lunedì 2 luglio 2018


Il senso dei poeti
di Vincenzo Calafiore
2 Luglio 2018 Udine


“ Il settimo senso di poeti
e viaggiatori si chiama “ altrove “
Citazione, Vincenzo Calafiore


Il viaggio comincia davanti a un foglio bianco, con la stilografica e una sigaretta, l’attimo d’attesa poi il pennino graffiando lievemente il foglio inizia a scivolare via lasciandosi dietro parole infilate come perle a un rigo. A volte questi, sembrano binari su cui corre un treno che va dritto là dove finiscono le certezze, è la sfida della conoscenza attraverso il dubbio alla presunzione delle verità assolute ( non è detto che siano proprio così), al mondo chiuso e circoscritto entro i propri confini, limiti.
Non è solo la voglia di conoscere quella che insistente mi conduce verso universi distanti, ma è esplorazione, nomadismo, curiosità della conoscenza, il differente, lo sconosciuto; universi in cui mi sento estraneo.
E’ anche  impulso il passaggio da sé all’altro, come ponte tra sponde di anime diverse che si cercano e che vogliono unirsi nel nome della comune appartenenza, provenienza da quel pianeta chiamato: Venus.
E nulla può essere più vero, autentico, di un altrove, l’altrove è quel senso in più che da sé si alimenta nelle coscienze di chi sa amare e ama più di ogni cosa al mondo.
Amare o amando,o essere amato mi fa viaggiare nel corso di ogni esistenza, approdando con la propria “ Astronave a Remi – Pegasus – “ ai lidi più distanti, alle umanità scomparse o che si sono nascoste o cogliendo ogni occasione propizia per portare, consegnare vita o spostarsi quanto è necessario o come si può, anche di poco dai propri confini, negli altri appena ai bordi; acquisirne le essenze, i profumi, le vibrazioni delle parole, l’incanto del verbo amare.
Dunque il viaggio come attimo prolungato di fascino e mistero, poesia e fantasia, fino al punto da diventare “ coscienza” o ancora di più “ sentimento; nella stessa misura in cui l’altrove non è tanto un luogo, quanto amore, quanto tenerezza, quanto semplicità, quanto stima, fiducia, libertà, onore, dignità.
A volte in certe notti torna l’ansia del dubbio, che fa tutt’uno con la voglia di ricerca che a sua volta si identifica nell’aspirazione di sentire nell’aria, l’amore tornare sulla scia di un profumo, d’essenza, che giace nell’anima.
Viaggiare diventa allora una maniera diversa per raggiungerla ovunque sia, di andare da sé verso l’altra, scoprendomi non solo meno intruso, ma più complice, più vita.
Si spiegano così le ore bianche alla scrivania, gli occhi arrossati nel giorno, la voce stanca, e quel desiderio di chiudere gli occhi dentro i suoi, di legare le mie braccia alle sue.. occhi negli occhi e parole dentro altre parole per farmene una ragione di vita, per una poesia, per un verso.
Viaggiare per cantare la musica di altri, ballare gli altrui passi, declamare gli altrui versi, ma poi davanti ad un foglio bianco col blu stilografico di notte mi trovo a  disegnare o tracciare antiche vie che a lei conducono, col pennino consegnare ad altri occhi tutto il mondo dentro una piccolissima parola troppo spesso dimenticata o bruciata dall’usualità, dalla circostanza quotidiana che più distrae e più porta a niente.
Ecco, l’altrove, quel senso in più dei poeti, degli scrittori, dei narratori, degli affabulatori,  il senso dell’altrove della capacità di cogliere l’animo o il seme della sua terra, in qualsiasi forma espressiva davvero illuminata dall’amore.
In lontananza una luce rossa intermittente mi ricorda un faro, è il ritorno al mare a quell’immenso che si porta via un tardo pomeriggio afoso, con tutta le delusione che ha riempito mani e specchi e ore perdute in lunghe attese, sogni mai avverati, promesse perdute.
Mi ricorda che questa potrebbe essere la mia vita se scendessi dalla mia “ Pegasus” che galleggiando e fluttuando come una medusa si allontana sempre più da un’aberrante realtà ove tutto è razionale minimale, apparente, forse troppo apparente perfino nelle maschere fin troppo uguali, fin troppo aride, assetate sempre di un trucco nuovo per meglio apparire più dell’altra.
E così, rimango lì davanti a una scrivania col pensiero in quell’altrove che solo una barca a remi saprà come raggiungerlo: una stilografica.




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