lunedì 20 febbraio 2023


 

La delusione “ del già visto “

 

Di Vincenzo Calafiore

21 Febbraio 2023 Udine

Che delusione, che peccato.

Con animo positivo e buoni sentimenti ci approntiamo a vivere ogni santo giorno di quel

Teatro dell’assurdo che è la nostra vita quotidiana, della nostra  faticosa eppure reale, mobile civiltà multietnica.

Tutto entro il confine ovattato e accogliente nella nicchia della privacy, nel massimo del confort e della  libertà di espressione; un guazzabuglio, una specie di pentolone in cui si mescolano ingredienti come i sentimenti, amicizia, cattiverie, dissolutezza, spregiudicatezza.

Ogni santo giorno iniziato con la speranza  di un giorno diverso, è invece assolutamente sempre la stessa solfa.

E’ uno spettacolo dello scempio, impreziosito da una sfilata di comici con il pubblico intorno che ride, anche senza sapere il perché, solo che alle donne è stato messo il chador.

E’ una  multi etnicità di facciata, cambiano soltanto i contesti, tutto si riduce alla passerella delle macchiette spolverate di  abbondante volgarità e violate dignità.

“ Cose già viste “ ahimè è il  - leitmotiv del quotidiano, la grande delusione, lo scoraggiamento o meglio la nausea del già visto o del già vissuto.

Si potrebbe pensare come a cose che capitano, in effetti, sulle quali magari si farebbe bene riderci sopra, ma che non danno alcuna novità.

Siamo felici?

No non siamo felici e quando pensiamo di esserlo, in realtà stiamo provando una felicità di facciata……la felicità è un’altra cosa.

L’unico momento originale, almeno, è quello del mattino, quando seduti su un water defecando pensiamo forse alla felicità perduta e mai ritrovata,all’amore che dice di amare e invece poi rimette tutto al destinatario con un “ vaffa”  di contorno, intimo e recondito.

E’ un’idea allora la vita, o un teatro dell’assurdo? Una domanda a cui bisognerebbe rispondere.

Tutto il resto è noia  

 

mercoledì 15 febbraio 2023


 

CRISTO

 

Di Vincenzo Calafiore

16 Febbraio 2023

 

Il dialogo si svolge di notte, quando tornano in mente tutte le parole, i pensieri, e come una marea tornano le visioni; ma la mente potrebbe andare oltre ricondurmi all’età della “ verga”

quando incosciente andavo in contro alla vita.

Ma c’è l’anima è lei la marea che nel buio mi assale, e vuole aprire un dialogo con Dio, lo desidera più di ogni altra cosa, perché indispensabile, perché di vitale importanza e lui, Dio, è là che ascolta pur conoscendo quell’anima e di essa le poche cose buone, le tante da scartare.

Quel Dio che per tanti non esiste, che è una “ invenzione “; quel Dio bestemmiato e umiliato c’è e lo si sente, lo si ravvisa in quello che si fa o si dice, si pensa, lui è lì ….. a mancare sono io.

Ecco allora che giunge la necessità dell’incontro, la necessità di confidargli tutto quello che mi passa per la testa; non so pregare, ma mi piace salutarlo no come Dio, che mi metterebbe paura, ma come un amico, un padre o meglio ancora un fratello, quindi – ciao, ti racconto…. alla fine ciao buonanotte  e grazie – poi la serenità, la pace interiore, è un addormentarsi felice.

La  civiltà che possiede il controllo dell’immensa potenza della tecnologia, è soddisfatta nei suoi bisogni sia elementari che artificiali e quindi meno autentici, avverte ormai da molto tempo che il suo patrimonio intellettuale non ha più risposte concrete da offrire.

E’ una civiltà che rischia di farsi rubare il futuro da un malessere subdolo dell’anima.

La decadenza si vede, si tocca, si manifesta continuamente e si trasforma in paura e indecisione permanente.

Di fronte a questo lento ma inesorabile declino delle coscienze, si avverte che bisogna in qualche maniera correre ai ripari in Dio, per poter continuare a sperare.

Blaise  Pascal  nel suo “ celebre azzardo “ chiede all’uomo di credere in Dio, se lo avesse trovato, il suo premio sarebbe stato il Paradiso, se non ci fosse stato avrebbe comunque vissuto bene, senza perdere nulla.

Oggi, a distanza di tre secoli e mezzo, andrebbe riscritta, al nome di Dio si potrebbe sostituire Cristo!

Pensare di rimanere in Cristo? Si!

L’Occidente  ha realizzato valori etici che sono entrati nel circolo sanguigno, quindi indispensabili.

Vale a dire che amando Cristo si ripudia e allontana Satana.

Vivere è scommettere su Cristo ed è un atto di civiltà, prima ancora che di fede.

C’è uno spazio per Cristo ogni giorno, ci deve essere.

La vicenda di Cristo può essere soggetta a tutte le interpretazioni, ma non potrà mai essere paragonata ad uno evento di democrazia.

L’Occidente ormai in crisi sa che non potrà risolvere tutto con il denaro, ci vuole la fede, il dialogo con Cristo, ci vuole Cristo.

Come disse Immanuel Kant sommo filosofo,il miglior tentativo di compendiare il pensiero di Cristo: << Cristo è l’idea personificata della moralità>> .

Così svanirà quella costante sensazione di sentirsi soli in questo mondo pazzesco e dissoluto, lontani dalla luce di Cristo, nel buio che noi stessi  per nostra stessa mano abbiamo creato!

lunedì 13 febbraio 2023

 

Vincenzo Calafiore

Il giorno dopo, “ Il Giorno del Ricordo

 

E’ calato nuovamente il silenzio, questa giornata da ricordare è trascorsa con i soliti

documentari storici su questo tratto di storia italiana ancora non chiarita a fondo, i soliti discorsi, deposizione di corone; ma nella sostanza non è cambiato nulla nel panorama delle responsabilità attribuite sempre e per la maggior causa al Ventennio Fascista, ma sarà proprio tutto a carico dei fascisti italiani, e perché non ricordare la collaborazione tra i comunisti jugoslavi e quelli italiani a loro favorevoli?

 

Bisognerebbe chiederlo a quei bambini e donne, uomini brutalmente trucidati di chi è la colpa, che ci indicassero una via per giungere alla verità assoluta, ma anche alle complicità di un partito che ancora oggi non ha fatto una revisione storica, limitandosi solamente a zavorrare l’idea, avvalorandola con  la pericolosità della destra italiana e con il possibile ritorno del fascismo in Italia.

Ma questo è un altro discorso.

 

FOIBA DI BASOVIZZA (TS)

 

 “ Il Giorno del Ricordo “ in memoria dei ventimila italiani torturati, assassinati e gettati nelle foibe, dalle milizie della Jugoslavia di Tito e alla fine del secondo conflitto mondiale.

La memoria delle vittime delle foibe e degli Italiani costretti all’esodo dalla Venezia Giulia, dall’Istria, Fiume, Dalmazia è un tema che ancora oggi divide.

Il trattato di Parigi di fatto regalò alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani.

La stragrande maggioranza degli esuli emigrò in varie parti del mondo dal Sud America in Australia, come in Canada e  Stati Uniti.

Pochi riuscirono a sistemarsi e con molta fatica in Italia, nonostante gli ostacoli dei ministri del Partito Comunista Italiano che favorevoli alla Jugoslavia, minimizzarono o tennero nascosta volutamente la portata della diaspora.

Emilio Sereni ( PCI ) , che allora ricopriva la importante e determinante carica di Ministro per l’Assistenza post bellica, e sul cui tavolo finivano rapporti e domande di esodo e di assistenza provenienti da Pola, da Fiume, dall’Istria e dalla ex Dalmazia Italiana, anziché farsene carico, minimizzò la portata del problema. Rifiutò di ammettere nuovi esuli nei campi profughi di Trieste con la scusa che non c’era più posto, e in una serie di relazioni a De Gasperi, parlò di “ Fratellanza Italo- Slovena e Italo –Croata “ sostenne la necessità di scoraggiare le partenze e di costringere gli istriani a rimanere nelle loro terre, affermò che le notizie sulle foibe erano “ propaganda reazionaria”

La “Foiba di Basovizza” è in verità un pozzo minerario, scavato all’inizio del XX secolo per intercettare una vena di carbone e presto abbandonato per la sua improduttività: esso divenne però nel maggio del 1945 un luogo di esecuzioni sommarie per prigionieri, militari, poliziotti e civili, da parte dei partigiani comunisti di Tito, dapprima destinati ai campi d’internamento allestiti in Slovenia e successivamente processati e giustiziati a Basovizza. Un documento allegato a un dossier sul comportamento delle truppe jugoslave nella Venezia Giulia durante l’invasione, dossier presentato dalla delegazione italiana alla conferenza di Parigi nel 1947, descrive la tremenda via crucis delle vittime destinate ad essere precipitate nella voragine di Basovizza, dopo essere state prelevate nelle case di Trieste, durante alcuni giorni di un rigido coprifuoco. Lassù arrivavano gli autocarri della morte con il loro carico di disgraziati. Questi, con le mani straziate dal filo di ferro e spesso avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi verso l’orlo dell’abisso. Una scarica di mitra ai primi faceva precipitare tutti nel baratro. Sul fondo chi non trovava morte istantanea dopo un volo di 200 metri, continuava ad agonizzare tra gli spasmi delle ferite e le lacerazioni riportate nella caduta tra gli spuntoni di roccia. Molte vittime erano prima spogliate e seviziate.

Chi erano le vittime della Foiba di Basovizza?

Italiani di ogni estrazione: civili, militari, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia e di custodia carceraria, fascisti e antifascisti, membri del Comitato di liberazione nazionale. Contro questi ultimi ci fu una caccia mirata, perché in quel momento rappresentavano gli oppositori più temuti delle mire annessionistiche di Tito. Furono infoibati anche tedeschi vivi e morti, e sloveni anticomunisti. Per quanto riguarda specificamente le persone fatte precipitare nella foiba di Basovizza, è stato fatto un calcolo inusuale e impressionante. Tenendo presente la profondità del pozzo prima e dopo la strage, fu rilevata la differenza di una trentina di metri. Lo spazio volumetrico – indicato sulla stele al Sacrario di Basovizza in 500 metri cubi (poi ridotti a 300) – conterrebbe le salme degli infoibati: oltre duemila vittime. Una cifra agghiacciante. Ma anche se fossero la metà, questa rappresenterebbe pur sempre una strage immane… e a guerra finita!

basovizza

 

E i carnefici? Individui rimasti senza volto. Comunque è ritenuto certo che agirono su direttive dell’ OZNA, la famigerata polizia segreta del regime titino, i cui agenti calarono a Trieste con le liste di proscrizione e si servirono di manovalanza locale. Nell’invasione jugoslava di Trieste e di ciò che ne seguì i comunisti locali hanno responsabilità gravissime. In quei giorni le loro squadre con la stella rossa giravano per la città a pestare ad arrestare. Loro elementi formavano il nerbo della “difesa popolare”. Il monumento
Il monumento della foiba di Basovizza è molto semplice: consiste in una lastra in pietra grigia, segnata da una grande croce; sullo zoccolo frontale è riportato un passo della “preghiera dell’infoibato” dettata dall’arcivescovo Antonio Santin. A sinistra è posto un cippo, opera di Tristano Alberti, rappresentante la sezione della cavità con alcune quote delle probabili stratificazioni, al cui centro è appesa una lampada votiva in bronzo collocata dall’Opera mondiale lampade della fraternità. All’interno del recinto, sono stati collocati in tempi successivi altri cippi, il pilo porta-bandiera donati dalle associazioni d’arma e dalle organizzazioni degli esuli giuliano-dalmati e due targhe: una individua il punto dove è custodito un elenco degli scomparsi in seguito alle deportazioni, l’altra ricorda le visite dei presidenti della Repubblica italiana. Nel 1980, in seguito all’intervento delle associazioni combattentistiche, patriottiche e dei profughi istriani-fiumani-dalmati, il pozzo di Basovizza e la foiba n.149 vennero riconosciute quali monumenti d’interesse nazionale. Il sito di Basovizza, sistemato dal comune di Trieste, divenne il memoriale per tutte le vittime degli eccidi del 1943 e 1945, ma anche il fulcro di polemiche per il prolungato silenzio e il mancato omaggio delle più alte cariche dello stato. Tale omaggio giunse nel 1991, anno cruciale per la dissoluzione jugoslava e dell’Unione Sovietica, quando a Basovizza si recò l’allora presidente della repubblica Francesco Cossiga, seguito due anni più tardi dal successore Oscar Luigi Scalfaro, che nel 1992 aveva dichiarato il pozzo della miniera “monumento nazionale”. I massacri delle Foibe e l’esodo dalmata-giuliano  sono una pagina di Storia che l’Italia ha voluto dimenticare! Non si riesce a capire  come mai questa tragedia sia stata confinata nel regno dell’oblio come se fosse una vergogna per quasi sessant’anni!

Come si moriva nelle foibe: I primi a finire in foiba furono carabinieri, poliziotti e finanzieri, nonché militari della RSI e i collaborazionisti che non erano riusciti a scappare, in loro mancanza si prendevano mogli e figli. Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosa e crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo filo di ferro stretto ai polsi, e schierati agli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco sui primi tre o quattro della catena umana, i quali precipitavano nell’abisso.