martedì 31 ottobre 2017


Appresso, appresso

Di Vincenzo Calafiore
1 Novembre 2017 Udine

“ … per questo io sono ancora qui
ad aspettarti, per il tuo profumo, per i tuoi occhi, per la tua pelle … che non ho! “


Era emozionante l’attesa, lì davanti a un mare calmo e sereno, dall’altra parte le sagome geometriche, alte e basse, lineari, come fosse un presepe.
Si! Era davvero un’emozione attendere la luce che illuminava il proscenio e un mare che dividendo univa, allora come oggi, come le parole a volte fanno.
C’è sempre qualcosa da raccontare, se ancora adesso dopo una vita “ ciò “ è ancora lì in quel proscenio memorico, è di amicizia che si tratta è di vita che pur dimenticata in una di quelle stazioni lontane ai confini della memoria, è ancora lì uguale, ugualmente piena di vita e di emozioni e ancora con le stesse voci, con la stessa età.
Nel frattempo quel che ero all’inizio è ancora per certi versi appeso a una parete in attesa di un’alba come quelle da un balcone affacciato al mare, io non lo sono più perché crescendo incontrai lei: la parola.
Così appresso a lei ho attraversato città viste dall’alto, sospeso su un filo di vita sopra un baratro di immane solitudine, in perfetto equilibrio, conscio che sarebbe bastato un leggero sbuffo di vento che potrebbe farmi precipitare.
Da funambolo prima, saltimbanco e giocoliere poi, quando decisi di scendere su quelle diagonali e incroci, pullulanti di formiche impazzite come un fiume che nei versi contrari si mescolava e si rigenerava.
Io agli angoli di quei marciapiedi, raccontai con le mie parole le emozioni che hanno i versi che di notte nei sottoscale, trascrivevo su fogli di carta portati dal vento; erano parole genuine come coscienza, come amore, come amicizia, ma lei ancora tardava a venire.
Costretto o forse meglio spinto da quel desiderio che si chiama Amore tutte le volte ritornavo in dietro con la speranza di incontrarla e riconoscerla fra mille, riconoscerla dal suo profumo, dalla sua maniera di muoversi, dalle sue mani grandi, dalla sua pelle morbida e vellutata come onda che copre e scopre nuove emozioni.
Così a questa maniera tra un andare e tornare, a volte quasi a raggiungerla per perderla nuovamente, sono passati lesti lesti gli anni, ma è la mia vita, la mia vita che se ne va.
Se tu sapessi quante parole ancora ho da dirti,
se tu solo potessi sentire il mio cuore in accelerazione quando le narici avvertono il tuo profumo,
se tu potessi udire le parole che per te ho raccolto nella memoria, allora ti fermeresti …. Ti fermeresti ad ascoltarmi recitare per te e solo per te quel che il mio cuore e la mia anima serba per te.
Ma tu sei di un altro!
Un Mangiafuoco che a volte in sembianze di nano ragioniere riesce ad affascinarti, a farti rimanere alla sua corte, prigioniera dei suoi giochi, delle sue trame a te ignote e da ignota vai.
Tu non riesci a sentirmi,
non riesci a vedermi, e mi lasci lì in parte in quello strano gioco del si e del no, o del voler prendere e poi lasciare.
Che strano.
Eppure nonostante “ ciò “ io sono ancora qui saltimbanco e giocoliere, forse anche parola di cui ci si dimentica o si ricorda, la si recita e la si pronuncia a fior di labbra come fosse rossetto del colore che vuoi per il giorno o per la notte quando tra le lenzuola sogni gli abbracci e i baci, quando sogni l’amore e ti svegli con la bocca di sabbia e cerchi acqua che come parole vanno dritte al cuore.
E’ la mia vita che se ne va e tu ancora non sei!
Appresso appresso gli anni uno dietro l’altro infilati dentro la cruna di un ago che non riesce a trattenerli, cadendo in un precipizio svaniscono, come me ad ogni alba come fossi una parola che il vento si porta via.   


lunedì 30 ottobre 2017

23/ott/2017 20:00 – 30/ott/2017 18:00




Spendi e spandi


Di Vincenzo Calafiore
31 Ottobre 2017 Trieste


Più vado avanti nel mio “ viaggio “ e più si sommano i ricordi e sorge sempre più frequentemente la domanda che mi pongo: - Si stava bene quando si stava male? – ho visto l’Italia risorgere dalle macerie, l’ho vista bella e splendente e ora?
Certo non c’è di essere orgogliosi ma non c’è neanche una sola motivazione per rimanerci, a parte il saper vivere dell’ italiano, a parte la cultura e il patrimonio culturale che è solamente e unicamente, italiano.
Non so se la colpa di questo immane declino sia a causa del suo ingresso in quel “ macello “ chiamato Europa, e sono sempre più convinto che la causa di ciò sia da attribuirsi alla politica, ai governi che si sono succeduti nel tempo.
Ma è anche vero purtroppo che il l’unico vero colpevole di questo caos chiamato Italia sia il popolo; troppo menefreghista, troppo accondiscendente, troppo individualista, troppo stanco ma non troppo di essere tartassato!
Sono confuso dai troppi programmi televisivi in cui politici e non, opinionisti, che in dibattito solo per insultarsi oltre a spendere un sacco di parole, inconcludenti, riempiono le ore programmate dalla TV di Stato e non solo, anche le private.
Io mi chiedo quando finirà questo stato di cose:
in cui c’è uno Stato debitore che oltre a non pagare pretende.
Un governo che pensa solo a come “ incassare “  e a non garantire.
Un governo che permette e costringe all’evasione, che  poco fa contro i corrotti e corruttori.
Uno governo a cui poco importa del popolo, e un popolo a cui non gliene frega niente.
Che io ricordi c’è stata una Signora che in diretta televisiva pianse quando annunciò le sue drastiche misure al popolo italiano …. , ma sappiamo che è una legge a favore dei governi e non del popolo.
Che non si sappia a quale Santo votarci per salvarci dalla tirannia bianca che ancora adesso imperversa è peggio di una dittatura, perché è di dittatura economica che si tratta, è un dato di fatto!
A questo punto mi sorge anche il dubbio su questo enorme debito pubblico!
Ma la cosa più sconvolgente è che non si sa più di chi fidarsi!
I risparmi dove li mettiamo? Non ci si può fidare più nemmeno delle Banche.
Dove guardi, guardi, c’è corruzione, fiumi di denaro che sparisce ….. e nessuno è responsabile!
Se rubi una bistecca vai in galera, sottrai i risparmi di risparmiatori e sei salvo, nessuno ti tocca!
Le pensioni, sono sempre le stesse, così gli stipendi.
La prostituzione, spaccio sono in aumento e i ladri attenendosi alla legge possono rubare, violentare  comodamente negli orari previsti.
La corruzione a tutti i livelli è ben consolidata.
Pensare a chi si alza alle 4 per andare a lavorare donne e uomini per quattro soldi,
pensare ai giovani che oltre a non avere un futuro ( i bamboccioni) non lo vedono neanche,
pensare a quella schiera di donne sole, che per vivere sono sfruttate da quelle agenzie… donne che all’alba partono per pulire scale e uffici per una paga da fame,
pensare a tutte quelle persone che non conoscono cosa sia più un “ festivo “ e che non hanno più una famiglia… per il lavoro o per il tozzo di pane…
Forse è meglio fermarsi qui, tanto tra un po’ andremo a votare ( ma non è così ) e finalmente la Casta si consoliderà per bene assicurandosi pensione, stipendi, privilegi, seggiola, auto blu, treni e aerei gratis, stadio e visite specialistiche gratis anche questi, mentre noi paghiamo il ticket…. E gli extra-comunitari invece no, per loro tutto è gratis,  tutto è dovuto.
Così le case…. prima vengono loro e poi il popolo italiano che viene pure cacciato via dalle abitazioni…
Insomma a guardar bene bene tutta la storia, non c’è da stare allegri, ma non c’è una sola motivazione di essere orgogliosi e di rimanere ancora in Italia; forse faremmo prima ad emigrare tutti in massa e lasciare il posto a quelli che “ salvati “ vengono in Italia e sanno cosa volere e come ottenerlo… e mi viene un dubbio: ma non è che siamo un po’ coglioni?
O che stavamo veramente meglio quando si stava male?


domenica 29 ottobre 2017

Viaggiatori stanchi…



Di Vincenzo Calafiore
30 Ottobre 2017 Udine
( 100 pagine in una)

“ ….. è te che voglio
per guardarti negli occhi
per innamorarmi ancora di te
dopo oggi,  dopo domani, per
incantarmi in te ora come ieri
come domani … finchè ci sarà luce. “

Dopo una notte passata a pensare al prossimo incontro, al vederti arrivare con quegli occhi lucidi e splendenti;
dopo una notte quasi insonne, quasi all’albeggiare del nuovo giorno all’orizzonte si profila nitidamente la tua immagine e la mia vita cambia.
La sera prima dell’incontro, quasi sempre, perché così accade, sogno e nel sogno ti stringo forte a me, a volte trattengo il respiro e rimango lì ad ascoltare il tuo cuore stretto dall’emozione di sentirmi vicino, viso con viso e mani con mani, gambe intrecciate come radici, entrambi perduti in quel richiamo dolce che l’amore.
Come vele spiegate a navigare in quel letto, quasi vicini all’alba che ci trova come viaggiatori stanchi, esausti, ancora con il profumo addosso di un’aurora che stenta a bussare al nostro uscio.
A volte c’è la strana sensazione dell’abbandono, del vuoto, quando non sei, quando non sento il profumo della tua pelle….  ma siamo viaggiatori stanchi da salvare da quel mare che superato l’orizzonte si avvicina minaccioso.
E’ il tempo che passa,
è tempo che non si lascia dietro nulla, nemmeno un ricordo.
Ma io ti penso in questo tempo che s’inventa e si trasforma affinchè  livida e sprofondata la notte ci accompagni fino al mattino respirando piano.
Io e te, come vele che cercano il vento per vivere, noi ci cerchiamo per amarci, per vivere, per dirci con o senza parole quel  - ti amo -  che come vento a volte ci travolge.
Starei a guardarti negli occhi, per innamorarmi ancora una volta di te come ieri, come oggi, come sarà domani, incantarmi in te ora come ieri, come domani, finchè ci sarà luce, vento!
E mi sogno di noi che aspettiamo primavera da dietro un finestrino di un treno che corre veloce attraverso praterie e sconfinati orizzonti per lasciarci chissà in quale stazione alla fine, altro non siamo che viaggiatori stanchi delle tante stazioni, dei tanti vuoti, delle prolungate assenze, dei silenzi, del mancato amore.
Eppure nonostante ciò ancora adesso, guardandoti, mi viene voglia di innamorami ancora di te!
E’ cercarsi, è amarsi, è vita!




venerdì 27 ottobre 2017

Nella notte parlano i corpi

Di Vincenzo Calafiore
28 Ottobre 2017 Udine


Questa società che brulica, sfaccettata d’ignoranza, rumorosa e scomposta, sempre ai bordi del cono di luce: l’Amore, dentro il quale cerca di collocarsi.
C’è il bisogno di amare ed essere amati, come fosse nutrimento fondamentale per l’anima; così l’amore si manifesta attraverso il dialogo affettivo, anche per risolvere nodi di sofferenze personali, trasformando la relazione in qualcosa d’altro come l’amare interiormente, nel linguaggio dei corpi.
E’ una sensazione bellissima, indimenticabile emozione l’amore oltre i corpi, l’amore giornaliero dei piccoli gesti, degli sguardi che s’incontrano e si parlano con il linguaggio dei corpi.
Poi potrebbe accadere che i corpi non si parlano più, e gli sguardi non s’incontrano è la tempesta che sopraggiunge, ma se si ama sarà superata con altri linguaggi, con altri segni, ma sempre amore rimane.
Nell’accerchiante oscurità di questa cornice i volti s’intravedono, oscillano, vivono; i corpi si appannano e si sgretolano …. Tanti annegano, cessano di vivere l’amore e andranno per vie che non portano da nessuna parte se non verso il rimpianto.
Ma l’amore, il vero amore, non perde la sostanziale caratura della raffigurazione chiaroscurale dell’attesa e negli anni che volano via.
Non voler amare, non amare, non riuscire più ad amare è un accovacciarsi dentro un gran sussulto di nebbia davanti a un sipario immenso che potrebbe non alzarsi più.
Ad alzarsi sarà la malinconia in un gran vuoto o nel grande rumore di passi, di cose pesanti spostate: i ricordi, le immaginazioni.
Può allora verificarsi un passaggio di significati, di senso, da un contesto di vita all’altro, o di una dialettica parallela a quella specifica della coppia che vede due esseri amorevolmente intrecciati o intrecciarsi; amare porta necessariamente rinunce, superamento di egoismi personali e compromessi.
Tratti che apparentemente con l’amore gioioso o giocoso sembrano non avere nulla a che fare, ma che inevitabilmente si insinuano nella relazione.
Così amando e essere amati, l’amore diventa fonte di gioia, benessere, conferme.
Ma l’amore non sempre è una benedizione, può essere tormento, prigione, malattia che consuma al pari di un malessere fisico da cui non ci si riesce a liberare facilmente!
<< … lasciami, non trattenermi nella tua memoria …. >> l’addio.
Amare vuole dire anche libertà, liberi di esprimersi, di raccontarsi o di immaginarsi diversi, magari perdersi in un labirinto di frasi e di parole, di accenni e di sussurri.
Magari scrivere di lei poiché scrivere è come baciare senza labbra e di baci si addensa la notte quando parlano i corpi!
Nell’amore ci sono i temuti silenzi, i teneri rimbrotti dopo i litigi immancabili, pause nella vita che sin da quel momento del primo incontro non è stata più la stessa; l’incontro notturno intensamente voluto impossibile descrivere le emozioni le sensazioni in un gioco denso di erotismo e non privo di sorprese e di colpi di scena.
Non amare o non essere amato è come voler scomparire da una fotografia, facendo uno sforzo tremendo per trascinarsi dietro il peso mostruoso delle proprie passioni.


martedì 24 ottobre 2017

Ed io che sono qui…

Di Vincenzo Calafiore
25 Ottobre 2017 Udine
( 100 pagine in una, un racconto da farsi)










“  Là infondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia…. “

Buttiamoci nei ricordi, inebriamoci di nostalgia per quelle cose che pur non essendoci più sono ancora lì come appena accadute, come appena viste o vissute.
Buttiamoci nelle fragranze di spensierate estati o primavere in mezzo a un campo trapuntato dai bianchi e dai gialli, dal violaceo cardo, sfiorati dalle ali di rondini attorno a un fienile.
Piuttosto che rimanere qui in una specie di delirio di ordinaria follia.
E penso a te che ormai passi di sogno in sogno e ti svegli con la speranza che ciò che stai vivendo altro non sia che un brutto sogno da cui andar via, scappare lontano, rifugiarsi in qualche altra parte ancora di verginale umanità.
La sigaretta si consuma piano nel posacenere e sale lento un filo dritto di fumo verso un soffitto bianco che a guardarlo sembra un cielo privo di stelle; con la testa appoggiata al palmo della mano la fisso e trovo un’alternanza di immaginazioni sprofondate nella memoria, somiglianti a certe notti passati in bianco sui libri il giorno prima degli esami.
Tu da un’altra parte ti preparavi in latino, ripassando, “ Il De Bello Gallico “ mentre io del Pascoli mi inebriavo di poesia e mi sentivo bene al cuore.
Ahimè che fine hanno fatto il Pascoli, D’Annunzio? Chi le studia più le loro poesie….. ? Ricordo allora quando dovetti imparare a memoria “La Cavalla Storna “ quanto mi ero immedesimato, e quanto male ci stavo…. La recitai con passione dinanzi ai miei compagni….
Ma con te non ho mai recitato, ti sentivo dentro di me, ti amavo come non mai… e mi ritornano in mente quelle serate in riva al mare dinanzi ad un falò; tu che ti coprivi la testa con un foulard a fiori, e lì ad ascoltarmi recitare solo per te poesie del Pascoli e del Carducci, e poi accovacciati noi due davanti alle braci fino a quando erano cenere.
Come cenere divennero gli anni nostri, il nostro amore, i nostri sogni, il nostro essere.
Ed io che sono qui a ricordarti ancora, ora come allora ricordar il colore degli occhi, la tua leggerezza di mare, il tuo primaverile profumo.
Ti ho vista nascere ombra cieca, che a mendicar andavi nei vicoli del tempo bramosa d’argentei lumi: che tempo sei stata! Che sbronza di libertà! Che sogno!
Ora quasi all’imbrunire s’ode lontana la voce che chiama è l’inquietudine di un’incertezza pressante, che marea dopo marea sbianca le vette dei tanti sogni smorzati sul nascere come candele all’ingresso d’una chiesa da una bava di vento!
Se tu almeno ti decidessi a darmi conforto in questo mio smarrimento in un grande deserto,
se tu ti decidessi almeno una volta a mostrarmi gli occhi tuoi affinchè io possa tornare là dove un tempo accovacciati su un lembo di sabbia mi costringevi per tuo diletto a farmi recitare poesie che più ormai non so.
Allora vieni!
Vieni a rinverdir quei desideri tralasciati come conchiglie morte, come anni smarriti, come vita dissolta in quella strana misura di un passo che ahimè tanti purtroppo continuano a chiamare età!
Quando è di Amore che si tratta!?
Amore per quello che è andato ad affievolirsi come parole in punta di labbra, come respiro lento e dolce, come onda lenta e fugace, come vita.


domenica 22 ottobre 2017


                    Come sono vecchio, io

Di Vincenzo Calafiore
23 Ottobre 2017 Udine


GIULIETTA Il tuo nome soltanto m’è nemico; ma tu saresti tu, sempre Romeo per me, quand’anche non fosti un Montecchi. Che è infatti Montecchi?… Non è una mano, né un piede, né un braccio, né una faccia, né nessun’altra parte che possa dirsi appartenere a un uomo. Ah, perché tu non porti un altro nome! Ma poi, che cos’è un nome?… Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome? Così s’anche Romeo non si dovesse più chiamar Romeo,chi può dire che non conserverebbe la cara perfezione ch’è la sua? Rinuncia dunque, Romeo, al tuo nome,che non è parte della tua persona, e in cambio prenditi tutta la mia.

Non ricordo più quante volte abbia letto e riletto – Romeo e Giulietta – come del resto – Il Dottor Zivago – di Boris Pasternak.
Allora quel film l’avrò visto più di una decina di volte e ogni volta tornavo a casa sempre più innamorato di una donna che ancora non c’era, e su quel lungomare affacciato alla ringhiera mi fermavo a guardare il mare e così dopo avermi arrotolato i pantaloni fino alle ginocchia e le scarpe legate attorno al collo passeggiavo sulla riva facendo finta di avere una ragazza.
E a questa ragazza raccontavo di me, dei miei progetti, del mio futuro…. ma poi mi rendevo conto di essere solo e cadevo in una immane tristezza.
L’amore, quello vero, quello che mi ha “strizzato” il cuore è venuto molto, ma molto tempo dopo; donne avrei potuto volendo averne chissà quante, ma per onestà nei loro confronti non sono andato mai oltre il rapporto di amicizia.
Ma c’èra e ancora c’è in me l’amore di Giulietta, di Nausicaa, ….  come se pensasse a voce alta e rivela il suo desiderio: che Odisseo possa essere lo sposo per le nozze che il sogno inviato da Atena le ha annunciato.
Chi non ha mai sognato un amore così come Giulietta, come Nausicaa? Tutti.
Ora che ho l’amore e guardando gli innamorati di oggi mi sento un estraneo e pensare alla trepidazione del primo incontro, a quell’andare ad aspettarla sottocasa, tanta brillantina sui capelli e pochi spiccioli in tasca. La più grande meraviglia erano le lunghe passeggiate mano nella mano in riva al mare, l’emozione più grande sentire il profumo della sua pelle; qualche bacio rubato, qualche carezza… tutto qua!
Oggi che tristezza fanno questi giovani che non sanno parlare con una ragazza se non con l’invio di messaggini, e se sono a tavola neanche si parlano presi come sono a digitare sempre qualcosa su quel dannato cellulare.
Che tristezza vedere le ragazze con anelli e chiodi infilati nel naso, sulla lingua sulle labbra, gli osceni tatuaggi su ogni parte del corpo che lo deturpano invece di abbellirlo.. e poi quei nomi di ragazzi scritti sui polsi o sulle braccia, sul collo, come segno di appartenenza … e se poi si lasciano?
Ma più di tutto è la mancanza di femminilità nelle donne e l’eleganza d’essere uomo negli uomini.
Mortificante è lo spadronare della volgarità sia nel linguaggio che nella gestualità  in entrambi i sessi.
Mortificante è l’ignoranza, come lo è quel voler essere ciò che non si è e per esserlo si arriva a sottoporsi a dolorosi e costosi interventi chirurgici….
Bruttissimo l’abbigliamento per non dire orrendo in certi casi, come il vedere una donna in carne, strizzata dentro un pantalone elastico ( mi pare che si chiamino fusò leggings o fusò trasparenti ).
Certo che è difficile oggi innamorarsi come Romeo e Giulietta  o come Yuri Zivago e Lara Antipova! Io l’ho provato e ci sono rimasto una vita intera.


sabato 21 ottobre 2017

                                                              Se fossi un viaggiatore
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Di Vincenzo Calafiore
22 Ottobre 2017 Udine


( 100 pagine in una, un romanzo da farsi)


  non posso e non potrei immaginare
una vita senza una persona da – amare –
amarla così com’è con tutti i suoi difetti
con le sue carenze. Amarla così perché
lei comunque è quel gradino che mi fa
toccare il cielo…. “ Vincenzo Calafiore



Non posso aspettare più anche fosse solo un attimo tanto è il mio desiderio di vederti.
Nono posso rimanere fermo dietro una finestra e vederti spuntare all’improvviso vestita di allegria e sogni che allestano i passi tuoi.
Io mi ricordo le mie tristezze, quelle dei sogni e quelle dentro di me quando tu ancora non eri nella mia vita, e di quando te ne sei andata e ritornata.
Oggi ritorni
Ed io posso aspettarti per i tuoi baci
per la tua bocca per le emozioni che mi dai quando come marea mi sormonti e mi fai annegare dentro i tuoi occhi, i miei desideri sfumanti all’alba come il mare mi quieto, come il mare ritorno.
E tu come una rondine ritorni
io ti amerò, ti chiamerò nuovamente con un altro nome come fosse la prima volta ogni volta, ti coprirò di buone parole, ti dirò nuovamente, t’amo.
Quello che manca a questo mondo è l’amore, quello che serve alla vita
come acqua, come sale!
Quello che manca a questo mondo è un sogno, un sogno d’amore.
Io sono quell’uomo che tu ami che ha un sogno ed è quello di poterti amare fino alla fine dei miei giorni.
Ma certe notti mancano le parole d’amore eppure tanta gente parla d’amore in una lingua morta e si credono d’esseri vivi mentre sono già morti come le loro parole.
Ma la verità amore mio è che mi manchi e so che tornerai all’improvviso, come il sole dopo un temporale;
mi manchi quando ridi, mi mancano i tuoi fianchi, le tue labbra calde e altro ancora, mi manchi da morire.
Mi manca quella tua leggerezza che mi aiuta ad affrontare il mondo e la mia tristezza quando non ci sei.
Mi mancano i tuoi occhi che mi sanno guardare, che sanno accarezzarmi anche nella tua lontananza allora ti immagino, ti scrivo, ti invento, e così mi pare di averti affianco come un tempo quando stringendomi al tuo petto mi urlavi in faccia: t’amo!





lunedì 16 ottobre 2017


Il bestiario
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Di Vincenzo Calafiore
17 Ottobre 2017 Udine

E corriamo senza sosta o un senso verso un dove che non c’è.
Ci arrabattiamo per un pugno di cose che non servono a nulla oltre il momentaneo godimento.
Invidiosi più che mai.
Vuote e insipide, insignificanti marionette al servizio del padrone.
Stupidi da non comprendere cosa sia la felicità che non è certo quella cantata da Albano, e la inseguiamo continuamente in tutto quello che facciamo perfino nel sesso con tutte le sue deviazioni.
Siamo talmente stupidi da non comprendere che la felicità potrebbe essere altro o in un altro altrove e non certamente in questo ormai quasi desertificato di umanità.
L’uomo chiese una volta all’animale: Perché mi guardi soltanto, senza parlarmi della tua felicità? L’animale avrebbe voluto rispondere e dire: La ragione di ciò è che dimentico subito quello che volevo dire, ma dimenticò subito anche questa risposta ( Nietzsche ).
Ma egli si meravigliò anche di se stesso, di non poter imparare a dimenticare e di essere sempre attaccato al passato: per quanto lontano egli corra e per quanto velocemente, la catena lo accompagna. È un prodigio: l’attimo, in un lampo, è presente, in un lampo è passato, prima un niente, dopo un niente, ma tuttavia torna come fantasma e turba la pace di un istante successivo.  Continuamente si stacca un foglio dal rotolo del tempo, cade, vola via — e improvvisamente rivòla indietro, in grembo all’uomo. Allora l’uomo dice «mi ricordo» e invidia la bestia che dimentica subito e vede ogni attimo morire realmente, sprofondare nella nebbia e nella notte e spegnersi per sempre. Così l’animale vive in modo non storico: perché esso nel presente è come un numero, senza che ne resti una strana frazione, non sa fingere, non nasconde nulla e appare in ogni momento esattamente come ciò che è, non può quindi
essere altro che sincero. L’uomo, invece, si oppone al peso sempre più grande del passato:
questo l’opprime o lo piega da parte, rende più greve il suo cammino come un fardello invisibile e oscuro che egli può apparentemente rinnegare e che nei rapporti con i suoi simili rinnega perfino troppo volentieri, per suscitare la loro invidia. Perciò lo commuove, come se si ricordasse di un paradiso perduto, vedere il gregge che pascola o, in più intima vicinanza, il bambino che non ha ancora niente di passato da rinnegare e gioca in beatissima cecità tra i recinti del passato e del futuro. E tuttavia gli si deve disturbare il gioco: solo troppo presto viene richiamato dal suo oblio. Impara allora a comprendere la parola «c’era», quella parola d’ordine con cui la lotta, la sofferenza e il tedio si avvicinano all’uomo per ricordargli che cos’è in fondo la sua esistenza — qualcosa di imperfetto mai perfettibile. Quando infine la morte porta l’oblio desiderato, essa sopprime insieme il presente e l’esistenza e imprime così il sigillo su quella conoscenza — che l’esistenza, cioè, è soltanto un essere stato senza interruzioni, una cosa che vive del negare e del consumare se stessa, del contraddirsi.
Se ciò che mantiene in vita il vivente e che continua a spingerlo a vivere è, in un certo senso, una felicità, cercare una nuova felicità, forse nessun filosofo ha più ragione del Cinico, poiché la felicità dell’animale, come perfetto Cinico, è la prova vivente del diritto del cinismo. La più piccola felicità, purché esista ininterrottamente e renda felici, è senza paragone una felicità maggiore di una più grande che si presenti soltanto come episodio, come capriccio, per così dire, come pazza idea, fra malessere, desiderio e privazione. Ma sia nella più piccola felicità che in quella più grande è sempre una cosa che fa diventare felicità la felicità: il poter dimenticare o, con espressione più dotta, il poter sentire, mentre essa dura, in modo non storico. Chi non sa sedersi sulla soglia dell’attimo, dimenticando tutto il passato, chi non sa stare dritto su un punto senza vertigini e paura come una dea della vittoria, non saprà mai che cos’è la felicità e ancora peggio, non farà mai qualcosa che renda felici gli altri.
La “ felicità” è dunque pienezza di vita a cui tendiamo e tale pienezza della vita è il problema dell’essere stesso.
Quale felicità dunque? La felicità dei ricchi, dei forti, dei potenti?  E’ felicità quella che scaturisce dalla vita stessa, riconoscendola e apprezzandola, la felicità di godere tutto, di amare generosamente, senza un ritorno o un tornaconto, senza compromessi, quella che vive profondamente nell’animo, la felicità in un sorriso a cui si accendono gli sguardi degli altri, si schiariscono i visi scuri e ostili a volte! E non si tratta di una felicità spirituale o materiale né di un godimento momentaneo e di una vita contenta dimezzata  da quella pianta invasiva come la gramigna: l’invidia, pianta priva di radici che rincorre ciò che non si ha o quello che di buono agli altri capita, di ripetere cose sentite, che storpia e copia malamente per ottenere forse neanche un tozzo di pane che la soddisfi o che soddisfi per poco il vuoto di se stessa!!


lunedì 9 ottobre 2017

E, guardarti con gli occhi di un funambolo

Di Vincenzo Calafiore
10 Ottobre 2017 Trieste
( 100 pagine in una, un romanzo da farsi)

“ … e se poi ti accorgersi che io non sono più dove mi vorresti, se ti accorgersi che io ormai sono la fune
su cui tu un giorno  farai i tuoi primi passi, allora e solo allora capirai quanto distanti siamo stati nel palmo di una mano…”
                         Vincenzo Calafiore


E’ perché ti guardo con gli occhi di un funambolo che sono ancora qui ad attenderti questa sera come tutte le sere passate, quelle che verranno;
ecco perché i miei occhi ti amano, ti cercano più del cuore, più dell’anima.
Perché sei tu, ad offrirmi un braccio per non cadere, la tua mano per rialzarmi.
Perché tu sei quel filo d’argento su cui scorre lenta e pericolosamente la mia vita sospesa su un baratro di civiltà in brandelli.
E’ grazie a te che ogni sera sono andato ad arrampicarmi su quelle scale di seta per scorrere come una parola sul quel filo d’argento tra me e il cielo, tra e te tra tanta gente senza parole perché le sono state rubate.
Parole che ritrovo sui muri di vecchie celle di campi di sterminio, nelle prigioni di stato, nei sotterranei di quelle megalopoli sfamate da un sistema che poi pian piano farà sparire coloro che le conservano nella memoria.
Così sospeso sul quel filo tra la follia e la saggezza rimango a guardare il mondo come da una finestra affacciata sul nulla, con la paura di scivolare e caderci sopra in un volo nei vortici di un senso di smarrimento e perdizione.
Starti vicino è come essere sogno di un sogno ancora più bello,
amarti o poterti amare è come correre su un tappeto di nuvole svaporate.
Amore di rose e di spine.
Sono nato e cresciuto su una fune tesa tra un sogno e i sogni più belli, ho vissuto bordeggiando una vita immaginaria in cerca di un profumo che ricordo ancora, per tornare là  dove un sogno prematuro avrebbe voluto trovarmi.
Ma tu che sogno sei?
Chi sei tu quando pian piano mi lasci scolorire negli angoli tuoi orlati di solitudine?
Chi sei tu che mentre mi ami già pensi a un altro giorno che chimera farà di te ?
Cosa resterà di te se non sei capace di volare nei cieli che s’apprestano negli occhi tuoi?

Ora lascia che sia il ricordo a far di te amore come quando gridandolo a volte ci riuscivi.  

venerdì 6 ottobre 2017





Amor che desiderio sei…

Di Vincenzo Calafiore
6 Ottobre 2017 Udine






“ anche quella volta Lei c’era e mi riparò
 dalle mie tempeste sotto le                                                  
sue ali. Amor che desiderio sei,
così grande più della verità, più grande
più profondo ancor più quando
ti sussurro t’amo! Con te non sono un uomo innamorato,
ma uomo felice sì. Ti appartengo e non ho scelta. Ogni volta
che accade mi svuoto e mi riempio di noi e in quel noi
c’è la parte più intima, la più vera, l’unica! “
                         Vincenzo Calafiore

Quando ami o l’Amore stesso non si lascia recintare dalle parole, il linguaggio è una convenzione umana, l’Amore è un qualcosa che va oltre l’esperienza limitata dei sensi. E’ dunque quasi impossibile il tentativo più straordinario mai compiuto dall’uomo per dare compiutezza a qualcosa di inesprimibile.
Le domande che ( semmai ) ci si pone è un sentire che sgorga dalla testa e risuona nel profondo là dove i pensieri non possono giungere e violare, ove regna incontrastato l’intuito. 
Chiedersi cos’è l’Eros e chi è Eros?
E’ amore, amore di qualcosa, desiderio di qualcosa che si desidera. Ma se lo si desidera significa che non lo si possiede, ne consegue dunque che amiamo ciò che non possediamo o potremmo possedere.
Allora l’energia dell’amore dunque si esaurisce con la conquista oppure esiste o potrebbe esistere un modo per trattenerla?
Certo, un povero ama la ricchezza perché non la possiede. Però anche un ricco può amare la ricchezza e un sano la salute. Nel senso che amano poterle avere anche in futuro: in una dimensione temporale, cioè, in cui non le possiedono ancora. Perciò è possibile continuare ad amare una persona anche dopo averla conquistata. Succede quando desideri conquistarla anche in futuro. E’ la tensione verso un obiettivo non ancora raggiunto che tiene in vita Eros. 
Bisogna sempre essere affamati, direbbe Steve Jobs. L’amore vive finché si fanno progetti e sogni in suo nome. Finché si coniugano i verbi al futuro. Finché coloro che si amano non smettono mai, almeno un po’, di mancarsi. 
Desiderio e piacere secondo Platone
La ricerca della verità che anima il pensiero del grande filosofo greco si imbatte nella necessità di definire i sentimenti umani. Tra questi cos’è il desiderio? Cos’è il piacere? Le frasi che seguono ne forniscono, in forma di metafora, il significato che vi attribuisce il filosofo. Da tempo dunque è connaturato negli uomini l’amore degli uni per gli altri che si fa conciliatore dell’antica natura e che tenta di fare un essere solo da due e di curare la natura umana. Se ad essi proprio nel momento in cui giacciono insieme si accostasse Efesto con i propri strumenti e domandasse “Cos’è dunque, uomini, che volete che vi succeda l’un l’altro?” e, trovandosi essi in difficoltà, chiedesse ancora: “Forse agognate questo, di congiungervi indissolubilmente l’uno con l’altro in una sola cosa, così da non lasciarvi tra di voi nè di giorno nè di notte? Perchè se bramate questo, sono pronto a fondervi insieme e a comporvi in una sola natura fino al punto che da due diventiate uno solo”. Dopo che la natura umana fu divisa in due parti, ogni metà per desiderio dell’altra tentava di entrare in congiunzione e cingendosi con le braccia e stringendosi l’un l’altra, se ne morivano di fame e di torpore per non voler far nulla l’una separatamente dall’altra. Abbietto è l’amante volgare innamorato più del corpo che dell’anima: non è un individuo che resti saldo, come salda non è nemmeno la cosa che egli ama. Infatti quando svanisce il fiore della bellezza del corpo del quale era preso “si ritira a volo” ad onta dei molti discorsi e delle promesse. Chi invece si è innamorato dello spirito quando è nobile resta costante per tutta la vita perchè si è attaccato a una cosa che resta ben salda. Che cosa strana sembra essere questa che dagli uomini viene chiamata piacere; e come sorprendentemente essa, per sua natura, si trova con quello che sembra il suo contrario: il dolore. Ed essi tutti e due insieme non vogliono coesistere nell’uomo, ma se poi qualcuno insegue l’uno di questi e l’afferra, egli, in un certo modo, è obbligato a prendere anche l’altro, come fossero attaccati ad un sol apice, pur essendo due. Socrate ha conoscenza dell’ordine del razionale, tratto dal caos, ma sul tema dell’amore ha imparato tutto da una donna, Diotima, e ora può dialogare.
Ha imparato, lui che non sapeva nulla, che amore è un demone possente che sta tra i mortali e gli immortali. Dunque un vicenda che sta tra gl’umano e quello sfondo pro-umano,abitato indifferentemente dagli animali e dagli uomini..Gli dei,infatti, sono dentro di noi,per cui l’uomo ha la sensazione di una possessione <,quindi l'io razionale subisce una dislocazione (atopia). L'amore diviene dunque qualcosa che dispone dell'io, che apre alla crisi, che lo toglie dal centro della sua egoità, dall'ordine delle sue connessioni,facendogli vivere un'esperienza di altro genere.. <figlio di povertà e bisogno, eros non è affatto delicato e bello, ma duro ispido,scalzo, senza tetto..riposa dormendo sotto il cielo aperto, nelle vie,in strade ignote. Ma è anche figlio di Poros, la via, il passaggio, il guado, facendoci tornare alla follia, che ci ha sempre abitato, vicina al distacco dalla terra, di cui come cerchio, facevamo parte integralmente.. Ci ricongiunge alla parte divina. E' misterico, occupa lo spazio tra vita e morte. Morte come dissoluzione dei suoi confini, limiti, configurando nuovi modi di rinascere. Platone erge amore a simbolo della condizione umana, e non è solo vicenda di corpi avvinti, ma ha in sè la traccia, la cicatrice,la memoria antica di quella lacerazione e costante ricerca di quella pienezza, per cui ogni amplesso è memoria, sconfitta, tentativo di ritorno all'Amore.






mercoledì 4 ottobre 2017

La fortuna
               ( Buena Suerte )
Di Vincenzo Calafiore
5 Ottobre 2017 Udine

La “ fortuna” è uno di quei temi o concetto o uno dei concetti vecchi come il mondo, forse uno dei più sfruttati e anche tra i più fraintesi; c’è chi l’assimila al fato e cade nella peggiore peste che è il fatalismo e c’è chi la vorrebbe come dire condizionare e ricorre alla superstizione o alla scaramanzia, c’è chi non crede.
A prescindere che noi siamo quello che abbiamo voluto essere,
che forse non saremo i registi del nostro destino, ma gli autori.
Quelle persone che come me si ritengono fortunate sono o saranno più disposte al cambiamento, saranno più pronte a cogliere le opportunità, più attente agli eventi… a cogliere l’attimo.
Se ci si disinteressa del copione, non ci si dovrebbe lamentarsi dello spettacolo, accettare con serenità è invece un modo intelligente di seguire il destino, e trasformare così una vita normale in un qualcosa di unico e travolgente.
La fortuna in verità è inseguita da tutti e non tutti riescono nemmeno a sfiorarla  o afferrarla; è una chimera.
I greci la chiamano Tyche, i romani fortuna egualmente la immaginano una dea bendata che influenza i destini degli esseri umani in modo imprevedibile.
Macchiavelli, invece scrive nel “ Principe” che la fortuna è donna ed è necessario volendola tenere sotto, batterla!
Ma la vera fortuna sarà quella di alzarsi dal letto,
di potersi scaldare al sole o vedere la neve cadere,
di commuoversi e piangere,
di amare e essere amati,
di stringere a se la donna che si ama
di baciare,
di dire ciao,
avere un amico o un’amica,
sentirsi dire: come stai o ti amo
di entrare i chiesa e inginocchiarsi davanti a Dio
di essere caritatevole,
di non odiare
di non fare distinzioni di razza.
Ma più di tutto morire in pace con gli uomini e con Dio.
Non è fortuna avere ricchezze se poi si è poveri dentro
Non è fortuna essere belli e affascinanti se appena aprono bocca fanno scende il latte dalle ginocchia o rimpiangere l’intelligenza.
I talismani non servono a nulla se non ad attenuare l’ansia!
La parola greca symphorà vuole dire avvenimento, incidente, caso, utilizzata per indicare la fortuna ma in senso negativo con il significato di disgrazia, sventura; e quindi una grande ricchezza in realtà è una symphorà poiché comunque si vivrebbe soli e senza amore. Chi si ritiene fortunato è solitamente estroverso, sorridente e guarda negli occhi, incontra moltissima gente! Questo genere di persone ( me compreso) sono o saranno più aperti a nuove esperienze, viaggiano di più con la fantasia e non si sentono costretti dalle convenzioni, evitano la routine e si aspettano sempre sicuri dei fatti positivi perché pensano positivamente.
Oggi prevedo che sarà una giornata di sbadigli!!!! E per fortuna non sarò solo perché a farmi compagnia ci saranno i fantasmi dei vivi che fanno di tutto per attirare l’attenzione come funghi velenosi, belli e attraenti, mortali!


Per l’Amore, per la vita
Di Vincenzo Calafiore
4 Ottobre 2017 Udine

“ … l’amore dunque  è nel nostro essere
è dunque il desiderio più genuino e profondo
che alberga in noi e riconduce al desiderio più intimo:
quello di ricomporre l’unità originaria perduta.”

Per Platone amore è “ delirio” e follia. Se qualcuno considera l’Amore “bello” afferma Diotina è perché ha pensato che  Amore fosse l’amato, non l’amante : l’oggetto dell’amore- l’amato – appare indubbiamente bellissimo, ma Amore è il sentimento che afferra l’amante e lo fa soffrire e delirare, è tormento e dramma nella ricerca dell’amato.
Proprio per questo Amore svolge una funzione positiva: esso è desiderio di ciò che non si ha, desiderio del Bello e del Bene.
Nel Simposio come pure nel Fedro, l’amore appare come un ponte tra il sensibile e l’intelligibile, una forza che permette di trascendere la condizione umana ed esprimere nostalgia e tensione verso l’assoluto.
Si può quindi affermare che l’amore è un’esperienza che consente all’uomo di superare i limiti esistenziali e conoscitivi.
Affermare quindi che l’amore è desiderio di possedere il bene per sempre.
L’amore è sempre questo, ma viene spontanea una domanda:
in quale modo o azioni lo zelo e la tensione di coloro che lo perseguono possono essere chiamati amore?
Quale sarà mai questa azione o quel modo: è la percezione nel bello, secondo il corpo, secondo l’anima.
Tutti siamo pregni nel corpo e nell’anima, e quando giungiamo a una certa età la nostra natura fa sentire il desiderio di procreare.
Non si può partorire nel brutto, ma nel bello, si!
L’unione dell’uomo e della donna è procreazione!
Ma è impossibile che queste avvengono in ciò che è disarmonico a tutto ciò che è divino; il bello invece gli si accorda; così avvengono in ciò che è disarmonico.
Il brutto è disarmonico a tutto ciò che è divino; il bello invece gli si accorda, così che Bellezza fa da Sorte ( Moira) e da levatrice (llitia) nella procreazione.
Per questo quando la creatura gravida si accosta al bello diventa gaia e tutta lieta si espande, partorisce e procrea, ma quando si accosta al brutto, cupa e dolente si contrae. Si attorciglia in se stessa e si ritorce senza procreare, ma trattiene dentro il suo feto soffrendo.
Di qui s’ingenera l’impetuosa passione per il bello nell’essere gravido e già turgido, perché il bello libera dalle atroci doglie chi lo possiede.
E, a ben vedere, l’amore è amore del bello, di procreare e partorire nel bello!
E sia dunque Amore, la nostra vita:

Per Amore, per la vita!
Tornare a vivere
Di Vincenzo Calafiore
2 Ottobre 2017 Udine


La senti l’aria fresca che scende dai monti? E’ il respiro del cielo, è una carezza che arriva da lontano, come i tuoi segni, i tuoi tratti romantici nascosti agli occhi di chi non può capire o non sa guardare con gli occhi dell’amore.
Così tu sogni e sei sogno d’amore per chi ti sa guardare.
Vorresti l’amore per donare amore e questo ancora non è nel tuo orizzonte e come Penelope disfi la solitudine per ricominciare il giorno dopo a tessere nei tuoi silenzi l’amore che vorresti!
Nella tua stanza ovattata di ricordi vorresti dimenticare la bambina che sognava di fuggire da una prigione malinconica pregna di cose che non capivi; sei fuggita e ancora devi tornare.
Il cielo si raggomitola agli orli di un orizzonte a cui è difficile arrivarci, pare che voglia piovere mentre brucia lento il fuoco dentro, consuma piano i giorni così gli anni mentre in cuor tuo sai che la felicità è una chimera, un inganno che la mente propone per non morire.
Vivi perché sei entrata nella vita in punta di piedi per riconquistare ciò che è andato perduto.
Sai la beltà è un fiore che dura un giorno! E’ degli uomini sciocchi che non sanno andare oltre la soglia, uomini che si perdono appena dietro un angolo.
Tu sei una donna speciale, come verbena cresci su muri secchi e come tutte le donne spesso guardi il vuoto attorno pensierosa e triste quando vorresti una carezza, vorresti fare l’amore e rimanere abbracciata sentirti stringere forte perché è bello, perché senti di essere prima amata e poi desiderata.
Immagini al risveglio trovare i suoi occhi dentro i tuoi,
immagini un bacio sulla guancia o sugli occhi,
ti fermi a guardarlo mentre lui non ti guarda e senti la felicità esploderti dentro!
Pensi a quanto sarebbe meraviglioso vivere nel suo quotidiano come lui vivrebbe nel tuo.
Pensi a un campanello che squilla e trovarti davanti a una mano che stringe un fiore per te.
Ma è solo un sogno e sai che potrebbe realizzarsi solo se un uomo saprebbe leggerti!
Chissà se quelli che i hanno conosciuta ricordano le attenzioni per conquistarti e che non sono durate in eterno, ma che glielo hanno ricordato le tue spalle, quando voltandoti te ne sei andata!
Che bugia l’amore!