martedì 31 luglio 2018



Ecco, ti consegno il mio sogno


Di Vincenzo Calafiore
1 Agosto 2018 Udine




In questo alternarsi  malinconico dei giorni, in questo tempo più di transizioni che di sogni, rimane quel mio sentirti, immaginarti dentro,  averti in testa, nel mio cuore.
Lo so, uno scrittore finisce sempre per svelarsi attraverso i suoi scritti e qualcosa di più intimo, più profondo, sfugge e arriva o arriverà alla sua destinazione, io amore, lo spero sempre.
In questo mio tempo di alternanze, e di attese ci sei Tu, un’esistenza dolce che in me fai marea. Dovrei darti del lei invece che quel  -tu- confidenziale, no in questo caso.
Che mi fa ancora sognare e guardare la vita con occhi diversi si fa amare con tutta quella poca dolcezza che un uomo possa avere.
Io lo so che l’unico mezzo per raggiungerti oltre la nostra “ Pegasus” è la scrittura. Sai,
la scrittura è per me l’essenza della realtà che può fare a meno della realtà, che può sostituire ciò che non esiste e rappresentare un’assenza, costringere la realtà o la natura assente a presentarsi nella sua inafferrabilità …  come fa lei quando mi abbandona per un altro sogno che non è il mio.
Io che ancora scrivo e sogno l’amore.
Ma l’arte dello scrivere può, con l’invenzione, far intravedere un bagliore di verità, più della realtà che la cela nella sua esteriorità.
Ecco perché scrivo, scrivo di un sogno lungo una vita e mentre lo faccio la radio trasmette in

cuffia Edith Piaf Edith Piaf - No je ne regrette rien ed è un brivido che mi percuote smuove infinita dolcezza e desiderio di cantarla sottovoce assieme a lei.

Forse non lo sai, ma sono qui per te, per farti viaggiare pur trovandoti seduta davanti a una finestra spalancata sul nulla; forse non sai quanto sia difficile la mia vita, non conosci o non mi conosci così come sono.
Sappilo questo sono io:
Barba bianca e capelli arruffati dal vento, la carnagione olivastra, gli occhi mobilissimi, sempre pronti a seguire le strane traiettorie disegnate in cielo dai gabbiani … che mi basta scrutare il lento movimento delle nubi all'orizzonte ove sei tu per capire se la mia notte sarà propizia di sognare o rintanarmi per sfuggire alla tempesta.
Se mi guardi forse ti colpiranno i miei occhi e quel mio certo modo di farli parlare,  ho la voce, che a un tratto sembra spegnersi in un suono rauco, d’improvviso si dilata quando ti dico t’amo e s’aggrotta quando te ne vai via come un sogno… questo potrei essere io o sono io innamorato della vita e dell’ultimo sogno che mi lascia al primo albore.
Ma potrebbe essere tutto il contrario, sai,Tu vivi e risiedi nel mio cuore questo lo sai e non potrebbe essere diversamente.
Perché sai che ogni cosa, io stesso, veniamo da quel mare, lo stesso che è metafora dell’incertezza e del mistero della vita, la mia vita che segue il ritmo delle onde e l’intensità della luce del sole o della luna per razziare al largo dei mari, sogni ancora sul nascere.
Tu mi incanti coi tuoi occhi da strega, mi incanti con le tue labbra ogni notte e mi trattieni lì tra le tue braccia perduto e dimenticato; mi fai raccontare storie a chi l’amore non conosce coi toni e le pause con cui i vecchi attori incantavano gli spettatori delle tragedie greche. Con la mia voce profonda, roca, e le immaginarie geometrie disegnate nell'aria, quando accoccolati in una nicchia di sabbia ti stringo a me come fossi àncora per continuare ad amarti così come sei, con la dolcezza mia di narratore che narra una fiaba a dei bambini.
E questo mi ricorda lo “ scoglio dell’ulivo”… l’ulivo era frutto d’un patto stretto tra la terra e il mare. Un patto sancito con la complicità d’una rondine che aveva rubato un chicco da una pianta secolare e l’aveva deposto sulla vetta di quell’enorme masso caduto tra i flutti. La terra e il mare, contando sull’aiuto del sole, avevano poi concentrato l loro misteriose energie sull’oliva abbandonata, facendola parzialmente diventare un albero. Per secoli la pianta ha prodotto annualmente il suo prezioso frutto. Un frutto però, di cui nessuno poteva godere, se non il mare, la terra, le rondini.
Così Tu per me, in questo amore, in quel mio ti amo in mezzo al cuore.

sabato 21 luglio 2018


Le parole che non ci sono
Di Vincenzo Calafiore
21 Luglio 2018 Udine

“ … non c’è nulla di peggio che
seguire come fanno le pecore,
il gregge di coloro che ci precedono,
perché essi ci portano non dove dobbiamo arrivare,
ma dove vanno tutti.! “
                                 Vincenzo Calafiore

Hai mai visto un’alba sullo Stretto, hai mai ritrovato le parole che vorresti dire e invece sono rimaste lì avvolte nei colori accesi dello scirocco?
A guardarla sembra di trovarsi in un paesaggio egemone o in una dimensione metaforica, in un ricordo.
L’aria soffocante e chiusa nel pulviscolo rude degli interni di un animo soggiogato, l’aria di parole ora aguzze, ora lisce come uno scoglio, lente come il tempo nel meridione, ora sudaticcio, ora secco e polveroso, salino, scandito più dal frinire di cicale e dai ragli lontani di asini all’ombra di alti eucalipti.
Parole che tendono al viaggio o a un’idea tra favola e realtà, che scandiscono,assorbono,sovrastano le azioni, esaltano le voci di dentro, le selezionano, le fanno luminose, o opache, le dissolvono, le rincorrono per riprenderne una traccia, una memoria, un suono, un profumo.
Ciò toglie autenticità terrena alle varie sequenze che passano per la mente come fosse un film, anzi le pone in una zona di solitaria, petrosa visibilità ove inconsciamente vivo in attesa di un baratto o di un vento forte che divelti i recinti di filo spinato attorno a una chiesa silenziosa animata dai voli di passeri 
Forse avvertito dal lettore un sotterraneo legame con l’autore e il ripetersi ( che fa di una realtà una visione) di immagini, moduli, strutture, su cui si va in tal modo costruendo una sorta di atmosfera in cui fotogrammi veloci spezzano i ritmi, propongono altri temi e sfondi, altre sfide, ma avvolgente una costellazione di luci e colori, sapori, mediterraneità.
Così il filo conduttore di una realtà dentro un sogno sprofondato quasi alla fine del secolo, più che appartenere al vincolante traino quotidiano, è un’alba o un crepuscolo, un tramonto, ma sempre qualcosa di meraviglioso, di inaspettata bellezza che si profilano agli orizzonti smarriti le parole che non ci sono, dei loro colori accesi di scirocco e del loro tagliente guizzo di rapina negli occhi.
Le parole che non ci sono, si sviluppano, si avvolgono su loro stesse, si diramano e vanificano gli episodi di una realtà concreta e immaginata, fumando una sigaretta nell’ombra di una lampada di vetro verde.
Gli occhi cercano i registri, i righi affollati di parole che avrei dovuto consegnarle una sera davanti a un bicchiere di vino  e un piatto di formaggio su un tavolo sgangherato dietro un davanzale che guarda lontano il mare.
E sono autenticamente vere quelle parole che non ci sono, nella loro vitrea immobilità nell’istante in cui gli occhi si incontrano per raccontarsi….
Ma oltre il bianco degli occhi, dietro quel fantastico sipario si radunano dietro la vetrina affollata nel compatto scorrere labiale, ma contratto di visi che sgusciano affannati da un brulichio di pene e di speranze.
E ancora la ragnatela fitta del potere delle parole, gli intrighi delle labbra, la ventosa folata di felicità che gira nei vicoli del cuore; e forse quelle parole che non ci sono insegnano a vedere le figure vicine trasformarsi in incanto di un teatro mai spento.
E invitano a sollevarsi dal fango, dalla miseria umana, dal borgo, dal ciaccolio inutile che trasforma in cicale arse e vuote o insegnano a volare nell’aria come un bambino che corre in contro alle braccia della madre ….. le mie parole che non ci sono!






giovedì 19 luglio 2018


E’ la mia vita
Di Vincenzo Calafiore
20 Luglio 2018 Udine

Ma cosa stavo pensando alle tre del mattino su un balcone affacciato sul niente, mentre fumavo una sigaretta?
Cosa stavo pensando prima di perdermi a guardare?
E’ una cosa ricorrente: perdermi a guardare, immaginare, inseguire visioni fuori dalla realtà che suggestivamente mi fanno entrare nel mio segreto in cui si condensa la magia dell’incontro unico ed irripetibile tra ciò che sta dentro l’anima e ciò che vi si pone davanti, tra un sentire interiore ed una sollecitazione esterna.
Sollecitazione che nel corso di una vita interamente dedicata alla scrittura è venuta via via dalla “ teatralità quotidiana “ di un mondo sempre più meschino, povero.
Sono immagini bellissime di un amore rigorosamente in bianco e nero, un viaggio soprattutto nell’identità nascosta di un amore grande, che lo sguardo sa cogliere con delicate emozioni inesauribili.
Un affascinante viaggio attraverso visioni che riescono ancora a sorprendermi tra le tracce di abbracci e labbra con labbra, così vive e presenti, vere, che mi fanno volare in una dimensione trasfigurata, sublime, universale, fuori dal tempo, dentro una vita: la mia.
Questo amore che mi porta via!
Come mare al pari dell’anima …
Ma c’è qualcuno e sempre ci sarà a rompere l’incanto ed è come se mancasse aria alle ali che chiudendosi fanno precipitare lì proprio da dove sempre cerco di scappare, evadere come fossi prigioniero.
Un mare quindi a cui affidare pensieri che vagano attraverso l’anima e portano un legame segnato dal distacco o temporalmente lontano.
E’ la mia vita un’immensa distesa di acque su cui si perde lo sguardo quando l’orizzonte scompare, e il nulla sembra avvolgere l’animo con un brivido di smarrimento. La mia vita come una madre presente e distratta da non fornirmi alcuna direzione o un orizzonte a volte, a cui andare se parlo o scrivo di carezze di braccia caduti lungo i fianchi dinanzi a un’arresa.
Provo a non vergognarmi della mia malinconia né nascondo l’amore che mi appare in sogno senza dirmi niente, senza fare un passo verso me, nemmeno un gesto, né un tienimi nel cuore… meglio chi vive come un pezzo di ferro tra milioni di vasi di cristallo ed improvvisa  vita senza amare.
Sarà forse meglio così che la mia vita che scala le montagne e poi ridiscende per tornare in quel splendore trasparente chiamato mare.
Ma c’è la mia davanti a quel balcone sul nulla e penso che dopo il buio torni ad accendersi la luce, che si accendino i sentimenti si spengono i fuochi notturni.
Ma la verità che sono pazzo di lei, sono pazzo in un mondo piatto e sconosciuto, in questo mondo di odio e amore ci sono io che intanto fumo un’altra sigaretta.
Sarà così sempre la mia vita, come destino che accende e spegne … tutto questo rumore che si sente … è la mia vita bella, a cui dico che importa del mondo tanto verremo noi due perdonati e ripagati da un bacio sulla bocca un giorno o l’altro; anche se tutto sembra già visto, già fatto, già vissuto, interpretato da altri in un fatiscente teatro come fosse loro.
Ma tu sai, si che lo sai, non ho più i miei vent’anni, ne ho molti di più e questo vuol dire che sono quasi alla fine e quindi vita volami addosso come onda, come un tango appassionato, o come un valzer; piuttosto fammi inciampare piuttosto che buttarmi giù dal cielo. Uccidimi ma parlami, abbracciami e poi raccontami e spiegami perché tutto ogni mattino mi appare nuovo, con te che arrivi quando io penso di andarmene via!
E davanti a uno specchio mi vedo senza riconoscermi con quegli occhi con la notte dentro, con tutta la mia genialità che il tempo non sfiora mai.
Io e te due vecchi pazzi sul ciglio di un baratro o di un prato di cicale in un inno alla vita… e mi viene in mente Seneca con la sua felicità, Freud con il suo al di là del principio del piacere… una buona camel e un bicchiere di vino davanti a un tavolo macchiato e bruciato da sigarette dimenticate.
Io e te due pazzi che danzano nella dimenticanza di un sogno alle sbarre.
Tutto arriva con te.








martedì 17 luglio 2018


Tanto meravigliosa da non poterne fare a meno



Di Vincenzo Calafiore
18 Luglio 2018 Udine


……. ma lo sapevo … da prima…
che esisteva un uomo, un uomo diverso! “


Aspettarti come si aspetta un treno in una qualsiasi stazione ai confini di certezze abbandonate nelle sue stesse lontananze.
E’ un treno che corre silenziosamente tra nuvole di pensieri cupi di tempesta, e vola sbuffando tra le nuvole, fino alla prossima stazione ove qualcuno da tempo s’è perso nell’attesa, forse ci si potrà abbracciare su quel marciapiede umido di pioggia.
Così adesso lo sai!
Così adesso lo sai che c’è un abbraccio, adesso lo sai che ci sono occhi che da molto tempo attendono di vederti scendere i gradini di quel vagone polveroso di viaggio attraverso un tempo sciupato, andato perduto, e una vita ancora da riempire di felicità breve e densa come un fulmine che alla fine lascia volti nudi e meravigliati di vita.
Ma tu felicità chissà su quale treno della notte passerai senza fermarti e se ti fermerai chissà per quanto!
Io ti ricordo così, ovunque sei, se mi cercherai chissà dove, e non ti accorgi che sono qui vicino a te nello stesso scompartimento di un treno che porta la felicità…. Adesso lo sai!
Mi manca sempre un sogno per tenere su la vita prima che sbandi verso l’inferno come un sogno finito, tradito!
Anche io sono stato tradito dall’esile speranza di vederti spuntare da qualche nuvola sberlecca mi troverai coi capelli sbiancati dalla lunga attesa e tu sembri appena nata ieri, come mai?
Tanto meravigliosa da non poterne fare a meno, come un’oda lunga e larga come braccia che prendendomi mi porta sempre più lontano da una riva ormai priva di granelli di sabbia.
Si sono sempre qui dentro questa vita in disparte ad attenderti e non passare velocemente come la felicità.. basterebbe saper nuotare in quel mare grande prendendola con leggera presa come un cuore a cui attraccare o lasciarsi trasportare dentro due occhi piccoli blù come il mare o neri come la notte quando mi guardi da quell’ovale appeso al muro che ti imprigiona!
Come un sogno raggiungerti, come un cuore a cui puntare e per’ora di sogni ce ne sono pochi, forse per questo motivo i sogni sono vecchi bianchi che rimbalzando nelle lontane memorie ti ricordano e ti amano sin dall’inizio di questo mio sogno.
E sei prigioniera su un carro che piano piano trainato va senza lasciarti vita, prigioniera di un sì frettoloso, ora più che mai pesantemente ti trattiene dall’essere farfalla o sogno di un amore grande che ancora deve venire, un sogno per non morire come legno abbandonato dal mare su una riva alla quale non andrà mai più.
Se tu fossi qui! Lo vorrei, ti vorrei dentro una pioggia di parole che come melodia puntano al cuore per salvarci da questo mondo di celluloide…
e allora noi due per essere felici basta un niente magari una canzone o chi lo sa, una parola pregna d’amore e cortesia, che sia una carezza se chiudiamo gli occhi e poi con gli occhi chiusi chissà cosa sarà, questa vita che ci impara ancora a sognare!


sabato 14 luglio 2018


VINCENZO CALAFIORE

Arte- Comunicazione-Cultura


IL VIAGGIO

Di Vincenzo Calafiore
Sutrio 13Luglio 2018
Udine 14 Luglio 2018
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MARZONA
                                                                              
  L’uomo e l’Artista fuori dagli schemi,
dall’ordinario, per una vita sulle ali della bellezza”.



Il nemico peggiore dell’uomo è il tempo, imbattibile, con il quale imparare a convivere e condividerlo più che combatterlo, nella mera quotidianità. Combatterlo con l’unica arma che abbiamo: la bellezza del vivere, da plasmare quotidianamente nella nostra “esile” condizione umana.
Di lui, Renzo Marzona, è stato detto quasi tutto, ho scritto di lui più della sua maniera di essere prima uomo e poi Artista; c’è e ci sono ancora cose da dire, cose che appartengono alla luce e trasparenza dei suoi lavori.
A Sutrio, nella splendida cornice di una ex falegnameria, recuperata e restituita alla collettività dal Comune  e ribattezzata “ Casa del Legno” Marzona ( per sua volontà e scelta) vi ha esposto i suoi lavori dandole a questa esposizione il titolo: “ IL VIAGGIO “ .
Da “ spiaggiatore” che è in cammino sulle spiagge di un immaginario – altrove – in una continua avventura: quella propria e quella altrui.
La scoperta dell’ignoto, da indigeno o da esploratore, in suolo natio o in terra straniera di un altrove.004 (3).JPG
Le sue opere tra loro distanti, e nate in diversi contesti, descrivono esperienze molteplici, storie che da lontane prospettive giungono agli esiti proficui di convergenti sensibilità e bellezze: simboli stessi di quell’ansia perenne alla scoperta, linfa infinita per la creativa espressività in forma d’Arte.
“ Il sogno e l’approdo” si potrebbe dire, come fascinosi episodi di realtà ai confini sfumati  del suo sentire o d’un comune sentire su molteplici vissuti d’altrove, come  straniero o visitatore, ospite; giunto comunque da un mare di ricordi d’infanzia, i solchi dei campi arati o coperti da un leggero velo di neve, la campagna, un bosco in lontananza nelle lunghe notti d’inverno… il profumo del legno appena tagliato.
Ha presentato “ Il Viaggio” l’Amico Claudio Demuro che più volte ha evidenziato la bellezza e la storia delle opere esposte, ma anche di Marzona, delle conquiste di conoscenza, di speranza.
Sono le sue opere racconti di vita, o di vite sottratte alla morte; e comunque miraggi d’altrove, dove il conforto della meta raggiunta si confonde al sollievo del percorso da concludersi.
Perché è viaggio solo, per il luogo a cui tornare: la bellezza! E da cui ripartire, in un ciclo perenne di nuove emozioni di rinnovate esperienze in questo paradosso costretto o costretti a viverci, paradosso delle immagini, dell’immaginario collettivo d’una felicità forzata ebra di vuotezza, punto d’incontro finale di un – condominio- di improbabili detentori di una umanità quasi azzerata. Eretto a baluardo di privilegi e infime vittorie, infine vittima essa
stessa delle proprie utopie come approdo di un cammino di presunti e forse inarrivabili veri desideri, scopi … tutto in una “ allucinazione disperata” che, per opposto, può essere anche quella di – migrante in fuga narrante - !
Marzona, quindi, come storia di un viaggio che sente il dramma, nel confronto cercato con le questioni irrisolte dell’oggi; ma che in sé non perde la tensione al vivere, e la voglia di sapere e conoscere  ogni idea, ogni sogno, ogni angolo di esistenze distanti da questa immane discarica a cielo aperto di finanza, indebitamento forzato, di violenze, guerre, distruzioni, povertà, miseria d’animo,sfruttamento,prostituzione,femminicidio, e chi più ne ha più ne metta.
Ha chiuso la presentazione della mostra con il suo intervento l’Architetto Sandro Pittini che sostanzialmente ha parlato di bellezza dell’Arte e non solo, ma anche di un certo degrado di una umanità troppo veloce, ormai allo sbando, che non ha tempo di fermarsi in qualche stazione di Cultura, o di pensare a un mondo migliore, di immaginare una vita diversa da questa conosciuta, sempre più distante.


      
Vincenzo Calafiore
Scrittore-Giornalista-Critico
Via Tavagnacco 89/9
33100 Udine

Cell. 3406270314
e-mail : vincalafiore@gmail.com










mercoledì 11 luglio 2018


E, se l’Amore è libertà
Di Vincenzo Calafiore
12 Luglio 2018 Udine

In queste notti consumate dall’insonnia e dal forte desiderio di accendere una sigaretta e fumarla lentamente nella penombra di una lampada puntata sulla scrivania.
“ Strabica “ per la cecità di una lampada quasi esaurita, nello studio la luce muove le sagome di certi pensieri nella penombra, è quasi l’alba e tra un po’ infurierà il torrido caldo di luglio, la città stritolata da un’atmosfera pesante, mostra una fila di palazzi che offrono squarci di un ‘umanità incredula per la calura imprevista.
Paesaggi di terra e d’aria, topografie che giocano d’azzardo, luoghi dell’anima in cui un volto è reale e già inghiottito da un secolo; una donna dallo strano nome – amore- passa come una cometa e un’altra, quella amata, come un soffio di sogno si impiglia nelle caverne e trappole della memoria.
Le immagini più care, sempre uguali e insieme sempre altre a comporre la storia degli affetti, lo spazio virtuale e vero della vita, tra le cose tangibili e grumose e il vorticare alto nell’aria che attende la fine di ogni giorno.
E, se l’Amore è libertà? L’unica vera libertà, quella che a volte noi stessi neghiamo o trascuriamo.
Dalle mie lontane prospettive giungono agli esiti proficui di convergenti sensibilità, simboli stessi di quell’ansia perenne dell’attesa di un sogno capace di cambiare il corso della vita.
Ospite, straniero o visitatore dinanzi a un foglio di carta bianca da riempire con parole come fili colorati per un ricamo; comunque giunto dal mare alla fine di un viaggio di conquista e di conoscenza, di speranza. Momenti sottratti alla morte per raccontare vita o di vite sottratte alla morte; e comunque rotte che conducono a un altrove dove il conforto della meta raggiunta o da raggiungere tanto rassomiglia al volto della donna che più si ama. Perché è viaggio solo per il luogo e persona a cui tornare e da cui ripartire ogni giorno o ogni momento del giorno in un ciclo perenne di nuove emozioni e di rinnovati sentimenti, rinnovate esperienze.
Ma l’Amore oltre a essere “ libertà” è anche lontananza e trova il suo correlato psicologico nell’idea della separatezza, di uno spazio fisico o mentale che “ divide “ creando a volte il senso di un’interna – mancanza – se la memoria non interviene sui fatti trasfigurandoli e rendendoli oggetto di nostalgia, dolce sofferenza, alleviate dal seme della speranza.
Chi ama ha la capacità di conservare e far rivivere a livello immaginativo ciò che gli procura piacere e, di contro, di rifuggire da ciò che gli provoca dolore.
Ma quando la possibilità dell’incontro è certa il senso della lontananza nel suo aspetto di distanza temporale agisce con un meccanismo che esalta la qualità della piacevolezza e di contro sbiadendo la portata del negativo insito comunque in qualsiasi umana vicenda.
Accade così anche che il ricordo si fa rimpianto di ciò che non è più, ossia tanto lontano da non poter essere afferrato e tenuto con sé.
Lo si vive negli amori finiti o nei ricordi delle trascorse stagioni della vita che, nel momento in cui si allontanano, sembrano quasi senza macchia, talvolta perfetti.
Ci si può sorprendere allora a godere della propria sofferenza nel rivivere il passato immergendosi nei fatti come se nulla fosse cambiato, nonostante gli anni trascorsi.
Ma rimane sempre l’Amore che è libertà assoluta, quella confusa con altre che non lo sono; amore uguale a amare indivisibili binari sui quali scorre lenta o troppo velocemente la nostra vita: una dimensione che bisognerà imparare a vivere con la consapevolezza dell’Amore!

lunedì 9 luglio 2018


Amare per amare
Di Vincenzo Calafiore
10 Luglio 2018 Udine

A volte attorno a una visione ( come ebbe a scrivere anche Calvino in diverse occasioni), ne nascono delle altre ed è come se si formasse un campo di analogie, di simmetrie, di contrapposizioni.
Per fortuna mi viene in contro la scrittura che poi cercherà l’equivalente  dell’immagine visiva, in uno sviluppo tendenzialmente coerente, perché in realtà è una molteplicità di possibili che si connette tra sensazioni e pensieri.
Perché l’amore è la somma di infinite molteplicità! Senza un prima e un poi.
Il paesaggio della memoria finisce con l’apparire distante, alternativo alle visioni e alle sensazioni del presente. Ed è nell’abitare questa distanza che forse sarà possibile cogliere lo spessore della mobilità delle forme che si accompagna al diverso percorso mentale.
La vita che si è persa, la vita che non abbiamo vissuto, l’amore disatteso, le distanze, le assenze.
Sarà il tempo a giudicare si dice a proposito degli avvenimenti, ma oggi purtroppo il tempo
<< invecchia in fretta >> passa rapidamente o perde senso nell’età del tempo reale e della simultaneità.
La verità è che tutti, coscienti o incoscienti, siamo segnati dagli avvenimenti buoni o cattivi che siano stati o lo sono, come una storia, caotica, tragica o esaltante che abbiamo attraversato, che ci ha illuso e deluso, come gente venuta da un ex mondo, un mondo che esiste nella memoria o non esiste più che ora pesa con quel tutto di se, con tutti gli avvenimenti rincalcati l’uno sull’altro, come una bottiglia di plastica accartocciata su se stessa.
Anche il tempo invecchia a noi resta il mestiere della nostalgia ….
Amare per amare!
E’ dunque così, il tempo è aria e lei la lascia esalare da un bacio. E il tempo che tutto segna riesce assieme ad essere lieve come la coscienza, allusivo come i vocaboli e gli aggettivi scelti con cura, quasi a restare immateria, imprendibile: la vita appare un po’ qua un po’ là, come meglio crede, sono briciole, il problema è raccoglierle, dopo, è un mucchietto di sabbia e qual è il granello che sostiene l’altro? 
Resta solo l’amore come un’impronta a due dimensioni che ricorda l’ombra stampata su un muro di una carezza o di un bacio, degli abbracci.
Una volta era un notturno indiano, il fascino, il senso di una parola o di un ti amo come sono ora infilati in un crepuscolo e in una indefinita nostalgia che vive chiunque si accorga dello scorrere della vita e allo stesso tempo avverte che il suo principio di amare si fa sempre più indefinito.
C’è un controtempo che invita a tornare ad amare per amare o per essere amati che allontana dalle rovine desolate ma umanissime del passato, perché l’inverno del nostro scontento non sia soltanto protesta o acredine.

giovedì 5 luglio 2018


Meglio una vita, che una vicevita
Di Vincenzo Calafiore
04 Luglio 2018 Udine

Spesso nelle ore notturne, o in quelle maratone davanti a uno schermo a leggere e rileggere quanto è stato scritto, tra un caffè e una sigaretta fumata in balcone che si affaccia non sul mare, come un tempo accadeva, ma sui tetti di anonimi capannoni industriali rifletto sulla mia scelta di aver voluto vivere la mia “vita” e non una “vicevita” imposta da un sistema idiota, crudele il più delle volte; sistema che vuole e fa vivere le apparenze, l’indebitamento,il consumismo d’ogni genere di cosa sentimenti compresi.
Mi rendo conto che non è facile la mia vita che se ne frega delle ore forzate in palestra, o di correre,pedalare,della moda, delle cose di ultima generazione, degli amori consumati come fossero serate in discoteca.
Mi rendo conto che è difficile comprendere la mia filosofia del “morire normalmente” piuttosto che in salute e forma perfetta …. Tanto morire si deve tutti!
La mia scelta quindi di vedere la mia vita e approcciarmi ad essa come a un romanzo da scrivere; quindi aprirsi subito con le atmosfere di una favola ( la mia favola) che urta contro la realtà, si frange in molti riferimenti di magiche visioni, si allunga nei dettagli di un immaginario che regolarmente poi si manifesta.
Allora accade di notte, quando tutto è silenzio e tacciono i motori, che l’immaginazione mia urticante investe tutte le risorse della scrittura, si compone di sospensioni, versatilità dei temi, un insistente gioco di intrecci per costruire un racconto che spazi nei rigorosi rispetti dei ritmi narrativi e degli snodi che portano sempre più lontano da questo sistema idiota, ma anche per catturare anime, come dire loro, a quelli che stanno dall’altra parte … “ guarda che è possibile vivere una vera vita che piuttosto una vicevita… “
La mia immaginazione ha disegnato e progettata la “ Pegasus”  la mia Astronave a remi con la quale andare e venire da qualsiasi parte di ogni mio – altrove – il luogo in cui le varie storie si incrociano, nascono nella spiritualità che le rende essenziali, vitali proprio nella loro nudità, nel loro accadere naturalmente.
E allora qualcosa di straordinario, quasi di metafisico, aleggia negli – altrove- delle albe attese in riva al mare, nei tramonti, ma anche sui puri nomi delle persone amate, sulle verità scarne, su quei posti lontani e segreti visitati da uomini in continuo passaggio: un transito febbrile di storie, racconti, destini, in una dimensione perenne dove tutto è presenza, è amore, è vita. Che crescono senza rumore dentro il cicaleccio degli storni, per andare e tornare consoli vittoriosi e in rotta a sbaragliare santi perseguitati e vaticinanti, duchi e proscritti, schiavi e dominatori e una vicevita in svogliato cammino verso un umiliante sospeso con i suoi padroni.
La vita che si evidenzia con particolari che consegnano a una fotografia in bianco e nero, racconto di terre remote filtrati da un’affabulazione lenta, sommessa, - sogni- che sono i motori di una “ Pegasus” lontana sempre più in spazi siderali.
La forza negli slanci di vita ove l’amore è quello che è, la vita è quella che è sempre in un ignoto a cui andare con fiducia, con speranza, per sconfiggere la morte del quotidiano, la morte che macina e polverizza ogni risorsa e aspetti di umana vita.
Quindi la scelta di vita per combattere un sistema tutto apparente, tutto ipocrita, tutto moine e versetti in pubblicità di un inesistente simile a un demonio dell’inferno peggiore.
Ma c’è la voce tonante della cultura, della fantasia, dell’immaginazione, come fosse la voce di Zeus e non ha soste il viavai che io da narratore tengo stretti e ben custoditi nei lunghi giorni di vita, come se mi crepasse il cuore a lasciarli ripartire in un altro viaggio.
E intanto anche questa notte ho atteso la nascita di una figlia per caricarmela sulle spalle e portarla a vedere il mondo lontano dal mondo.


Persi nel viaggio, fra sogni e realtà
Di Vincenzo Calafiore
03 Luglio 2018 Udine

… gli incontri casuali, le attese,
il mondo di dentro perso in un sogno
e il mondo di fuori che scorre diviso
in tanti fotogrammi …. Statici.. “


E’ notte fonda e s’ode il respiro del mostro che tutto fagocita e ci sono situazioni di attesa, nel quotidiano divenire appena al di là della linea scura che sera il giorno dalla notte, il reale e il sogno, durante le quali è come se le singole esistenze rimanessero sospese, in attesa di qualcuno o di qualcosa.
Solitamente di una buona parola, di un grazie, di un’esistenza, di un approdo, di un arrivo a una stazione desolata nella corsa terrena al traguardo incerto.
Questa non è vita, non è una vita, ma una sorta di attività strumentale e vicaria, simbolo di un’avventura umana e vicende riflesse.
E’ inevitabile rassomigliare a vagoni e rotaie delle stazioni e dei polverosi scompartimenti – microcosmi in cui di continuo si compongono e si separano improvvisate familiarità- rapportati alle stagioni, ai fatti, agli eventi e alle occasioni del vivere.
Ci potremmo fermare in una stazione e riflettere, sul globale scorrere del tempo, accelerato o ritardato come le immagini che scorrono fuori dal finestrino, mischiandosi e confondendosi alla velocità della vettura in cui siamo, del treno che ci porta via.
E’ un massacro dei sogni, è un flagello dell’umano!
Gli attimi lunghi un’eternità, o le eterne attese di un solo attimo, nel momento conclusivo di ogni viaggio che a sua volta è partenza verso un’altra meta.
E che in noi c’è spirito di avventura, c’è ansia di scoperta, c’è voglia di conoscere, di amare, di volere, di desiderare … e questi sono altri viaggi possibili nel pendolarismo dell’anima e del corpo che si identifica nei desideri.
Eppure anche lì è viaggio, se lo stesso può suscitare ricordi riproporre sensazioni,emozioni evocate da ogni viaggio; la propria esistenza sospesa durante i mille passaggi in treno dell’infanzia, dell’adolescenza talvolta dell’ancora lunga stagione della maturità. Che come sempre trasforma la memoria in bilancio o inventario, cui attingere nei momenti più duri della coscienza.
Riemergono così le occasioni perduti, l’amore perduto o mancato, le amicizie che tali non erano, gli incontri saltati… per una minima frazione di tempo perché in quegli spazi di vicevita tutto scorre lentamente e ugualmente senza alcuna emozione.
Basta una coincidenza un posto vuoto che viene occupato in cuccetta, di una poltroncina numerata, di un pezzo di pane caldo, di un bicchiere di vino, scambiati con la stessa simultaneità delle parole. Gesti dell’umano, di una umanità in movimento su treni fanno parte e ne caratterizzano la sostanziale diversità con il resto del mondo; con quelle comparse ammucchiate dietro lo spazio del finestrino, rapide nel loro scorrere come fotogrammi di un lungo film che altro non è che la rappresentazione realistica della loro vita.
Meglio allora stare dentro o fuori, sentirlo come proprio il pacato meditare da scompartimento, o escluderlo come inutile frazione d’esistenza?
Al punto che i giorni , i mesi e gli anni che scorrono lenti e veloci dentro e fuori le rotai finiscono per corrodere la vita, o ancora peggio per scambiarla con una permanente vicevita che è supplenza di ragione e sentimento, e dunque rischiosa ipotesi di rassegnata arresa al nulla.
Quello che oggi imperversa e regna sovrano su una umanità distratta da troppa immondizia fuori e dentro l’umanità ormai quasi distante.


AMAPOLA

Di Vincenzo Calafiore
06 Luglio 2018 Udine
“ .. dedicato a chi ama in ogni età!”

Amapola, lindisima amapola
Será siempre mi alma tuya sola
Yo te quiero, amada niña mia
Iqual que ama la flor la luz del día
Amapola, lindisima amapola
No seas tan ingrate y ámame
Amapola, Amapola
Cómo puedes tú vivir tan sola
Yo te quiero, amada niña mía
Igual que ama la flor la luz del día
Amapola, lindísima amapola
No seas tan ingrate y ámame
Amapola, Amapola
                                                                                                                                        Cómo puedes tú vivir tan sola

Amapola, bellissima Amapola
La mia anima sarà sempre soltanto tua
Ti amo, mia piccola amata
Come il fiore ama la luce del giorno
Amapola, bellissima Amapola
Non essere tanto ingrata e amami
Amapola, Amapola
Come puoi vivere tanto sola
Io ti amo, mia piccola amata
Come il fiore ama la luce del giorno
Amapola, bellissima Amapola
Non essere tanto ingrata e amami
Amapola, Amapola
Come puoi vivere tanto sola


Amapola è il titolo credo della più bella dichiarazione d’amore verso la donna che più si ama, allo stesso tempo credo sia una delle più belle poesie d’amore mai scritte, ed è sconosciuto il suo autore.
Ascoltare questa canzone tenendo gli occhi chiusi certamente lei sarà in grado di traslare agli occhi e al cuore della donna che più di ogni cosa si ama.
Amapola in spagnolo vuole dire e identifica il papavero, ma nella canzone chiaramente  s’identifica in una persona di sesso femminile, come noi diciamo Margherita, Viola oppure Rosa, sono fiori ma anche nomi di persona, verso le quali si manifesta un grande sentimento d’amore, che qui, in questa canzone viene rappresentata.
Immagina quanto di più bello svegliarsi al mattino sulle sue noti, e poi tenerle in testa fischiettarla, cantandola anche in spagnolo o solamente recitarla alla “ donna” che più si ama.
Amapola lindissimma Amapola! Yo te quiero!
Che meraviglia, quel : yo te quiero.
Eppure oggi così poco frequente, così poco presente nel linguaggio, nel pensiero di coloro che credono ancora di “ amare “ in questo mondo esterno depositario più di mode e di disvalori che non possono far bene a quel sentimento – amore – e deviano chi ama dal sentirlo autentico.
Tuttavia non è sufficiente dire alla propria donna – ti amo, yo te quiero – c’è un capire, una lettura importante dell’interno, della parte dell’anima e della sensibilità, c’è un tempo che a volte disorienta, mentre propone il nuovo, perché lo stesso nuovo innalza il valore assoluto dell’amare.
Allora c’è un senso che a fatica cresce assieme all’amore nell’ineluttabilità del destino che è una voce che vive e abita in noi e da dentro ci chiama per ricordarci che l’amore è e sarà l’unica vita possibile.
Ma “ Amapola “ è allo stesso tempo un sì all’amore e diniego: Non essere tanto ingrata e amami;
è  un grido di gioia e di dolore quando dice: Cómo puedes tú vivir tan sola!
Ma facciamo di questa la colonna sonora della nostra quotidiana esistenza, dei momenti di intimità o per ricordare che “ Amapola” in realtà significa: - Donna - !
Da amare o da farsi amare, a cui dare e ricevere dolcezza.
Donna, non solo come desiderio, ma anche come coscienza, come ritorno, come amore, come felicità, ma anche come solitudine, come distanza, come desiderio di vivere!
Amapola: Será siempre mi alma tuya sola!







lunedì 2 luglio 2018


Il senso dei poeti
di Vincenzo Calafiore
2 Luglio 2018 Udine


“ Il settimo senso di poeti
e viaggiatori si chiama “ altrove “
Citazione, Vincenzo Calafiore


Il viaggio comincia davanti a un foglio bianco, con la stilografica e una sigaretta, l’attimo d’attesa poi il pennino graffiando lievemente il foglio inizia a scivolare via lasciandosi dietro parole infilate come perle a un rigo. A volte questi, sembrano binari su cui corre un treno che va dritto là dove finiscono le certezze, è la sfida della conoscenza attraverso il dubbio alla presunzione delle verità assolute ( non è detto che siano proprio così), al mondo chiuso e circoscritto entro i propri confini, limiti.
Non è solo la voglia di conoscere quella che insistente mi conduce verso universi distanti, ma è esplorazione, nomadismo, curiosità della conoscenza, il differente, lo sconosciuto; universi in cui mi sento estraneo.
E’ anche  impulso il passaggio da sé all’altro, come ponte tra sponde di anime diverse che si cercano e che vogliono unirsi nel nome della comune appartenenza, provenienza da quel pianeta chiamato: Venus.
E nulla può essere più vero, autentico, di un altrove, l’altrove è quel senso in più che da sé si alimenta nelle coscienze di chi sa amare e ama più di ogni cosa al mondo.
Amare o amando,o essere amato mi fa viaggiare nel corso di ogni esistenza, approdando con la propria “ Astronave a Remi – Pegasus – “ ai lidi più distanti, alle umanità scomparse o che si sono nascoste o cogliendo ogni occasione propizia per portare, consegnare vita o spostarsi quanto è necessario o come si può, anche di poco dai propri confini, negli altri appena ai bordi; acquisirne le essenze, i profumi, le vibrazioni delle parole, l’incanto del verbo amare.
Dunque il viaggio come attimo prolungato di fascino e mistero, poesia e fantasia, fino al punto da diventare “ coscienza” o ancora di più “ sentimento; nella stessa misura in cui l’altrove non è tanto un luogo, quanto amore, quanto tenerezza, quanto semplicità, quanto stima, fiducia, libertà, onore, dignità.
A volte in certe notti torna l’ansia del dubbio, che fa tutt’uno con la voglia di ricerca che a sua volta si identifica nell’aspirazione di sentire nell’aria, l’amore tornare sulla scia di un profumo, d’essenza, che giace nell’anima.
Viaggiare diventa allora una maniera diversa per raggiungerla ovunque sia, di andare da sé verso l’altra, scoprendomi non solo meno intruso, ma più complice, più vita.
Si spiegano così le ore bianche alla scrivania, gli occhi arrossati nel giorno, la voce stanca, e quel desiderio di chiudere gli occhi dentro i suoi, di legare le mie braccia alle sue.. occhi negli occhi e parole dentro altre parole per farmene una ragione di vita, per una poesia, per un verso.
Viaggiare per cantare la musica di altri, ballare gli altrui passi, declamare gli altrui versi, ma poi davanti ad un foglio bianco col blu stilografico di notte mi trovo a  disegnare o tracciare antiche vie che a lei conducono, col pennino consegnare ad altri occhi tutto il mondo dentro una piccolissima parola troppo spesso dimenticata o bruciata dall’usualità, dalla circostanza quotidiana che più distrae e più porta a niente.
Ecco, l’altrove, quel senso in più dei poeti, degli scrittori, dei narratori, degli affabulatori,  il senso dell’altrove della capacità di cogliere l’animo o il seme della sua terra, in qualsiasi forma espressiva davvero illuminata dall’amore.
In lontananza una luce rossa intermittente mi ricorda un faro, è il ritorno al mare a quell’immenso che si porta via un tardo pomeriggio afoso, con tutta le delusione che ha riempito mani e specchi e ore perdute in lunghe attese, sogni mai avverati, promesse perdute.
Mi ricorda che questa potrebbe essere la mia vita se scendessi dalla mia “ Pegasus” che galleggiando e fluttuando come una medusa si allontana sempre più da un’aberrante realtà ove tutto è razionale minimale, apparente, forse troppo apparente perfino nelle maschere fin troppo uguali, fin troppo aride, assetate sempre di un trucco nuovo per meglio apparire più dell’altra.
E così, rimango lì davanti a una scrivania col pensiero in quell’altrove che solo una barca a remi saprà come raggiungerlo: una stilografica.