martedì 30 novembre 2021


 

Quel profumo di donna nell’aria ….

 

 

 

Di Vincenzo Calafiore

01 Dicembre 2021 Udine

 

 

Quel profumo di “ Donna” sospeso nell’aria è un vento forte, a volte troppo e, se riesce a prenderti, porta molto lontano in quegli “Altrove “ dove si è già vissuto o in qualche “ Altrove “  ancora da raggiungere,scoprire,

desiderare tanto da volerci  andare quasi da sempre.

E nulla potrà essere più vero, autentico, prezioso, del viaggio da compiere per raggiungerlo; l’altrove …  quel   senso ” in più che alimenta l’animo di quelle persone fragili che si identificano in un amore o in una crescita spirituale e non nella violenta sfida per la supremazia.

Vivere diversamente e senza amore sarà o è, o sarebbe, un’esperienza inutile come dell’uomo –tartaruga che si porta ovunque il suo bagaglio di cose inutili senza apprendere, né  comprendere che l’amore è l’altrove assoluto a cui andare, perché si coniughi il verbo amare, per poter dire: io amo! ;  allora se il viaggio è  “ Donna”  è un  – Altrove dell’anima –  e si può viaggiare nel corso di ogni esistenza, approdando o naufragando, di continuo ai lidi più distanti dal proprio io, o  cogliendo ogni propizia occasione per rendere il viaggio occasione di vita unica e irrepetibile.

Essenziale sarà comunque avventurarsi nel mondo “ Donna “ con  - animos - piuttosto che con la concretezza o la razionalità, solo così sarà – sogno -, meta, vita! Acquisendone man mano le essenze, diversamente il – viaggio – può rimanere esperienza fine a se stessa, un percorso pressoché inutile dell’uomo –tartaruga che portandosi dietro tutta l’inutile  violenza, finisce per spostarsi con tutta la sua inutile casa d’orrore, rimanendovi prigioniero ovunque si trovi.

Ecco perché si continuano ad uccidere donne…. Risaniamo poi le coscienze lasciando a terra delle inutili - scarpette rosse – a ricordarle e ricordare a noi stessi di non essere stati in grado di tutelarle con quella forma di giustizia, in questo caso con la pena di morte di chi si macchia di questo orrendo delitto ….. e questa non c’è !

Una società che non tutela la vita di una donna è una società ipocrita e condannata a disseminare date e scarpette rosse, candele e fiori, bla,bla, bla!

Si spiega così la facilità con cui si ricorre alla violenza e sopraffazione, eliminazione della donna, in questa orrenda nuvola di silenzio in cui da e come ostaggi si vive.

Ma c’è un silenzio che riempie molte pagine, quella del – tutti contenti in una memoria terribile e urgente -  nel cuore di chi diversamente cerca l’umanità in quell’insidioso viaggio nel vuoto delle anime  e nel frusciare angoscioso di pensieri, sorretti dalla malinconia di una vita diversa.

E’ questo un mondo cupo attraversato da millimetrici segnali tesi a evidenziare  una realtà ferità e una perplessa atmosfera ipnotica con cui lo guardiamo e lo attraversiamo senza alcuna reazione, senza onore, senza dignità.

Un cortocircuito di false visioni, azionato dal convulso mondo interiore

degli uomini -tartaruga, che riversa un inventario secco e glaciale dei dettagli e un rugginoso affanno visionario di un –altrove – che non esiste più.

Rapido il dolore si coagula, in brevi cenni solidali, una colonna sonora che non va oltre l’immagine inchiodata allo scatto d’umanità mancata.

Eppure alcune reazioni, lievi trasgressioni della linearità degli eventi, pennellate di colore nelle psicologie e interlineature filiformi di coscienze concorrono a trasmettere una forse vana speranza che svicola dolceamara nel lamento inutile e riprende il suo passo allestendo ambigue figure di legalità  negli sfondi sfilacciati in cineree sequenze impenetrabili!

 

 

 

 


 

Anche il tempo “ invecchia “

 

 

 

Di Vincenzo Calafiore

23 Novembre 2021 Udine

 

La “ consapevolezza “ delle parole ora mi sembra emergere, per tornare a un tempo arcaico, metafisico, finisce per assoggettarsi a una spirale che assorbe ogni cosa, tracimando il livore dei pensieri su anima e labbra.

Anche il tempo “ invecchia “ e in fretta, passa rapidamente e perde man mano il suo senso, in questa era oscena e di tempo reale, simultaneo.

Così si offre quella “ consapevolezza “  e come il mare, quel suo frangersi su pietre e venti, l’agonizzare lentamente tra le sabbie o nelle serali veste dei cieli calactini, nella quotidianità, investendo come una tempesta i sensi crepuscolari.

Dove la memoria ancestrale restituisce la materia di un ricordo, nel tentativo di confezionare per me un’esile, impercettibile traccia di felicità.

Amore mio lontano che d’eternità vesti i giorni miei dove sei?

Si espandono emozioni al sol ricordo, in un armonia lieve, l’ipermetro d’una felicità interiore, ove a mancare è il calore delle mani, il sapore delle labbra, pervade così l’asserare denso del giorno, la stessa malinconia del vissuto che se ne sta andando nell’inutile attesa.

Tu non lo sai, spesso inesorabilmente, si dipana il soffio della vita nella sua mortale miseria, in quell’acredine che emerge dall’inconfutabile legge della fine …. la mia fine.

C’è nella selenica propensione percettiva del mio cuore un’insistita materia dei sogni, definita e sorretta da un commosso ordito sacrale.

Sono gli stessi sogni  che disperdendosi in lattescenti filamenti lunari, formano una sorta di  tessuto lirico interiore, muschioso, ricolmo di forte rammemorazione.

E’ il mondo dei sogni, con il suo bagaglio di bellezze e di lacerata contemplazione in cui risiedo, ove si diffondono immagini quiete e semplici, profonde , oscurando

nello stesso momento i segnali  premonitrici di un tempo che non conosce sosta.

Sono in realtà solitudini senza tempo che hanno occhi di bambina, e in queste solitudini riaffiorano segmenti nascosti di fanciulla odorosa di mare, mentre sulle sterrate vane attese s’impiglia la catenaria degli anni passati troppo in fretta.

Poi sotto la coltre della dimenticanza ecco che sanguina la carne dell’assolutezza delle  parole, dei pensieri, dell’amore che va spegnendosi piano piano nel desiderio di un mescolarsi nella memoria, alla sua stessa secrezione, nel sacro avvolgersi dell’animo.

E’ un rimanere in vita in questa solitudine estranea e famigliare, nel silenzio, dei deliri notturni!


 

Il sognare un altrove è ritorno a casa

 

Di Vincenzo Calafiore

24 Novembre 2021 Udine

 

“ … a un certo punto ti rendi conto

che quello che hai non è quello che avresti voluto avere, e niente ti basta,

quello che cerchi è te stesso e questo è già un sogno…. ! “ Vincenzo Calafiore

 

C’era nell’aria un profumo che già conoscevo, ed era quello che respiravo da bambino, quando giocavo in quelle praterie assolate e piene del ronzio di api e insetti.

Notte tempo fa ho fatto un sogno. E’ stato così bello e così vero che ricordo tutto nei minimi dettagli, ancora adesso dopo tanto tempo.

Mi sono trovato in un ambiente che rassomigliava a una cabina di un aereo, non c’era strumentazione, solo vetrate da cui poter guardare.

Ricordo di non aver avuto paura di quel buio fuori, come pure il profumo nell’aria, e la musica dolce rilassante.

Quando ho visto in lontananza apparire un altro mondo, una volta giunti su quel pianeta o mondo che fosse, l’aereo o l’astronave su cui ho viaggiato si è dissolta in una immensa nuvola di farfalle colorate.

Mi sono ritrovato in uno sterminato prato fiorito e tante farfalle, ecco quello che non sono riuscito a capire è stato se quello che guardavo era un tramonto o un’alba, ma comunque tanto bello da non dimenticarlo ancora.

Questo il sogno! Ma la cosa più strana è che al mio risveglio ho disegnato quell’astronave o ciò che fosse, e che ora realizzerò in legno.

La necessità mia di scrivere è di per se un sogno, è una magia che si compie ogni notte, il suo motore sono le parole, quelle che riescono a scardinare le grate dell’esistenza, consentono alla sua serenità e bellezza di riemergere con il loro carico di emozioni che il tempo non ha mutato, ma semplicemente custodito.

Consentono a un’età dolceamara di parlare attraverso immagini che si sovrappongono, si distinguono o si alternano, proprio come in un sogno, che si ritrova al risveglio.

Forse al fine di ritrovare la parte di sé smarrita o la persona più amata, ma anche gli odori, le luci, le atmosfere di quell’amore che assopito cova sotto le ceneri di un’età lontana e cordiale.

Questa maturità è  un lungo processo di riappropriazione del sé è bisogna di larghi spazi di riflessione, è una ulteriore crescita che si esplica attraverso una rinnovata volontà di esistere, di essere, più ricca di empatia, che permette di presentarsi al mondo come un – animos –

La scrittura quindi come mezzo di locomozione in quei segreti che vogliono essere scoperti, per parlare e gridare al mondo tutto l’amore celato.

In ogni caso la domanda è quale vita scegliere, se quella da pantano o quella da pennino; in ogni caso non c’è ferita del corpo che possa essere più grande di quella dell’anima, ecco perché è necessario scegliere quale vita sia meglio.

Meglio quella da pennino che quella in cui recitare una vita da burattino, da oggetto senza coscienza e senza anima così come vogliono i burattinai.

Fino a diventare noi stessi burattinai in un mondo dove è stata cancellata ogni umanità, dove è andata distrutta la forte razza di “ animos “ e i flashback della memoria!


 

Il tempo della vita

 

 

Di Vincenzo Calafiore

25 Novembre 2021 Udine

 

“ …. Non vivere come chi

si butta dietro i giorni. Vivi

il tempo della vita pensando di

non sprecarlo in cose inutili come

una scalata al successo, credimi non

ne vale la pena. Pensa e meravigliati

quando camminando per strada in tanti

ti salutano e hanno piacere di soffermarsi

a parlare con te: questa è vita, è

vivere il tempo della vita… “

                                Vincenzo Calafiore

 

 

Settantacinque anni e non sentirli addosso, è un tempo che s’adorna ogni dì, di parvenze e similitudini come onda dentro che va; anche se tutto è un po’ arrugginito penso all’amore, il malanno più dolce che ho.

Ci provo ancora ad amare questa vita,anche se sento la fatica degli anni in questa salita del mio viaggio verso la meta.

Sono stanco di un insopportabile teatrino di periferia dove si recitano sempre le stesse commedie, sono stanco come una vecchia barca stanca di troppo mare.

Non è un’arresa, le onde non si stancano mai, e ho attraversato questo mio tempo proprio come un’onda di tanti mari diversi; è un viaggio che è iniziato dove sono finite le mie poche certezze. E’ la mia sfida della conoscenza attraverso i dubbi, alle assolute verità, a quel mondo poco distante dal mio, ormai soffocato e soggiogato dai suoi stessi recinti.

Ma so che posso amare e che non smetterò mai di farlo, almeno fino a quando il mio cuore ce la farà.

Non è solo voglia di amare, è amore verso il tempo della vita è sete di conoscenza quella che insistente conduce verso gli universi altrui come lo è quello di una donna, ad esempio.

Amare o poter amare una donna è l’assoluta libertà, è la coniugazione al plurale dell’esistenza.

Perché se ora tu dovresti chiedermi, «cosa significa amare?» ti risponderei che l’amore è un atto di libertà: la libertà di essere sé stessi. In questa società fatta di apparenza e di giudizio, delle manipolazioni delle idee, decisioni e stati d’animo, non c’è niente di meglio che accettare qualcuno per ciò che è. E’ essere capace di supportare chi ha bisogno con momenti di gioia, aiutare a superare un dolore o le difficoltà in cui la vita il più delle volte pone. Pensando a quanto valga poco oggi, la vita di una donna, alla facilità con cui la si elimina, la si umilia, la si violenta, viene voglia di non aprire la finestra o la porta di casa; viene voglia con qualsiasi cosa in grado di galleggiare, fosse una zattera, remare a più non posso per lasciarmi alle spalle questo mondo.

A guardarti ti scopro sempre più bella, e guardandoti sento che sto perdendo qualcosa in questo vento che pian piano mi allontana è il profumo di te che respiro per provare a sopravvivere!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I tuoi occhi

 

 

Di Vincenzo Calafiore

18 Novembre 2021 Udine

 

 

E’ passato così tanto tempo che non rammento più come sei.

Chissà come sarai adesso …. Però non ho mai dimenticato i tuoi occhi; Amore che occhi hai!

Ricordo la sera che ti incontrai era d’inverno e pioveva, tirava un vento forte, tanto che girò all’incontrario il tuo ombrello, ti feci riparare sotto il mio fino davanti al portone di casa.

Ci salutammo con un grazie e una stretta di mano, guardai i tuoi occhi dallo sguardo ferito ….

Sono rimasti dentro i miei e lì sono ancora, dopo tanti anni.

Ti ho amata tanto di  più con quella forte malinconia per la tua assenza,  tanto più lunga dell’inverno che mi porto addosso e le notti lo sono di più.

Chissà che occhi avrai adesso dopo aver cercato tanto la tua felicità! Sei felice? Avrai conosciuto nuove persone in questi anni, io no! Sono rimasto davanti a quel portone e ancora adesso, con qualsiasi tempo, da un angolo da cui posso guardare la tua finestra e il portone mi fermo e resto lì un po’ con la speranza di vederti uscire o rientrare, o che si accenda la luce nella tua camera.

Se solo tu mi sfiorassi con quella bocca ….. !

Se pure è una mia illusione io ci spero sempre, intanto svaniscono i giorni, l’amore davanti quella finestra chiusa. Ti tengo stretta negli occhi sin da quando staccandoti dal mio braccio danzavi davanti a me e solo per me, da quando baciandomi li chiudevi!

Al solo pensiero rimango senza respiro, con le mie mani vuote di te!

Salvami, se vuoi salvami!

Sei un pensiero già vissuto, abitato e lasciato nel disordine di un sogno che viene e si avverte come pioggerellina sugli asfalti di quel tempo in cui la mia vita restò sospesa, sorpresa alla fine di ogni notte dalle nostalgie di ieri.

E’ la fine di una notte, con quella bocca piena di parole te ne vai ancora una volta e chissà se ritornerai, come quando quel dì all’alba svanisti su quella nuvola di passaggio.

 


 

Il silenzio dentro

 

 

 

Di Vincenzo Calafiore

2 Settembre 2021 Udine

 

Pare che niente possa dare

vita al silenzio dentro noi.

Non più parole, né suoni,

niente.

Nulla ci unisce.

Anima tocca anima

solo così possiamo essere

vicino e vivi.

Dammi occhi, occhi per sentire

mani per vedere l’amore

nel misero tempo.

L’Amore è silenzio

non vuole parole

ma occhi e mani ….

Su, vieni, lasciamo le nostre

ombre al sole! “

                            Vincenzo Calafiore

 

Ti amo!

Sì, io ti amo.

Ti amo in silenzio, dentro l’anima mia, dentro il mio cuore, che a stento tiene la tua luce,

a stento rincorre i passi tuoi sulle sabbie della memoria che ancor conserva agli occhi

frammenti d’una età lontana.

Ma in che modo amarti, se i tuoi cerchi mi allontanano?

In che modo raggiungerti se il mio mare mi allontana sempre più da rive che non mi appartengono più!

Oh cuore che riconosci ancor il frusciar  del tempo, quante pene ancor m’attendono al calar dell’ombra?

 Vedi? Sono queste le tangenti che si stendono a un orizzonte ancora col ricordo delle nostre ombre in un crepuscolo dorato; io ancora cerco la tua ombra, noi ti cerchiamo ancora.

C’è silenzio in me,un silenzio che scivolando lascia di se frammenti di momentanea felicità, come nettare addolcisce le notturne fughe da una realtà crudele: Tu manchi e manchi moltissimo è questa la verità celata ai teli splendenti d’un sorriso.

Fossi qui ora, ti chiederei di amarmi come tu sola sai fare! E’ di te che ho bisogno, sin dal mio primo pensiero.

Amore! E ti chiamo col nome che ti diedi quel giorno che il mare ci portò a casa, la nostra casa che come madre, conchiglia, accolse le nostre anime!

Fossi qui racconterei non a te, ma alla tua anima, i miei lunghi silenziosi inverni attorno agli occhi, negli sguardi smarriti, nelle parole che non hanno più suono; che strana “amante” l’amore, ti prende e ti lascia … ed è così che sono, un legno nell’onda dell’andare e venire, dove e da dove io non lo so e mai lo saprò!, come quel – sì – che un dì colorò il cielo e il mare di sotto come fosse un tramonto, quello in cui ermetico fuggiasco condannato ai ricordi, alle mie età svanite, all’amore che tintinnò nelle campanule dorate che dal cielo rischiararono

gli anfratti scuri di un palcoscenico vuoto e vivo nel silenzio.

Purché fosse amore vennero dalle fila silenziose, parole che riportarono agli orgogli e ai desideri, ai baci, in quelle lunghe attese, nell’infinita mia diaspora!



 

 

 

 

Di notte

Di Vincenzo Calafiore

1 Novembre 2021 Udine

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Ecco vedi è già l’alba sul filo d’orizzonte, viene agli occhi nostri, come una venere dal mare, è ora di tornare in quella terra d’attesa della prossima notte in cui tornerò a vivere.

E’ l’emozione d’essere spiaggia e come una spiaggia vivere di attese, l’emozione scritta e poco letta, ma ci sono occhi che cercano quelle parole che poco prima erano racconto che come la vita si inanella episodio su episodi, scarnificando e trasformando le parole in frantumi di un mondo misterioso e circoscritto di pulsioni ossificate e di mete inavvicinabili, di miraggi a portata di mano, passioni incenerite.

La mia vita davanti a una scrivania, tra le mie penne stilografiche che come le bacchette magiche si animano di notte, c’è profumo d’inchiostro nell’aria mentre paradossalmente, prende vigore la pagina, vive le mie medesime derive.

Come fanno le onde che non lasciano tregua alla riva, così nello studio nascono accelerazioni improvvise, impulsi, e si rinvigorisce la trama quando sembrava sul punto di arrestarsi.

Di notte come un lebbroso mi aggiro per strade vuote e vicoli abbandonati, così è la scrittura che non segue le linee rette,ma si lascia dominare dal pensiero che la porta ovunque passando dalla memoria e da quel poderoso affresco dell’anticipazione della fantasia che insegna dentro un disegno a recitare nel buio…

Lei poco distante da me osserva e tace  è come una massaggiatrice slovena, semplice e calma nell’affrontare  le cose; in quell’aria odorosa di carta e inchiostro la sua figura conosciuta nelle più flessibili sfumature, disinvolta,appassionata, maliziosa, esiste solo nella mia testa e nelle scene che il pensiero come un regista crea.

Lei si emoziona, si lusinga, mi sussurra che mi ama, ed è un cambiamento del cuore!

In questo angolo prezioso, amaro per certi versi, si compiono le magie, anche se assediato dalla solitudine, dall’ansia celata nell’allegria, dalle chimere della perdizione nelle pagine scritte.

Intorno il passare lento delle stagioni, il peso degli anni è un perenne variare dei colori, è un camminare lento in un lungo e solitario autunno nella vecchia storia del nascere e morire.

Laggiù in quel lontano orizzonte luccicanti insegne dei caffè e dalle bellissime immagini di tramonti, si spazia sin dalle rive piene di vita e vecchie barche che perdono la vernice, Reggio, languida negli ultimi fuochi di questo autunno dolciastro e appiccicoso, come a voler trattenere ogni tramonto …. Emergono schegge di vita dalla nervosa scrittura, che assottigliandosi sempre più raffigura anche l’insignificanza di un gesto, si amplia fino a far brillare le luci della città immaginata.

L’immaginazione non cede mai la sua euforia narcotica alla mutilazione della vita con quell’età che non perdona.

Mentre il tremolio ricolmo del mio crepuscolo torna a svelare e svegliare tutte le dolci voci della sera, dinanzi a una scrivania.  

 


lunedì 15 novembre 2021


 

Che dono prezioso è….

 

 

 

Di Vincenzo Calafiore

16 Novembre 2021 Udine

 

 … quando pensi di avere e trattenere

vita come in un bicchiere, ti rendi conto

di possedere che un bicchiere vuoto … “

                                      Vincenzo Calafiore

 

Con il sonno leggero dei “vecchi “ e delle gambe stanche di tanta strada, la notte sembra non finire mai in quelle distese di campi nomadi.

Spossato dall’immenso, il corpo si scalda, si dilata, ricorda gli anni di tanto cammino, i sentieri umani formicolano lungo tutta la colonna vertebrale, sussulta.

Sogni e pensieri appesantiscono le palpebre, le spine della vita si incistano nei fianchi, il sonno mi avvolge di pareti di parole di tanti inchiostri, che mi murano. L’ultimo pensiero: che dono prezioso è la vita!

Ho avuto la fortuna di ascoltare le nuvole parlarmi, e l’amore di tanta gente chiamarmi che con la grazia di quel movimento discendente, e ascendente, del latte quando viene versato in un bicchiere di un buon tè caldo, si disperde in mille cerchi per diventare un unico colore, quello della lontananza.

E comunque io da ogni angolo guardi il cielo procura poca gioia, è un sortilegio dell’illusionista pachistano che riesce a farmi vedere un barattolo di latta zeppo di gente che si lascia portare da una velocità, disattento della vita che scorre ai lati come fiume in piena.

Mentre un violino saccheggiato rievoca armonie di un eden spazzato via da un sistema subdolo e affamato; la mia vita prende forma appesa al gorgoglio di un’alba che attraversando i suoi giardini mi raggiunge, come un soprano leggero in una serata d’onore.

Lo so di esistere solamente per un minuto quando qualcuno riesce a leggermi, è un pensiero che mi fa socchiudere gli occhi per vedere meglio, come un miope per leggere le pagine del libro delle sonore argille, parole come segni incisi sulla pelle, un libro che racconta tante storie di musica e parola, tutto ciò che mi tormenta.

A volte mi pare d’essere in mezzo a uno sterminato prato in fiore e immagino che i fiori siano un unico grande popolo di tanti colori, e steli danzanti nel vento;un linguaggio unico di bellezza vibrante.

Scende in me una quiete lattiginosa, va coagulandosi la voce del silenzio.

Tintinnio di parole e sonagliere di pennini borbottano sul piano della scrivania.

Accanto ad ogni parola appare un sogno e un volto ! La mano tiene la barra fissa sui righi, il dolce graffio del pennino, il profumo dell’inchiostro forte come l’aroma del tè pachistano …  inizio a comporre una strofa di vita! Ed è poesia,lontananza da ogni cosa terrena.

Guardo quel piano nel disordine di fogli e penne, matite, c’è l’antico guardiano delle parole che mi rammemora, della vita mia luccicante e cangiante quando ancora ero mare, c’è una ragione in questo esistere ed è quella di essere in paradiso, mi tiene lontano dalla pidocchiosa altura di baracche e tendoni di piccoli circhi oltre i vetri. Le parole e le magiche visioni scorrono  tra accampamenti di umanità che si è perduta nei dettagli di un inferno, scorrono risuonando come secchi per la mungitura di capi di bestiame sfiancati, fumanti, intrisi di povertà.

E’ come trovarsi in un recinto di agnelli da sacrificare a un dio minore perverso.

Ancora una volta la notte se n’è andata passeggiando come un equilibrista su righi di parole sospese su una terra che conosco, come estasiato dello sfrontato incendio delle parole che come papaveri, vividi vivono fino a un sottile dolore, emblemi di una felicità mancata e di pensieri che come falene dalle bocche cave volano su deserti piani.

Invidio i bambini che con innocenza danno ali ai papaveri tra l’erba … io con loro chino su un papavero, rosso sulle mani e fuoco, come fossero carboni ardenti ardono gli occhi, la magia della vita ha inizio.

 

sabato 13 novembre 2021


 

Naufrago in un mare di solitudine

 

 

Di Vincenzo Calafiore

14 Novembre 2021 Udine

 

“ .. io sono mare, mi muovo sempre,

scrivo e all’alba divento marea…. ! “

                                     Vincenzo Calafiore

 

Succede di notte in una notte di stelle ardenti, il vento cambia e porta odori di montagna ma secchi e roventi, gli stessi degli altopiani asiatici.

Succede di notte, osservando il cielo e vedere tre stelle precipitare, e queste, lo so, sono destinate: una  per chi scrive, una per chi legge, e la terza per chi ha capito … ed è

già un miracolo!

Scrivere a queste ore di notte è una discesa negli abissali stadi del linguaggio dell’anima, dove:  vedere, sentire, capire, hanno significato e un tempo proprio per confluire in un unico fascio semantico.

Così le pagine si riempiono e si presentano  nella sprezzatura di una stenografia diaristica, posso  assistere al prodigio della continua geminazione delle immagini, a un ultimo convito dell’analogia, prima che il nero velluto della notte mi inghiotta.

La mia notte primordiale è la fusione tra il mio mondo da naufrago e quello che c’è oltre quel manto nero che a guardarlo è un ignoto che mette paura, ma è  come dire la terra di mezzo fra le due lingue della mia scrittura.

Succede di notte, nel mare aperto di una scrivania di troppa umana presenza, di avere un brivido lungo tutta la schiena, arriva una domanda, la mente piena di parole, si svuota:

In che tempo vuoi vivere?

Vorrei  continuare a vivere da naufrago come fino ad ora, su una zattera priva di timone, in un mare di parole che abbiano un senso; vorrei vivere in un participio imperativo di una futura dignità e libertà, la forma passiva del < dovente essere > !

Così potrei respirare sogni, libertà.

Così sì che mi piacerebbe continuare a vivere.

Ci trovo in questo mio  linguaggio notturno un “ onore equestre “  da cavaliere. E’ per questo che mi piace il glorioso  –gerundivo –  latino, questo verbo del genio latino, che creò la flessione verbale imperativa come archetipo di tutta la cultura che non solo deve – essere – ma dovrebbe anche esistere.

E’ di questo che parlo tra me e me mentre lenta scorre la stilografica su un rimasuglio di vela bianca, attraverso le distese e i territori da nomade.

Voglio questa notte conoscere le mie ossa, la mia lava che scorrendo incendia e dilata le arterie dando impulso vitale alla mia vita da errabondo sognatore.

Affondare con tutte le fibre del mio essere naufrago latino all’impossibilità di scelta, all’assenza di qualsiasi forma di libertà.

E’ qui che mi ostino a vivere, rifiutando spontaneamente la luminosa assurdità di un sistema orrendo capace di  privare della volontà e della ragione; se io avessi accettato di vivere qui, in questo  -lontano dell’anima - avrei accettato quella meritata e indelebile  uniformità, uguaglianza, l’afonia dei suoni, la pietrosità sanguigna, la solidità della roccia, vorrebbe dire che è stata vana la mi esistenza. Io invece vorrei continuare a vivere e per farlo resterò naufrago a vita su una zattera in un mare di parole e di pensieri, che non mi associano, mi dissociano da questo crogiuolo di ombre e apparente umanità.

Semmai accettassi come qualcosa di meritato, l’ombra degli anni passati, dei sorrisi che sono stati, dei baci mancati, dell’amore che non c’è stato, scoprirei la mia durezza del linguaggio, quando prenderei coscienza della mia età contemporanea, che succederebbe  al mio cuore quando comprenderebbe che l’ho tradito per un pugno vuoto di niente?

E poi che cosa è per me questa inutile e concubina contemporaneità? Una sequenza di puntini che vanno all’infinito senza mai incontrarsi!

Io è per lei che vivo … è per questo che sono naufrago.  Io e lei guarderemo questo mondo rovesciato, mentre l’inverno dentro punge e brilla crudeltà nelle pupille.  Andremo via assieme, mani e piedi fasciati con  panno regale, nel più profondo  – no –  senza paura, fino a sentire scricchiolare la nostra esistenza. Avremo occhi per guardare il mondo che galleggiando si allontana senza dare di se essenze né profumo!

Sai, per te, avrò parole dalle pareti scoscesi, strati di suoni nelle semivocali che ti evocano , forse sta tutto lì l’incanto del verbo – Amare –

Io ti perdo Vita,  mentre l’occhio cerca la forma, l’idea, e si imbatte nel pane ammuffito della natura stanca di una umanità inesistente, in mani incapaci di stringere mentre la vista si scheggia , si spezza quando vede per la prima volta il volto della poesia.

Da dove viene allora questa mia attrazione alla vita? Come spiegarla? Che senso darle?

Ho provato la gioia di pronunciare il suo nome, di amarla, di pronunciare verbi proibiti e sentire suoni misteriosi dell’anima, ormai da tempo ripudiati e forse anche ritenuti vergognosi.

L’acqua bolle nella nera teiera, stranamente e meravigliosamente limpida, un’ombra vi gettò un pizzico di fantasia. E’ quello che mi è successo e succede tutte le notti con un cielo di stelle cadenti.

La penna stilografica scorre lentamente, la carta ha respirato tutta l’aria di quell’inno alla vita che avrei voluto sedurre con una corda di violino, o addolcirla con un flauto traverso, perché si sciolga la neve che ho in me, sulla carta umida di salso la vita viene verso le labbra, ho freddo e sono felicemente naufrago in un mare di solitudine.

 

 

martedì 9 novembre 2021

 

 

Di Vincenzo Calafiore

10 Novembre 2021 Udine

 



Sono in uno di quei momenti cosiddetti

   autunnali  “ in cui tutto appare nelle foschie di vaste brughiere, dove ogni cosa è quasi irraggiungibile.

Da questa visione tutto pare più lontano, più scruto nella nebbia, più mi rendo conto di esserci dentro ormai da molto tempo tanto da non riconoscere il luogo dove mi trovo; i ricordi man mano prendono forma, si animano nella penombra della stanza, nell’aria tiepida di candele accese sul davanzale di finestre spalancate al buio.

La luce tremula è un richiamo di quei sogni che da molto tempo ormai attendono di realizzarsi

dinanzi agli occhi miei, come accadeva un tempo, quando potevo amare.

Lei è qui nonostante sia andata via, ne avverto la presenza, nell’aria il suo profumo che tanto amo; come una falena volteggia attorno alla luce, si posa sul palmo della mia mano …. potrei  chiuderla a pugno e trattenerla con me fino all’alba!

E all’alba muore assieme ai sogni, alle speranze, al desiderio

Amore quanto è distante da me la vita, con questo inverno addosso!

Tu non lo sai, lentamente, lontano da te sto morendo, come foglia caduta a terra.

Cerco nelle mie letture quello che non ho o mai più avrò.

Cerco le tue labbra, le tue mani, mi soffermo per ricordare i miei momenti felici e il più delle volte cado in un sonno profondo con il libro in mano …. È un inganno, un trucco di Morfeo per prendersi gioco di me, del mio credere che tu  possa ritornare come una viola ogni estate nello stesso posto.

Per trattenerti seguo i ritmi del cuore e non basta, perché appaiono i tuoi occhi screziati di luna e torna la mia mente a quelle notti sul mare, quando incantati e ammaliati dalla risacca restavamo seduti senza accorgercene fino all’alba che ci trovava abbracciati dentro un asciugamano.

Come posso adesso ingannarmi facendo finta di parlarti, sentirti vicina a me?

Come posso dimenticarti?

L’amore non è questo, non è dimenticarsi; l’amore vuole sempre un ritorno, mai una fine.

Sai cosa c’è?

Manca tutto di te perché sei bella!

Sei bella quando arrossisci e ti si legge negli occhi quello che senti in te.
Bella quando ti specchi e vedi le tue paure, le insicurezze, quando piangi in silenzio.

Bella quando ridi all'improvviso dentro i tuoi occhi.
Sei bella quando balli da sola, immaginando qualcuno che ti stringe forte al suo petto.
Sei bella in pigiama, con i capelli arruffati, con gli occhi stanchi.

Quando cammini scalza e ti muovi in punta di piedi, come una ballerina.
Quando resti in silenzio assorta nei tuoi pensieri, nei tuoi sogni.
Sei bellissima e non lo sai.

  

 

 

giovedì 4 novembre 2021


 

La forma dell’infinito

 

 

Di Vincenzo Calafiore

2 Novembre 2021 Udine

 

“ … vai a letto con la speranza

d’essere rapito da un sogno e

svegliarti in un altro mondo diverso

da quello che appena hai lasciato fuori

dalla porta. Al risveglio apri gli occhi

lentamente per non morire subito,

quando hai preso coscienza ti ritrovi

esattamente allo stesso punto di ieri,

oggi è un altro giorno di diverso ha solo la cifra

ma lo scenario è sempre lo stesso di ieri.

Questa è la tua delusione più grande…. “

                                   Vincenzo Calafiore

 

Se dovessero chiedermi com’è la forma dell’infinito, risponderei, gli occhi suoi!

Nell’accerchiante oscurità della stanza intravedo i volti dei miei personaggi oscillare e sfumare nel nulla; le scene si appannano ma non si sgretolano.

In queste mie latitudini tutto è possibile, nebulose richiamate dalla memoria fanno parlare i “corpi” e non le idee, i pensieri … ma lei non c’è !

La scrittura, la narrazione si assottigliano, brancolo in un mondo d’ombre, visitato fino ai confini più lontani dall’immaginazione, e lei era sempre più bella, sempre più irraggiungibile, lì in quel confine irraggiungibile.

Sono come un bambino con una caramella in bocca succhiata lentamente mentre guardo questa mia età che pian piano mi sta allontanando da tutto; e come un bambino cerco un posto in cui rimanere, purché sia lontano da questo mondo che trema come la carena di una barca, trema di paure per la diffusa violenza.

Resto sulla soglia della mia vita in attesa di eventi nuovi!

E quantunque pungolata dal flusso narrativo quotidiano che impone  essenzialità, le vicende come fosse una narrazione si dilatano inglobando excursus,similitudini umorose, improvvisi slanci da ricordi, e come un bambino resto a guardare lo spettacolare di tutto ciò che accade  sotto i miei occhi cercando di individuare una sua impronta, un suo lascito.

Chissà dov’è lei ora che la passione per questa vita mia rassomiglia sempre più al calore di una primavera sul finire, questa età capace di cogliere nel buio di tutti gli angoli morti.

Lei è dunque un miraggio e come questo è immagine sfocata a un orizzonte a cui ormai i miei occhi da tempo non si posano.

E’ in questa visione, in questo identificarsi, in questo pieno aderire non alla volontà, ma alla legge dell’assenza.

Dunque la felicità, la saggezza,l’amore, nascono non dal distacco, dalla lontananza, ma contrariamente dalla compenetrazione in esse totale e profonda che pur essendovi dentro, e proprio per esservi dentro in quella contemplazione si è, nello stesso tempo anche fuori dal mondo.

Senza amore brancoliamo come nelle tenebre è infatti così difficile raggiungerla la felicità che più ci affanniamo a cercarla e più ce ne allontaniamo …. Il tempo poi  rende sempre più distante la nostra meta.

E’ certo che sino a quando vagheremo a caso, non seguendo ciò che il cuore suggerisce di fare, ma ascoltando lo strepito delle voci inutili che spingono in direzioni diverse, la nostra vita, già breve di per sé, si consumerà in questo andare errabondo, e mai in quella dell’amore: la forma dell’infinito!