sabato 26 dicembre 2020


 

Domani sarà un giorno migliore

 

Di Vincenzo Calafiore

26 Dicembre 2020 Udine

 

“ … voi amanti, tramandate il respiro

del vostro amore, raccontate del profumo

degli occhi, del sereno attorno.

Tramandate il fruscio delle parole sussurrate,

raccontate degli orizzonti oltrepassati lontani

da questo mondo schiacciato, lontano.

Amatevi dai bordi estremi del mare,

dal limite del niente che il mare rappresenta …

tramandate il vostro fruscio dei baci a mezza luna … “

                                                Vincenzo Calafiore

 

 

 

“ Domani sarà un giorno diverso “ disse lei, con i suoi occhi di gatta  appena socchiusi!

Ha visto  il mare confondersi con il cielo, in lontananza ed ha pensato che le nuvole possono rimanere sospese, come l’amore i pensieri.

Pensò ai baci della sera prima sulla spiaggia, ai sogni ancora sospesi a mezza aria tra le ciglia e i capelli raccolti al alto del viso … ricorda il braccio che la cingeva … quando guardandola negli occhi le dissi: … io sono qui da sempre, non sai quanto ti ho attesa, qui su questa spiaggia mentre parlavo con il mare … occhi socchiusi!

Guarda le stelle, sembra che galleggino, che si confondono con altre per una meraviglia più grande …

A guardarle sembrano una cosa sola …. Ma non hanno niente che li lega … noi amore siamo legati dallo stesso filo, loro ora sono vicine quasi a poterle toccare è il vento che le porta e le fa incontrare, come il mare ha fatto incontrare noi, poi cambia la sua direzione e le trascina via, come succede ai nostri anni, alla nostra vita, ai giorni dimenticati, mentre io sono rimasto sempre qui, c’ero  ieri, e guardavo se arrivavi … ne è passato di tempo amore!

Sai come siamo noi?

Vedi quel masso, che affiora appena?

Oggi il mare è tranquillo, non c’è mare, e sporge bene, lo si vede … un momento prima era appena coperto dal mare… ma bastava a nasconderlo!

Tra un po’ non ci sarà più…. Uno magari passa di qui e guarda il mare, i suoi occhi non lo vedranno, io si perché lo so!

Ecco questo siamo noi!

Io già ti amavo, anche se ancora non ti avevo incontrata, io sapevo che tu saresti arrivata, come fa il mare con la spiaggia che le porta tante cose, poi se le riprende e le porta via.

Ecco questo siamo noi: il mare e la spiaggia sempre uniti!

Tu per me sei un mare amore mio!

Guarda il mare …. Qualche minuto fa c’era una brezza leggera di vento,ora è sparita. E’ una carezza di donna, delicata come il gesto di una donna che ti ama, non la si vede, ma si vede il mare, che è appena increspato come se una mano leggera lo sfiorasse delicatamente.

Guardo e penso proprio a quanto siano belle le carezze che non mi fai, penso a una donna dolce, seduta qui di fianco a me che non mi chiede di parlare.

Immaginavo queste carezze su me, così dolce, che muove il mare.

Non gli assomiglio, ma lo vorrei, vorrei poterti amare ma tu sei mare ti muovi sempre!

Penso ai ricordi, vecchie ferite… mi ricordano le barche che passano sopra il mare … poi una volta che sono passate il mare si richiude… così succede su di me, le parole della gente, i ricordi, le ferite, passano sopra feriscono, fanno male, poi tutto si richiude e la vita continua.

“ Oggi ho un vestito blu, di stoffa pesante, con sulle spalle polvere di stelle.

Una cuffia che scende sugli occhi. Per me anche la memoria è un suono, soltanto un modo per abbassare la voce per sussurrarti: ti amo!

lunedì 21 dicembre 2020


 

L’Equilibrista

 

Di Vincenzo Calafiore

22 Dicembre 2020 Udine


 

Lo so di correre grave pericolo arrampicandomi a mezzo cielo, potrei precipitare in quel baratro che con fauci spalancate attende pazientemente chi non c’è la fa più;

ma io appartengo alla forte razza dei sogni, e assieme ad altri come me, acrobati e funamboli, ogni giorno proviamo a camminare a piedi nudi su quel filo sospeso tra terra e cielo.

E lassù, guardando l’infinito, respirando il vento, ci pare d’essere in paradiso, essere lì è come essere sospesi dentro una parola, sconosciuta e lebbrosa, dimenticata, che noi ricordiamo, è linguaggio, oceano sempre in movimento da una sponda all’altra delle terre che sempre più a fatica riconosciamo nei nostri voli pindarici.

Poeti, scrittori, saltimbanchi, giocolieri, buffoni, tutti assieme nello stesso crogiolo, nella stessa poltiglia che i più forse per tramandato racconto, chiamano vita!

Non sanno di vivere una vice vita! Vicaria e serva curva, di un potere senza limiti, preoccupato solo di ingrossar le fila di nuovi schiavi….

Noi, picari e artisti di strada viviamo alle porte del cielo, sempre in cerca di una corrente capace di farci raggiungere la terra che non c’è dove noi solitamente viviamo… ci riconosciamo da quel profumo di libertà, dal linguaggio … lo stesso che usiamo per raccontare le favole, per dire che la vita non è altro che la continua meraviglia di esistere!

Ogni ritorno è un ritorno a Itaca, un approdo felice negli occhi di chi ama, e lo sentiamo, ci appartiene come l’onda appartiene alla riva e la riva al mare!

Guardami! Guardami e amami ora con quanta fatica cerco di raggiungere il mio tempo!

Amami ora con quel bianco salino negli occhi,

amami con le mie rughe, tutte vie di fughe da una realtà mai amata, alla quale un giorno assieme cercammo di sfuggire!

Amami ora quando io stesso guardandomi allo specchio a fatica mi riconosco, lo sai, come un lebbroso mi aggiro su quelle strade che non si vedono, indesiderate, vivo tra i rifiuti umani, scarti di Mangiafuoco.

Tu lo sai che agonizzo per un male sconosciuto, che non si sa come curare ….  Vedi hanno  rimesso assieme i pezzi per farmi sopravvivere … ma loro gli altri scartati, gli altri prigionieri a vita? Quelli che hai intravisto nei tuoi sogni come nelle favelas di Rio e di Buenos Aires, nei vicoli malfamati di Napoli, nelle bindovilles delle megalopoli.

Quelli che protestano contro le disuguaglianze, la fame e la disperazione, quelli che amano la libertà e vengono imprigionati nel silenzio e in silenzio spariscono per sempre!

Amami ora adesso prima che si aprano i nuovi Dachau! Amami ora prima che finisca la mia fiaba.

Mio Dio, che orrore la prigione dorata!

Io sono sempre vissuto nelle strade, nelle piazze, nelle galere e qui ho incontrato migliaia e migliaia di persone dalle quali ho appreso storie meragliose… storie meravigliose che mi sono portato dentro e che ho raccontato e racconto  a quelli con cui mi trovo bene.

Storie meravigliose che ho cominciato a scrivere durante i miei lunghi anni di prigionia nelle galere di Mangiafuoco.

Ho voluto scriverle perché era un modo mio per rimanere ancora insieme alla moltitudine di picari e giocolieri, saltimbanchi e equilibristi, giocolieri e fantasisti.

Amami ora, qui su questa spiaggia, prima di spiccare il volo con Pegaso, l’unicorno dalle ali dorate.

Vorrei dirti che io sono proprio uno di quei prigionieri che avrai intravisto e amato nelle strade ,nelle piazze, nelle galere, nei manicomi, negli ospedali di questo pianeta.

Io sono Prigioniero che non accetta nessuna prigione, e per questo sta in prigione, com’è naturale in questo mondo rovesciato.

Amami!

mercoledì 16 dicembre 2020


 

Il desiderio di vivere

 

 

 

Vincenzo Calafiore

16 Dicembre 2020

 

Sai , mi è difficile ascoltare il rumore di quel mio fiume amaro che scorrendo dentro me, opacizza le magie del mio tempo, anche se è un tempo sbandato, a cui soggiogato vado a piccoli passi, in un moto continuo così succede che ogni mattino scopro di me qualcosa di più.

E’ straordinario vivere, ma lo è altrettanto la morte, così leggera e sospesa in tante attese di destini logori e macerati come vecchi legni in balia degli oceani per anni.

 

Non è paura la mia!

Tu hai pensato che io abbia paura di quel che mi attende da qualche parte … a lei chiedo solamente che sia ben affilata la lama che si porterà via l’anima.. ecco io non ho paura di lei quanto del dolore che tanto conosco.

E più mi guardo allo specchio e più mi pare d’essere legno così pieno di mare che nemmeno il fuoco riesce a bruciare.

 

Mi vedi?

Ti sembro un uomo pieno di paura?

 Sono così felice, così entusiasmato dalla vita, così ubriaco di desiderio di vivere che vorrei raccontarlo piano scandendo ogni parola, dosando il respiro, frenando le emozioni di ogni singola parola, di ogni virgola, di ogni punto esclamativo! A coloro che si lasciano abbindolare da eroi e falsi miti di questo tempo che ahimè invecchia più velocemente di me.

Ancora questi asserviti e schiavi dentro uno smoking, eleganti e profumati alla corte di Mangiafuoco, soggiogati da una firma posta su un contratto  del Gatto e la Volpe!

 

Vedi?

I miei occhi azzurrati di mare, bianchi capelli di salso, e rughe che come vie disegnate sulla pelle raccontano le diverse marine addormentate al sole, o di tempeste superate a fatica; pagine di un libro che raccontano le interminabili attese di maree per poter riprendere il largo.

Un tempo sapevo volare e ho potuto vedere l’infinito, ho accarezzato le creste di certe onde alte che in certe notti volevano raggiungere il cielo; io ti racconto di una vita vera, non di una vice vita, vicaria e schiava , raggrumata agli orli di un sistema che brucia e scarta.

E allora per essere pagina io stesso portolano di una vita fantastica, cucitami addosso sin dal primo vagito, in quell’alba che come primula si affaccio dentro un sorriso che la illuminò, e ancora oggi  qui su questo treno che corre all’impazzata senza mai fermarsi tra le vesti profumate d’una venere che rinasce tutte le volte che il mio desiderio di vivere urla dalle segrete stanze dell’anima.

 

Amore che d’eterno porta le vesti, e margherite tra cespugli e grani di speranza, ora rimani in questa mia dimenticata storia, assapora le mie incerte equazioni e le diverse traiettorie, che in qualche modo puntualmente si scompongono e ricompongono ad ogni sorgere del sole, leggi queste pagine non con la certezza di trovare, ma con l’incertezza del vivere certe magiche visioni che in qualche modo sempre più rassomigliano a una lama fredda e affilata, che non lascia dolore.

 

 

sabato 5 dicembre 2020


 

Il colore della solitudine

 

Di Vincenzo Calafiore

05 Dicembre 2020 Udine

 

Forse per poter navigare in questa vita ci vorrebbero delle carte nautiche, chiare, di parole semplici e comprensibili, dettagliate.

Improvvisamente in questo oceano vasto di solitudini e di venti forti, onde capace di distruggere se piombano addosso, se non si è capaci di affrontarle, all’orizzonte appare  una linea scura di una terra, l’approdo sicuro.

 

Un tempo  sono stato navigante e sono stato lontano dalla vita, io e lei siamo stati assieme, ci siamo salvati dalle tempeste, siamo stati naviganti noi due senza conoscere l’amore e piccoli senza conoscere la vita; ci ha mandati lontano, lontano da noi stessi, senza spiegarci come tornare e siamo stati male e assieme siamo tornati.

 

Abbiamo assieme scalato montagne d’acqua, senza mai alzare la testa per vedere se fossero finite, stanchi e affamati d’amore, allenati alla sopravvivenza in questa vita che poco ci appartiene, preparati a cadere e a rialzarci, a imparare che la vita è amore, un atto di amore!

Ma ci pensi a quanto sia bello amarti?

Io che rimango in questo angolo di strada in attesa di vederti passare, per vederti venirmi in contro con quel tuo sorriso; innamorati  del nostro sentirci eterni l’uno per l’altra, innamorati della luna che guardiamo da una finestra spalancata nel buio.

 

Conosciamo la notte, senza paura ci addentriamo nei suoi vicoli mano nella mano, con la certezza di tornare domani, quando al risveglio ti dirò: ti amo!

Torniamo alla nostra vita che come una barca è volata sul mare, quel mare che ti regalo ogni volta che ti vedo arrivare; ci chiamiamo da finestre schiuse nelle notti che non finiscono mai, che cerchiamo di riempire di noi in questo sputo di universo con musiche e pensieri, le notti sono farfalle a cui non si possono togliere le ali e quelle notti mi raggiungono ovunque sia e si raccontano prendendo vita, diventano memoria da custodire con gelosia.

 

E sono qui davanti a ogni luogo, con quel pensiero in testa: Amarti così con la tenerezza che vuoi, coi desideri e le passioni che mai si assopiscono, lotto con quel mostro a più teste che è la solitudine, anche l’attesa di un tuo si, che potrebbe cambiare il mio viaggio.

Io ti amo e come un attore dal mio palco sparo alla luna che frantumandosi illumina il cielo di magia e chissà se con una buona magia tu potresti raggiungermi … chissà!

E allora che sia magia la nostra vita, sia di giorni primaverili e di spiagge assolate a cui andare a passi lenti, giusto per ascoltare ciò che i nostri cuori si raccontano; è questa, credo, la felicità … le diverse voci del cuore!

E tu ascoltami, non lasciarmi qui, non dimenticarti di spalancare il tuo cuore come una finestra agli occhi e al cuore di chi da ogni dove è sempre lì ad attenderti!

 

 

venerdì 27 novembre 2020


 

L’acrobata

 

 

Di Vincenzo Calafiore

28 Novembre 2020 Italia

 

Adesso il sole scivolando verso il mare, infiamma le nuvole, scalda quei cuori freddi, i destini sbagliati, la vita che continua in quegli occhi incantati! , tanto rassomigliante a una spiaggia; pensa sopraggiunge il mare e cancella tutto ed è come se di lì non fosse mai passato nessuno.

Come fosse un vasto deserto, agli occhi oggi la vita s’appresta alla scena quotidiana vuota d’ogni forma umana.

Menomale che ci sei tu, così vicina, così amabile nella tua serenità, nei tuoi distanti silenzi, nelle tue coatte solitudini, a incantarmi e farmi rimanere sulla tua soglia a guardarti come un miraggio, come un sole all’improvviso negli occhi.

Vedi tra un po’ ti vedrò spuntare da quel pizzico di magia e cambierà tutto, tutto sarà diverso, indescrivibile, tante emozioni, tanto amore, tante parole che si perderanno negli echi tra distanze e malinconie, sospensioni temporali, immaginazioni sfocate.

Siamo noi, io e la mia vita, acrobati su un filo sospesi sul baratro del desiderio di vivere non per rimanere, ma per andare in lotta tra i due mondi, andare via dalle cose inesistenti che imprigionano l’esistenza per consegnarla  nelle mani di certi lontani risvegli; siamo in quella sospensione tra cielo e mare, nel bel mezzo di tante stelle e fredde solitudini, a cercar luce come falene nelle notti, senza mai incontrarci, senza mai fermarci, assieme da sconosciuti e spericolati acrobati!

E ci sono sogni da scrivere,

parole per raccontare

mani per accarezzare certe immaginazioni che come onde a volte mi travolgono e giù fino ai fondali d’una speranza buona, come fosse una bava di vento che a stento a volte gonfia le vele e si può navigare, si può amare, si può desiderare, si può sperare.

La domanda è: ma come hai fatto a fare bello ciò che prima non piaceva, a dare luce e calore là dove mancavano?

Sai cosa c’è?

Noi apparteniamo alla brutta razza dei sogni, siamo della stessa materia dei sogni e non possiamo avere modo di vivere in questa follia, zavorrata di cose inutili.

Sono un acrobata che sogna e non sa quanti anni ha, e che per sentirsi meno solo raccoglie in cielo quei sogni dimenticati.

Mi basta avere gli occhi socchiusi, per vedere il mio mondo lontano, di magie e luci, ove  la vita è vita.. e nulla è più brutale  del “ risveglio da un sogno “ è un duro colpo contro gli occhi pieni ancora di sonno in un ambiente che non mi appartiene, ancora nella testa  colori e musiche del sogno … per un po’ rimango in quelle emozioni vissute, cose senza tempo ne luogo è come svegliarsi in riva al mare, intirizzito e tremante, ma ancora con l’ultimo tramonto nella testa negli occhi.

Siamo io e lei, poeti ! E rimaniamo lì sulla soglia dell’infinito, nei venti freddi di fantasmi che scompigliano le pagine scritte, tutto ruota e va lontano nei vortici incantati della fantasia, perduti nei ritorni del tempo; con le mani raccogliamo le ultime lacrime… conservarle per un divenire che s’appresta ai margini, siamo ladri di coriandoli, spermatozoi sperduti nell’universo.

Sono l’acrobata,  spregiudicato ladro di sogni da un fatiscente palcoscenico a una platea misera e servile, schiava. Questo sono, un poeta che tanto ancora deve a questa vita che se ne va nei sottili filamenti di un altro sogno che si prepara per la prossima notte, per la prossima luna che si specchia negli occhi socchiusi e sognanti a misurar vita !

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

mercoledì 25 novembre 2020

 


  La vita, passo passo !

 

 

Di Vincenzo Calafiore

26 Novembre 2020 Italia

 

Sul tavolo, irregolare e macchiato di caffè e vino, dai bordi bruciati dalle sigarette, c’è vita.

Quella vita che non ci appartiene e nonostante tutto continuiamo a dire: la nostra vita; pagine scritte con gli inchiostri odorosi che fanno tornare in mente le primavere perdute, racconti brevi di “ frammenti di vita “ che si animano come pulviscolo sospeso in mezza luce nell’aria.

E’ una di quelle mattine d’aria frizzantina, con un cielo che lascia poco spazio al sole che dalle quinte vorrebbe esplodere luce su un palcoscenico misero e meschino; guardo dalla finestra i rami spogli che nelle ombre mattutine paiono braccia tese al cielo e tu non ci sei !

Le paure, le mie paure sono lì dentro le parole di quei fogli, prima bruchi ora farfalle che volano nello spazio ristretto tra tavolo e finestra, vorrebbero raggiungerti amata mia ovunque tu sia!

Parole che come carte nautiche, raggiungendoti, potrebbero portarti a me, in quella officina satura di fumo e odori d’inchiostri.

Sai ci sono momenti in cui vorrei oltrepassare la magica soglia e raggiungerti, rimanere lì con te in quei confini di occasi e spiagge su cui naufragano sogni e desideri, camminare con te mano nella mano in contro ai destini che ci guardano con occhi benigni.

Amore che d’infinito vesti per venire ai miei sogni, dimmi quanta vita ho ancora per poterti vivere e amare fino in fondo?

Quanto tempo ho tra un sorso e l’altro prima che il mio bicchiere rimanga vuoto?

Tu ai giorni miei vieni annunciata primavera, lasci ad ogni tuo passo le note di una canzone che conosco, sei quella musica che ascolto in quei silenzi in cui mi perdo, con quelle solitudini che mi cercano e adombrano sorrisi, intime felicità.

E’ la mia vita passo passo sotto la luna piena di luce, esco a fumare una sigaretta e assieme a lei una notte da dimenticare, niente che mi possa ricongiungere a te, questa mia vita che senso ha? Sale in me un dolore che si avvicina al cuore, e come vento presto si placherà assieme al desiderio di rimanerti accanto, lascia dentro di me il freddo del distacco, mentre il mio pensiero va, seguendo traiettorie che già conosce, portano al tuo cuore, se vi arriverà…!

E penso alla mia vita che se ne va passo passo rasentando muri di città vuote…. Rientro come fossi un clown  che lascia  una scena vuota di allegria, e lentamente con le mani nell’aria ridisegna un cuore dentro un cerchio rosso…. E ci sei tu ! Ed è già domani, e nuovamente sono pronto a ricominciare nello stesso scenario di sempre senza pausa come fiume che deve ad ogni costo raggiungere il mare.

Ma Tu chi sei?

Chi sei tu a farmi come Odisseo ritornare a te ?

Chi sei tu a condannarmi in questo ciclo perpetuo, a fare in modo che tu sia il primo pensiero?

Sono domande, solo che domande, potrebbero sembrare sciocche, o peggio ancora scontate, non è così poiché dietro ogni parola, ad ogni rigo, in una virgola, in un punto esclamativo o interrogativo ci sei tu: la vita mia!

Così io ti amo, così io vivo, entro quel cerchio rosso, in quei desideri mai appagati, in quei pensieri che non ti raggiungono, in quella vita che mi manca.

La luce filtra attraverso i vetri, illumina e riscalda le tracce lasciate dalla notte, da dietro le quinte mi giungono leggiadre gli echi del tuo ridere, delle parole; l’aria si muove cadono attera petali di rosa rossa, come fossero baci!

 

 

 

 

lunedì 23 novembre 2020


 

QUESTO NON CI SARA’ PIU’

 

Di Vincenzo Calafiore

24 Novembre 2020 Italia

 

Questa “ morte rossa “ che ha ucciso in ogni luogo del mondo, è della mano dell’uomo,  ed è parte di un progetto più grande , misterioso nei suoi risvolti; non ha solo ucciso e quando da solo si spegnerà la nostra vita, quella che conoscevamo forse non ci sarà più, inutile nascondere che ha modificato tutto, oltre a distruggere le “ economie “.

Ma se qualcuno perde, qualcuno ci guadagna ! E questi saranno i soliti, quelli che controllano il pianeta tanto sono potenti.

Questo un tempo abbiamo avuto, ed eravamo così certi e sicuri che non finisse mai che non lo abbiamo apprezzato fino in fondo, contrariamente a un certo punto ci siamo pure annoiati tanto quella vita era per noi scontata:

  Nella quieta penombra che pure nel bel mezzo di quelle prime giornate odorose di primavera non abbandonò  Piazza delle Erbe ( Udine)  rattrista camminare a passo svelto ora, nel tempo della peste rossa, senza udire altro suono se non il rimbombo dei propri passi, rimpiangendo il vocio di donne e di bambini che fino a qualche tempo fa riempiva i vicoli insieme agli odori schietti e generosi di cucina che evaporavano dalle finestre socchiuse dei ristoranti e tra le bancarelle del mercatino, di basilico, maggiorana e rosmarino.

Qua e là, agli sbiaditi cartelli dei bar e negozi che avvisano di indossare la mascherina, allineati ai bordi della romantica piazzetta, s’intercalano i vicoli che portano in via Mercato Vecchio, e non consola riflettere sulla situazione in cui sono recluso e limitato della libertà di respirare o di abbracciare, stringere le mani, salutare con un bacio.

Nel silenzio assordante, nel grigiore di queste atmosfere di decadenza e paure, di terrore dell’altro che fino a ieri incontrando per strada ci si fermava per abbracciarlo o baciarlo, viene da chiedersi perché sia stata compiuta una così grande operazione commerciale ai danni delle popolazioni del pianeta terra; penso ai giardini del Vescovo floridi, nella luce feconda del giorno e voci di bimbi festanti, imposto a questo vacuo budello dove, come avrebbe cantato De Andrè – Il sole del buon Dio non da i suoi raggi?

Eppure basta poco a darsi la risposta, se appena cambiamo il nostro punto di osservazione. Fermo i miei passi quando sono nella Loggia del Lionello, appoggio gli avambracci sulle spallette di travertino guardando verso occidente. Anche questa è una prospettiva inusuale, tanto è più affascinante la veduta che ci si squaderna ad oriente, in basso la stradina in ciottolato che s’inerpica silente al Castello, i resti delle magnificenza Veneziana, a destra  mezza costa sul colle che domina Piazza Primo Maggio in fondo a sigillare il paesaggio la bella facciata della chiesa Madonna delle Grazie sovrastata dal massiccio delle Alpi candide d’inverno, verdeggiante d’estate, sempre eleganti nella loro multicolore livrea autunnale.
Volgo lo sguardo a occidente, e scopro anche qui un paesaggio forse più usuale e modesto, mi viene in mente con la colonia di uccelli acquatici che si affida alla corrente per trovare nutrimento nelle acque generose dalla laguna di Grado, al Golfo di Trieste, da Lignano , e lungo  gli argini dei fiumi verso il mare, la vegetazione ancora oggi ordinata e curata, nelle aiuole fiorite dei parchi e nei brevi solchi degli orti ci svelerà il segreto di un nome che riscatta dall’ombra e dalla solitudine a cui la città vecchia non è ancora definitivamente condannata: Udine. “

 

 

 

 

 

 

 

giovedì 19 novembre 2020


 

Nos mox ut somniabunt

(Siamo proprio come i sogni )

 

 

Di Vincenzo Calafiore

20 Novembre 2020 Udine

 

 

 

Lo vedi?

E’ quasi aurora, quasi alba ! E la maggior parte dei sogni si sono già ritirati negli antri delle tenebre, e noi siamo ancora qui quasi a voler sfidare l’alba su questa spiaggia davanti al mare, rischiando di venir bruciati dalla luce: amore siamo proprio come i sogni!

Guardiamo il mare e immaginiamo come lui poterci muovere, andare per incontrarci ovunque e guardandoci negli occhi, senza parole, non abbiamo bisogno di parole, tutto parla di noi.

 

Guardami amore, guardami come tu sola sai guardare il mare!

Le ore vanno, è un fiume che scorre sopra e sotto il mare, vanno là dove sanno di incontrare altre parole che da un lontano giungono e si ricongiungono per raccontare lo stesso amore, allontanano i demoni di un inferno che tutto brucia velocemente, troppo velocemente.

 

Abbiamo quei ritmi latini impazziti nelle vene, esplode la voglia di vivere, del desiderio di esplorarsi, della magia del toccarsi, dell’annusarsi …. Pelle con pelle e labbra con labbra nel bagno aurorale e parole, parole dolci che sanno di fiaba, di magia: così è la vita !

Mi ascolti nei tuoi silenzi, da quella distanza, mi parli nei miei sogni e racconti di te che magicamente onda vai e corri, tra cieli e mare ti innalzi come a volerli toccare, e ti lasci andare per diventare mare, su cui si posano sereni e stanchi sogni che attendono nella notte, che si spalanchino le porte dei cieli e raggiungere cuori e anime che da sempre si stanno a cercare.

 

Amore Tu non sai da quanto tempo ho atteso in questa stazione sperduta nei deserti di questa umanità sbandata, l’arrivo di quel magico treno che a te mi portasse; credevo all’inizio fosse un inganno, perché amore a volte i sogni ingannano, e invece quel treno mi ha portato a te!

Ora il sogno è sogno, è vita che vivo tutte le notti, nei miei momenti d’attesa di un sì o di un no di questa vita che amo alla follia.

 

La vita è meravigliosa!

Tutto è meraviglioso, lo sono anche i mari sempre agitati come quelli quieti, tu sei meravigliosa! Ti vengo in contro da un altro mare, uniti come unica onda infiniti noi, quando ti dico: ti amo.

Io e la mia vita, così legati l’uno nell’altra, come il fiume col suo alveo, come il mare con le sue rive, le scogliere… mi sembrò l’inizio di una fiaba che cominciavo ad amare e scrivere, era felicità, è felicità ancora adesso.

Ma…

Poi le cose cambiano, vanno come esse vogliono e scivolano via, piano, in maniera impercettibile e non c’è una maniera di fermarle, loro se ne vanno, se ne vanno e basta!

Rimangono nell’aria sfumati coriandoli di parole sospese in un mezzo si e un mezzo no.. è questa la mia vita? : Nos mox ut somniabunt

 

 

 

sabato 14 novembre 2020

 


Il giorno che viene

 

Di Vincenzo Calafiore

14 Novembre 2020 Udine

 

 

Vedi, guardandoti la prima cosa che mi viene spontanea dire è : ti Amo!

E te lo dico con la mia certezza di oggi, con quella voglia addosso di amarti ancora, ancora oggi perché domani non saprò o non potrei più essere in grado di dirtelo; ma comunque sia quel  “ ti amo “ che ieri urlavo dicendotelo, oggi te lo sussurro, perché tutto in me si affievolisce lentamente, come acqua quieta che piano piano si congiunge a un fiume, a un oceano alla fine.

Vedi, io ti amo è vero, e ti amo come un uomo sa amare, ti amo con quei pochi sogni che ho ancora da vivere, con i miei anni sdruciti dal tempo; ma la verità è che mi sento come una camicia ancora integra, ancora profumata di bucato e con il colletto sfinito, consumato.

Certo, tornassi a nascere io rifarei daccapo le stesse cose, verrei a cercarti nuovamente per amarti ancora una volta per un altro giro di valzer.

Quel flamenco o tango flamenco che abbiamo ballato nelle notti bianche o sulle rive di quelle giovanili età quel sirtaki nelle lunghe e fresche serate nelle deserte piazze di un tempo che ci appartiene … vedi, è tutto qui, racchiuso in quel: Ti amo!

E io lo so amore che ovunque io vada, tu sarai lì, in quel mio cuore che solo a vederti impazziva ieri come oggi, come domani, con i miei occhi che a malapena riusciranno a distinguere, con le mie mani che non riusciranno a stringerti.

L’amore quello vero non morirà mai.

Non finirà mai!

Ecco guardami non sono come ieri, il tempo pian piano deforma e riduce, forse non saprai riconoscere quello che amavi in quello che i tuoi occhi vedono, ma sono sempre io, colui che un giorno venendoti incontro aprì le braccia per accoglierti, per sollevarti da terra e farti volare.

“ Ti Amo “ !

Mio Dio che verbo, che grandezza, che purezza, che vita è questo “ ti amo “ che a solo pronunciarlo il sangue ricomincia a correre, il cuore impazzisce, e viene addosso una voglia pazzesca di vivere, di sognare, di baciare, di amare … Ti Amo è un vento che spazza via la solitudine, la tristezza, la malinconia, è quel sogno che non ha mai fine, è quell’età amata che ritorna, è un treno che non smette mai di correre, e non si ferma.

E pensare che ero, sono ancora adesso come prima impaziente di vederti, di sentire i tuoi profumi, di guardare i tuoi occhi … sai? Saprei riconoscerti ovunque tanto sei in me, tanto sei presenza, tanto sei amore, tanto sei vita.

E allora lasciamoci rapire dal sogno, lasciamoci ancora una volta porta via dalla marea, abbandoniamoci in quel desiderio dello stare assieme, dello accarezzarci anche solamente con gli occhi.

Sai? Tutto questo è una bugia, è un sogno che mai si realizzerà.

Tu non esisti, io non esisto, esiste quel che siamo un “ Noi “ !

Noi che ci amiamo così, nella distanza, in quel bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto.

Noi che non smettiamo mai di guardare il cielo forse in cerca di un qualcosa che ci manca eppure è qui è in noi fortemente in noi, intenso e ancora con la sua verginale esistenza.

Siamo noi che ci guardiamo, che ci amiamo, come una fotografia sul letto di un soldato!

Ti Amo!  

 

 

domenica 8 novembre 2020

 

 

 

 

                  Porto Allegro

 

Vincenzo Calafiore

 

Come abbiamo potuto ridurci così? E’ questa la domanda! Quella che ognuno di noi, voi, gli altri, tutti dovrebbero porsi: come abbiamo potuto ridurci così ?

Che noi “ italiani “ fossimo una razza a parte, questo lo sanno pure i sassi, anche quelli che per strada gli dai un calcio….. e lui rotola avanti, ma con uno scarto improvviso come un baleno potrebbe spostarsi tutto sulla destra ….. dipende…

 

Dipende si … dipende dal piede che lo calcia, dalla forza del piede …

Ma comunque lui … il sasso in quell’istante, in quel preciso istante … ti ha già mandato a quel paese!

 

Si, noi italiani in questo siamo insuperabili, siamo dei maestri, nessuno meglio di noi

Sa mandare a quel paese o fare una lunga e generosa: pernacchia!

Fare la “ pernacchia “ non è da tutti, non è facile, perché nella pernacchia bisogna metterci tutta l’enfasi, provata verso l’imbecille cui è diretta.

E qui occorre fare un distinguo perché c’è: l’imbecille furbo ad esempio come un politico e l’imbecille, imbecille che è colui che segue quel tipo di imbecille.

L’altro distinguo doveroso è che sono sessanta milioni, divisi e distinti, e tanto imbecilli da odiarsi e così facendo fare il gioco dell’imbecille, furbo.

 

La “ pernacchia “ Questa è una cosa seria per poterla fare  e farla bene, ci vuole arte e passione … perché chi la riceve deve sentire la passione, il patos, tutta la gioia di chi la fa.

Se mancano queste cose, inutile farla.

 

Però c’è stato un tempo, che io ricordo con dispiacere perché è andato perduto, c’era Petrarca, Dante, Alighieri, Virgilio, Michelangelo…. Siamo stati quelli che hanno portatto la cultura e la bellezza nel mondo…

 E ora che siamo? Servi!

E sai perché lo siamo? Perché abbiamo perso! Siamo stati sconfitti, spianati, resi tutti uguali, vestiti uguali…. Ma la cosa peggiore è quella di aver perso la nostra entità, l’abbiamo svenduta per un sogno che non abbiamo fatto, ma che ci è stato fatto immaginare. E noi lo abbiamo visto, ne abbiamo sentito le sue voci, l’aria, il vento.. ed era tutto un bluf!

Ma siamo i servi peggiori, quelli che si lamentano e stanno piegati … con la schiena piegata senza voce, senza parola, senza pensiero.

 

Tu!

Che te ne stai lì seduto su quella seggiola, ti starai chiedendo chi sono io!

Questo ti stai chiedendo in quella tua testolina…

 

Sai chi sono io? ….. il Popolo!

Agonizzo per una malattia mal conosciuta e che non si sa curare, si chiama: libertà!

Mi hanno rimesso assieme i pezzi per sopravvivere e questo mi assicurano è una fortuna.

Ma loro, gli altri prigionieri, gli altri morti vivi?

Quelli che vedi per strada dentro una casa di cartone,

quelli delle periferie abbandonate,

quelli che stanno al Sud,

quelli che protestano contro la fame e l’umiliazione, la dignità rubata,

quelli che spariscono per sempre,

quelli di città come favelas di Rio e di Buenos Aires,

nelle rovine di Napoli.

Ecco chi sono, sono uno che ha visto tutto.

Ho visto crescere questa Italia!

Ora mi pare d’essere in un pisciatoio, dove tutti possono entrare gratis, dove gli orinatoi sono intasati dalle cicche che galleggiano nelle urine schiumose, dove una volta qualcuno si sarà asciugato le mani nell’asciugamano, ora talmente lercio che nessuno osa toccarlo.

Dove c’è puzza di intrallazzi, e sporchi affari, di camorra e di mafia.

E una fila di uomini allineati contro il muro in un raccoglimento religioso si frugano i pantaloni, ognuno nel proprio pantalone, ognuno separatamente, però tutti assieme in una specie di promiscuità evacuatrice.

E la cosa fa schifo, ma di più fa schifo la tua indifferenza, e nono solo tua, ma anche quella degli altri, degli altri loro, degli altri tutti che ve ne state in quelle stanze dorate.

L’indifferenza totale ai miasmi di quegli imbecilli furbi… i politici

Ecco cosa ho visto e cosa vedo.

Una grande bugia e tutta una bugia raccontata nei libri di scuola come per far passare per eroe un delinquente e assassino come Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi.

E no! Voi state raccontando su quei libri un sacco di stronzate e mai la verità come le deportazioni da Sud verso il Nord, dei paesi e villaggi bruciati e rasi al suolo e dato il permesso di saccheggiare, violentare, uccidere, le fossi comuni….

Come fate a chiamarla Unità ? Con quale diritto, con quale diritto avete dimenticato e cancellato tutto dalla memoria?

Questa cosa non vi fa schifo, quella di nascondere la verità?

Ma esiste un altro posto così, in cui il tuo vicino si trova nella tua stessa situazione?

Dove esiste la stessa uguaglianza?

Non esiste.

E non fa niente che si tratti di un’uguaglianza nell’abbrutimento, l’essenziale è che sia autentica, precisa, vistosa e, in fondo gagliardamente espressiva, anzi espressionista.

Per te , e per i tuoi simili, per i tanti come te va benissimo:

date le tue, le vostre, ridotte capacità percettive solo quello che è enorme è evidente, le gradazioni, le sfumature vi sfuggono: e questo popolo è una sfumatura nella vostra galassia.

Perché è qui che si nascondono le fregature nel vostro fare politica. Ma tu imbecille furbo non hai colpa, la colpa semmai è mia: io popolo!

Che sono rimasto impigliato nelle maglie rumorose e frenetiche di una corrente politica, becero e bieco, come un pesce impigliato nella rete.

Sai cosa fa male?

E’ che sono rimasto a guardare come da un balcone, stavo davanti al degrado della droga, della prostituzione, delle mafie, della corruzione e mi bruciavo le dita… quella cicca era la mia unica indipendenza!

Mi hai tolto anche quella e non sono altro che desiderio, odio, invidia, dipendenza, umiliazione.

Sono rimasto indifferente dinanzi alla invasione, ai porti aperti, ai miei diritti negati per gli altri, i nuovi italiani che arrivano come tempo fa quei “ Mille “ un manipolo di uomini che hanno distrutto e che continuano a distruggere… mentre leggere vanno al cielo le spire di fumo grigio di una nazionale senza filtro a guardare il: Porto Allegro!

 

Udine lì, 08/ Novembre/ 2020  i tempi del colera

 

 

 

 

venerdì 6 novembre 2020


 

Donna

 

Di Vincenzo Calafiore

07 Novembre 2020 Udine

 

“ … alla donna così capace

di tanto amore, così tanto vita,

nella stessa vita! “

                        Vincenzo Calafiore

 

Quanto è difficile già il solo pensare al mondo femminile, quanto difficile è l’esplorazione di questo immenso pianeta, quanto è difficile comprenderne la superiorità e la nostra dipendenza assoluta.

 

Le donne che hanno in se e coltivano la “vita” con pazienza sacra e la vedono a volte stracciata e violentata, distrutta, dalla cupidigia degli uomini.

Di questo ebbe a scrivere  Euripide,  le “ Troiane “, ma anche Seneca; quindi è una storia vecchia che purtroppo non finirà mai, la maledetta violenza contro la donna.

 

Del dolore provato dalla donna, ben rappresentato in una tragedia, siamo nel 415 aC, la

“ Tragedia di Ecuba “ un’ opera  di sconcertante modernità.

 

Ecuba, grande madre, eppure così umana, sacra, così terrestre, è la rappresentazione, l’epicentro del dolore e punto di forza attorno cui ruota la vita.

Oggi in questi tempi d’ogni barbarie e di discriminazioni d’ogni genere specialmente nei confronti della “ Donna”, non le è concessa ancora la così tanto sperata “ parità “, piuttosto continua ad essere sfruttata con gentilezza e grazia in alcuni casi, con violenza fisica e psicologica in altri ( basti pensare alla prostituzione).

La donna che vive intensamente le gioie, la vita, la solitudine …. Perché continuare a umiliarla con una esistenza “utile “ ?

Se si pensa alla sua solitudine, non possiamo fare a meno di pensare alla sua tristezza, percepita in maniera diversa … particolare, personale. Per chissà quante essa rappresenta un fattore  “ monocromatico” un qualcosa che non cambia mai colore, e quando l’avvertono sono colte dal timore, dalle paure, dall’ansia, angoscia, dallo sgomento, smarrimento.

La solitudine in cui è relegata la donna oggi nonostante la parità dei diritti ( sulla carta… )

Per affrontare il senso della solitudine e le sue angosce molte di esse cercano compagnia in quei rumori di sottofondo atti a rompere il silenzio oppressivo, ma anche in un fare frenetico che le impegni in un qualcosa di totalizzante, ma che non saranno mai in grado di dar loro i colori della socialità e dell’amore.

Basterebbe forse avere per lei la dolcezza, il fermarsi ad ascoltarla.

Basterebbe forse amarla un po’ di più, non necessariamente compiendo l’atto sessuale che sarebbe il conclusivo di un lunghissimo processo di interiorità.

Basterebbe quando si è via inviarle messaggi vocali, o …. Scriverle  “ ... è solo che mi manchi molto. ..”

 “ Mio Dio! Stare con te è sentimi la vita addosso. Sei esattamente quell'orizzonte che guardo e a cui vorrei andare; quella meravigliosa sferzata in viso che fa arrossire, quella maniera di guardare, di chiedere, di comprendere, di amare. Me lo dico sempre, lo ripeto in mente come fosse una preghiera intima e preziosa: ti amo! ….. Sono quell'uomo che al mattino si sveglia e già in se sente la musica di un risveglio lungo e dolce di tante pause, di tante immaginazioni fluenti tra le dita che contornano il volto tuo che mi porto dentro ….. “

Forse dirle queste cose per farle sentire quanto importante sia.

Purtroppo parte degli uomini usa fare violenza, tra le mura domestiche, donne uccise barbaramente.

Alla base di tutto c’è il mancato rispetto, il non saper definire i confini tra lui e lei e viceversa.

Se ogni individuo, riuscisse ad interrogarsi sul perché, magari, non riesce a stare solo, potrebbe chiedersi anche il perché non sappia stare e vivere in armonia con gli altri…

D’altra parte di persone che vivono male la solitudine come pure le relazioni è pieno il mondo e basterebbe solamente pensare che “ se io sono qui “ è grazie a una Donna.

 

martedì 3 novembre 2020


 

La frivolezza di essere Italiani

 

Di Vincenzo Calafiore

04 Novembre 2020 Udine

Come certi fantasmi di vecchi castelli, che scompaiono e riappaiono a intervalli di tempo,

così politici amano ritornare alla ribalta, ben riconoscibili anche sotto nuove casacche.

Cambiarsi è facile … rimane anche la poltrona… che non cambia mai, sempre la stessa.

Qualcosa non va, la nuova reincarnazione non ci inganna del tutto, riconosciamo i vecchi attori, volponi e bugiardi, che sembrano strizzarci l’occhio, come per dire: che volete sono sempre io, e mi avrete fino alla mia fine.

Il problema è che nessuno di questa specie sa di nuovo, o  è entusiasmante, o è un vero, ma vero politico, semmai sanno di muffa, di parrucconi.

A noi “ italiani “ perché qualcosa ci interessi deve stimolare allo stesso tempo il nostro desiderio di novità, come successe coi cinque stelle, e il suo contrario, vale a dire la nostra memoria.

Che parolaccia… la memoria…noi non l’abbiamo, non l’abbiamo mai avuta

 e quindi?

Ma quelle vecchie canaglie noi le conosciamo bene, come il gatto e la volpe hanno sempre un contratto da farci firmare!

E anche se ci secca ammetterlo per certi versi ci piace averli addosso come zecche, parassiti, uomini inutili, esperti di una delle scienze più complesse e raffinate che esistano, la scienza della frivolezza, della beffa …

Non quella individuale, che ognuno coltiva all’interno di sé, ma collettiva, come parte necessaria, anche se inconfessabile, del destino … un destino da compiersi.

Dunque non, la frivolezza di cui i politici sono insieme l’anatomisti e i sacerdoti, è un loro legame collettivo, una malattia epidermica, un linguaggio capace di cementare, tenere assieme, tanti popoli diversi e uniti sotto lo stesso tricolore.

Li vediamo giorno e notte, a colazione, pranzo e cena, come qualcosa di imperante, di necessario alla nostra sopravvivenza, nelle loro lievi coloritura professionale, l’eleganza dei loro completi di lino, la perfetta incarnazione moderna dei custodi della frivolezza.

In loro troviamo la sintesi suprema della “ presa per il culo “, ma anche la sintesi suprema di vecchie professioni, figlie e serve del privilegio e della ricchezza … mentre un gradino più abbasso, altre onorate società, spie e cortigiani, ruffiani e servi e scrittori piegati buoni solo a scrivere epigrammi, i nottambuli dei salotti, i netturbini e gli schiavi delle svariate sigle.

La nostra condanna è il doverli vivere a lungo, fino alla nostra ultima goccia di sangue, perché protetti da Ermes, questa ombra sociale.

La nostra memoria è vuota, o non ricorda, non ricordiamo per quale scopo essi sono lì in quel castello dorato, con il  “tutto compreso “ assicurato, il loro riverbero abbraccia il cosmo intero italiano e tutto il passato.

Lo strappo che si è ormai verificato, tra loro e noi, crea nel tessuto spazio-tempo un dolore che lacera l’anima di coloro che credono in una sorta di Unità Nazionale, che restano qui in questa Patria svenduta sottobanco ai mercenari monetari, ai moderni pirati delle economie.

In ogni caso pensavamo di essere tutti italiani, pensavamo di conoscerci o conoscere la civiltà alla quale apparteniamo, e che tuttavia non riconosciamo più … noi feriti e gli umiliati sopraffatti preda di uno sconcerto che pesa sulle coscienze di pochi.

Chissà cosa ci riserverà il domani e cosa succederà, anche se un’alternativa ci sarebbe.

Potremmo decidere noi come meglio vivere, anche fosse nel nostro intimo, di vedere sfilare prigionieri coloro che hanno quasi cancellato generazioni e esistenze.

Un cambiamento sarebbe auspicabile, necessario e il popolo dovrebbe volerlo.

Vige però fra gli uomini una crudele legge di conservazione e ogni volta che qualcuno vuole mantenere e avere la propria libertà o indipendenza economica, sarà qualcun altro a pagarne le spese.