anche a queste cose e non può farle conoscere.
Tuttavia come si ama vivere, così si dovrebbe concepire che, se ha ben vissuto, la morte non sarà dolore insopportabile; al contrario, può essere difesa dal “ non senso “ e dall’angoscia propri dell’eternità.
E così come ci sono tante maniere per vivere, esistono altrettanti modi per morire, sebbene il più delle volte il modo in cui ci si congeda dalla vita non può essere scelto.
“ Se la fine è accettata non è più fine, bensì conclusione di un processo vitale che comunque ha avuto un senso”
Ma quando il filo che lega alla vita si fa sempre più sottile, come fare a dialogare nella maniera giusta con colui o colei che sta per lasciare ciò per cui ha lottato?
Come si fa a pensare che tutto ci è dovuto, che sarà eterno?
Come si fa a pensare che fino a ieri, lei, Rosanna graffiava e aggrediva la vita e ora forse non potrà più farlo?
Rimane il vuoto, l’incertezza, la sopraffazione del pensiero negativo, il vedere nero. Lei non lo vorrebbe tanto ama vivere!
Vai alla luce, torna!