mercoledì 29 novembre 2023


 

Non è proprio…vita

 

Vincenzo Calafiore


 “ ….. pensieri rimasti

come certe foto, in un rullino … “

                   vincenzo  calafiore

 

 

Immagino strade piene di parole e tutte convergenti nella stessa direzione, nonostante il peggio, in cui sembra dover convivere con il peggio del peggio, ci sono tuttavia, non so se per fortuna, situazioni di attesa, nel quotidiano divenire.

Durante le quali è come se le singole esistenze rimanessero sospese, in vista di qualcuno, di qualcosa; solitamente di un evento, di un approdo, di una conclusione di una nuova tappa nella corsa terrena a un traguardo incerto.

Non è proprio vita!

Ma una sorta di cosa in cui si è in un certo qual senso obbligati, da chiamare con qualsiasi nome, ma non con quello di: vita !

Una forma di avventura umana intrisa di autobiografie e vicende riflesse.

Sono innegabili e letterariamente inevitabili simbolismi, quelli dei vagoni, delle rotaie, delle stazioni dimenticate e dei polverosi scompartimenti …. Micro mondi, in cui di continuo si compongono e si scompongono nuclei d’improvvisata familiarità, rapportati alle stagioni, ai fatti, agli eventi e alle occasioni perdute del vivere.

E’ inevitabile una profonda riflessione sullo scorrere del tempo, e non importa se accelerato o ritardato come le immagini che scorrono fuori dal finestrino, mischiandosi e confondendosi alla velocità della vettura.

Tutto è concentrato, anche l’amore, in un – attimo - .  Gli attimi lunghi un’eternità. O le eterne attese in un attimo risolte, nel momento conclusivo di ogni personale “ viaggio “ che a sua volta è partenza verso un’altra lontana, incerta, meta.

In questo odierno non c’è spirito di avventura, non c’è ansia di scoperta, non c’è voglia di conoscere, non c’è desiderio di cultura, di narrativa, in quel nostro pendolarismo dell’anima e del corpo che si identifica in quegli spostamenti abituali, giornalieri ….. eppure  anche lì, in quella situazione è viaggio, se lo stesso può suscitare ricordi o riproporre sensazioni: evocate da quelle piccole-grandi avventure o se vogliamo più spesso disavventure che ne compendiano la funzione e ne connotano il significato.

In tutto questo vivere, però manca una cosa fondamentale: il vero significato.

E’ invece un -vicevissuto – la propria singola esistenza sospesa durante i mille passaggi in treno dell’infanzia e dell’adolescenza talvolta dell’ancora lunga stagione della cosiddetta maturità.

Che come sempre trasforma la memoria in bilancio o inventario, cui attingere nei momenti nodali dei rendiconti alla propria esistenza.

Riemergono dalla memoria, da quelle stazioni sperdute e dimenticate, le grandi occasioni perdute, gli amori mancati, le amicizie scordate o abbandonate in un vecchio deposito bagagli, gli incontri mancati a volte per una minima davvero minima frazione di tempo; perché negli spazi di questa vita non vita tutto sembra scorrere pigro e uguale a se stesso, e tutto può divenire nel contempo importante e fondamentale.

Basta la coincidenza giusta, un posto a sedere, una cuccetta, di un tozzo di pane e un bicchiere di vino scambiati con la medesima simultanea familiarità delle parole, che fanno parte della statica umanità in movimento sui lunghi treni dell’esistenza con il resto del mondo, con quelle comparse affollate dietro lo schermo di un finestrino, rapide nel loro incidere come fotogrammi di un film che altro non è dalla rappresentazione realistica della loro vita.

Meglio allora stare dentro o stare fuori sentirlo come proprio il pacato meditare da scompartimento, o escluderlo come inutile frazione d’esistenza regalata all’inerzia della morte?

Esposti come siamo in prima linea alle contraddizioni, alle inefficienze, alla diffusa insensibilità sociale, pensiamo di vivere, mentre in realtà stiamo soltanto che morendo piano piano senza rumore, senza accorgersene.

Al punto che i giorni, i mesi e gli anni che scorrono lenti e veloci dentro e fuori le rotaie finiscono per corrodere la vita o ancora peggio per scambiarla con una permanente – vicevita -  che è supposizione, supplenza, di ragione e sentimento, e dunque rischiosa ipotesi di rassegnata accettazione del nulla!

 

“ .. succede così alla fine di ogni notte avere addosso il desiderio di incontrarti magari nell’ultima marea colma di emozioni, accade senza vergogna di desiderarti e viverti come un’ultima emozione.

Quasi sempre solo davanti a un’alba amara come un caffè bevuto da solo. Succede così ogni notte di sognarti, anche questa notte senza riuscire ad abbracciarti, a chiederti come stai? “ Forse è questa la vita.

sabato 25 novembre 2023


 

Donne

 

Vincenzo Calafiore

 

 

 “ Sono troppe le Donne uccise da uomini violenti o che le odiano, troppe le scarpe rosse, le panchine rosse, troppa l’ipocrisia, tanto una volta terminata questa ondata di presa di coscienza, tutto tornerà come prima le donne continueranno a morire, le coscienze torneranno a dormire, la lista di nomi di donne assassinate continuerà ad allungarsi alimentando un bla bla bla senza fine sui giornali, nelle televisioni, nelle stanze dei poteri forti.

Per parlare di questo disonore mi sono permesso di prendere come riferimento la tragedia di Ecuba.”

 

Donne.

 

L’antico dolore delle donne che sono sempre vinte, quando c’è una guerra, nella pace.

Le donne che coltivano la vita con pazienza sacra e la vedono stracciata e sprecata dall’orgoglio e dalla cupidigia, dalla stupidità degli uomini, ma anche dalla vanità, e dall’indifferenza della giustizia, della politica.

 

Le donne due volte vinte della città di Troia, “ Le Troiane” da Euripide e Seneca. Tragedia atipica e considerata secondo i canoni “ aristotelici “ antichi, addirittura non rappresentabile.

Le “ Troiane”  di Euripide è invece  opera di sconcertante modernità, lei Ecuba ( che rappresenta tutte le donne) regina di Troia e moglie di Priamo, al quale aveva generato molti figli. Ecuba vera grande madre, umana, sacra, eppure tanto terrestre, è il cardine vivo e doloroso, l’epicentro di dolore, attorno a cui, c’è la vita nonostante tutto.

 

Lei, Ecuba la Grande Madre nera di lutto da cui tutte le donne hanno origine. Davanti a Ecuba, le donne, ciascuna con la propria tragedia personale e collettiva: Cassandra la vergine pazza, veggente; Andromaca, madre dolorosa, vedova di Ettore, alla quale viene sottratto e ucciso il figlio Astianatte; la fascinosa Elena, la causa della guerra infinita di Troia.

 

Nella sua costante distruzione dall’interno dei clichè, Euripide rovescia anche la figura di Elena, bella e ambigua, in cui l’eterno femminino si sposa a un’affilatezza da sofista: in quella che è una vera e propria disputa filosofica, un agone giudiziario, le ragioni di Elena la fanno apparire

anche lei, non meno vittima delle altre, non meno obbligata a difendersi, coi mezzi che ha, che la sorte e il destino le hanno dato. Anche lei, a suo modo, vinta.

 

Perché in fondo non cambierà niente, ci saranno ancora Donne vinte, umiliate, violentate, violate, uccise;dovremo sempre constatare, assieme, l’incosumabilità di raccontare questa sporca storia chiamata: “ femminicidio “ nei suoi sporchi risvolti, nelle sue pieghe e piaghe umane.

Ecco che “ Ecuba “ con la sola magia del velo nero attorno agli occhi folgoranti ( nella scena) di Gorgone e di donna evoca  lo chador d’altre donne d’altre latitudini ed epoche, altre donne violate, vinte in altre guerre quotidiane, in altre violenze familiari, molto più vicine a noi.

Ecco che nelle parole di Cassandra, la viltà che viviamo, o crediamo di vivere, oggi: chi sono i barbari?

 

Euripide con grande audacia per i suoi tempi, portò in scena il punto di vista dei vinti, degli sconfitti. Nelle sue parole risuonano anche oggi, anche per noi, millenni dopo, la stessa domanda, lo stesso dilemma, la stessa domanda: perché uccidere?

Vincitori e vinti si allontanano dall’umanità in cui forse ancora crediamo e condividiamo.

Un’umanità che dobbiamo coltivare, coi mezzi millenari della parola, della cultura.

In questi tempi incerti solo la parola e la Bellezza e la Verità che essa evoca e custodisce ci potrà salvare.

Udine, 26 Novembre 2023

 

 

martedì 21 novembre 2023

 

La coscienza della memoria

 


 

Vincenzo Calafiore

22 Novembre 2023 Udine

 

“ ….. questo ho pensato, se mai mi fosse venuto meno

l’udito, non sarebbe stata una grave perdita,

tutto quello che valeva la pena, imparare, ascoltare,

era già stato scritto e l’avrei potuto riscattare

con gli occhi…..  ( da: Il Moto della lentezza ) “

                                                                                                                                                           Vincenzo Calafiore

Agonizzo per una malattia mal conosciuta e che non si sa come curare;è quella malattia che non ti fa stare bene in questa società ottusa e decadente. Mi hanno rimesso assieme i pezzi per sopravvivere e questo dovrei ritenerlo una fortuna.

Il mio vecchio insegnante di latino mi insegnò a leggere, a pensare. Mi mostrò dei libri e mi trasmise il suo amore per loro.

Non ebbi scelta, fu la sua eredità.

Lui mi disse che con i libri non mi sarei mai sentito solo.

In una stanza illuminata dalla fioca luce di una candela, ho capito quanto fossero importanti gli occhi. Gli occhi per sentire, gli occhi per parlare, per leggere, per scrutare l’infinito di una pagina, in una parola.

Le parole esistono per essere plasmate dalle mani, tutte quelle che già erano state concepite e quelle che potevo inventare: questa è la materia di cui sono fatti i libri!

E sono loro a salvare dalla solitudine.

Penso che la memoria abbia una sua coscienza, quella che le permette di farci ricordare di più le cose belle invece che le brutte.

Successe un giorno di maggio, nel pomeriggio.

Accadde lentamente.

Cominciai a sentire forti dolori al petto, mi pizzicai senza farci caso, aspettai che il dolore mi passasse. Non successe.

Portai la mano ancora sensibile all’orecchio, spaventato da quella forte scossa tellurica in me…

E tutto finì.

Mi sono ritrovato in una stanza bianca con tanti fili addosso; alla fine venne un medico a parlarmi.

Mi spiegò che si era trattato di un infarto.

Questo ciò che accadde.

Mi ha trasformato in un altro uomo.

Quando uscii da quella stanza, mentre tutti si sforzavano di capire cosa mi fosse successo, presi la mia penna stilografica, la accarezzai, la strinsi, cercai di tenerla saldamente, prese a scrivere da sola, senza seguire la mia traccia. Le lettere non affioravano nonostante le concepissi con chiarezza nella mia mente.

Non c’era più la mia voce era cambiata, anche la mia facoltà d’espressione e il linguaggio, era, è come se non volessi più comunicare con il mondo esterno.

Per il momento mi stancavo a leggere, scrivere, parlare.

Ero un esule e lo sono ancora. In questo mondo lontano e distante, vivo da esule.

Ci sono molti istanti di silenzio nella mia nuova vita, forse anche troppi, in cui pensare agli orrori degli anni negati per sopravvivere!

Sono un vagabondo.

Me ne sono andato da questo – mondo – per l’orrore di cui ti sto parlando. Come ho potuto riconoscerlo e contemporaneamente continuare a vivere?

Ho pensato che l’isolamento e la solitudine mi avrebbero aiutato a non sentirmi estraneo …, mi sono sforzato a scacciare dalla mia mente tutti i pensieri sinistri, mi sento minacciato, e la causa è la paura ….  

Sono felice della mia esclusione dal mondo fino a trasformarmi in un apatico, in un indifferente.

Rimasi a guardare il fuoco, come se il fuoco potesse trovare una via d’uscita, come se in quelle lingue arancione potessi trovare una risposta; vorrei provare a volare con le ali di parole prima che il mio cuore vada a pezzi; l’impotenza è il linguaggio di questo mondo, l’impotenza per i morti vivi, quelli che ho intravisto dai finestrini di un treno nelle stazioni di solitudine, nelle rovine di Milano.

Quelli che protestano contro la fame e l’umiliazione, quelli che spariscono per sempre.

Me ne sono andato via da questo mondo che permette la barbarie di ammucchiare e spezzare corpi  fatti per reinventare l’amore e per esplodere di felicità. Come fate ad avere il coraggio di fare violenza o uccidere la sola specie capace di procreare e che ha saputo rinunciare alla propria vita in certi casi.

Il fatto è che la vita vince sempre, come l’amore.                                                                           

 

 

 

 

 

lunedì 20 novembre 2023

 

La cosa peggiore non è rimanere soli, ma essere dimenticati da qualcuno che tu non dimenticherai mai.

 

                                                       Vincenzo Calafiore

 

Il dolore

 

E’ un rumore

una voce

un sussurro dentro.

Ti ricorda nella sua memoria.

E’ un’onda cattiva

che ricopre

porta via

devasta

ingoia la luce.

Il dolore non ha voce

ha una sua fisionomia

è un fantasma

muto,

sordo al tuo : lasciami!

 

                     Vincenzo Calafiore 

domenica 19 novembre 2023


 

Non smetterò mai, di amarti

 

Vincenzo Calafiore

20  Novembre 2023 Udine



 



…. Lavinia mi chiedi se ti amo,

si che ti amo, non smetterò mai di amarti,

anche se dovessi inventarmi una vita.

Il tempo è qui sulla mia pelle, nei giorni inventati

con una casualità disordinata, lui non ha memoria.

Per me anche la memoria ha un suono, è un suono,

forse soltanto un modo di abbassare la voce qui

dove tutti urlano….. “

                                      Vincenzo Calafiore

 

 

Per amarti, o per poterti amare mi sono inventato un linguaggio mio: i miei occhi!

Non servono solo per guardarti, ti dico tutto con gli occhi e colgo con gli occhi ciò che i tuoi dicono.

L’amore, è ciò che vorrei dirti, e che  quello che sento in me è nei miei occhi.

I miei  occhi e i tuoi Lavinia si cercarono in quell’atmosfera rarefatta dei giorni, piena di silenzio e si incontrarono. . ….  quei tuoi occhi grandi come cielo di notte che tentano di nascondere le vette della tua tempesta !

Guardo la pioggia insistente, dalla mia finestra. E penso all’estate, alle spiagge assolate, ai miei capelli bianchi, al chilo di troppo; non posso essere invecchiato in un anno … è che senza mai guardarsi allo specchio si vedono cose che prima non si notavano.

Penso che vorrò una vita intera senza specchi.

Non hai mai capito che vivo di te, ti sei sempre tenuta alla larga dai turbamenti, quelli che io, da qualche parte dentro di me, sento.

Amore! Ecco, la parola che non trovo in questa follia, in questa folle vita, folle cruciverba che sto facendo da tanti anni, forse l’ultimo prima che anche il mio cervello diventi un grafico e si trasformi in un indecifrabile, anomalo cruciverba.

Mi piacciono quegli schemi con i loro spazi esatti, caselle nere e caselle bianche, senza possibilità di approssimazioni o scappatoie; ma non spiegano cosa sia l’amore.

Ma un poeta si, che ne è capace … ricordo i vuoti di Mallarmé, gli spazi nella sua poesia lasciati in bianco come fossero pieni, il vuoto non come spazio da riempire ….  Il vuoto come linguaggio in sé. Forse il bianco nasconde un significato preciso, come i tuoi occhi Lavinia ?

Gli ingredienti immutabili dei miei giorni : ricordi, desiderio, attesa .

Oscillo tra questi tre.

La luce del mattino illumina i vasi di vetro trasparenti pieni di pezzi di vetro colorati che ho raccolto su tutte le spiagge dove sono stato, grandi e panciuti, sento la levigatezza del vetro e penso che la luce li riscatti dall’oblio, dall’oscurità della – dimenticanza -, per un momento mi illudo di comprendere tutto, quanto da te mi separi.

C’è stato un tempo in cui non si buttava via niente, nemmeno la speranza.

Un bacio era una cosa rara nella vita di una persona e veniva custodito come un tesoro. Il dolore si conservava gelosamente per non dimenticarlo. E da quello si imparava.

Adesso consumiamo tutto, rompiamo tutto, ci disfiamo di tutto.

Io e la mia vita non ci siamo conosciuti.

Guardo le mie mani nervose, agili,, mani esperte.

Noi facciamo con le mani quello che abbiamo visto fare prima di noi. Le mani hanno frugato nella terra, fregato per terra, hanno spezzato il pane, hanno lasciato la loro impronta nella pasta, nel pane, sui manici, sui ferri di lavoro, sulle armi.

E ci sono state mani che hanno preso una penna e hanno tracciato un filo che gira intorno al mondo, hanno scritto lunghe lettere, diari, libri ….. le mie mani discendono da queste e parlano di te, Lavinia.

Prima, nell’amore, l’unione della carne era un linguaggio, i baci erano un linguaggio. Il silenzio era un linguaggio grazie al potere della carne.

Adesso, la carne non da più conferme.

Tutti fantocci, amputati, rappezzati dalla testa ai piedi!

martedì 14 novembre 2023


 

Da qui a lì… la misura di un passo

Vincenzo Calafiore

15 Novembre 2023 Udine


… ci sono momenti nei quali

vorresti prendere le distanze dai tuoi stessi occhi,

collocare le parole ed i pensieri, le cattiverie, le solitudini,

in un territorio neutro, dove tu e gli altri siete alla pari,

senza uno sfondo, senza un presente malconcio,

senza un passato. Senza protezioni, anche, capaci

di dimostrare all’altro che la sua sincerità nell’ammettere

le proprie debolezze e sconfitte è anche la tua;

una sincerità tale da riuscire a rendere le parole sconfitta,

debolezza, termini vuoti, senza significato.

Una sincerità senza retorica, che le riscatti nell’atto stesso

di incontrarle ……  come quando ami ! “

                              Vincenzo Calafiore

 

Quando ti chiedono, come stai o come va …. Ci vorrebbe una domanda di riserva, magari più facile, alla quale rispondere.

E poi cosa rispondere quando dentro di te come il mare porta via pian piano terra all’uomo così la vita che come ti da allo stesso tempo porta via … anche qualcosa di più.

Amo tanto il mare, lo amo perché non tradisce, l’uomo tradisce e lo fa con consapevolezza.

Il mare mi porta sempre qualcosa ma non è per questo che mi piace. E’ bello anche solo guardarlo, anche la vita se la sai guardare bene.

Ma vivere in questo posto di guerre e di disastri umani è impossibile, viene voglia di andare via e non avere un posto in cui andare.

Perché succedono queste cose, io non lo capisco.

Il mare è qualcosa di divino, è un dono divino è di Dio che lo ha creato per un buon motivo a noi sconosciuto …. È l’unica cosa sincera che abbiamo su questo pianeta di merda.

Pensa, vicino al mare non c’è niente che sia per sempre …. E non rassomiglia alla nostra vita o  è la vita a rassomigliare tanto al mare?

Aspetto!

Non so cosa, ma aspetto qualcosa di buono da questa vita, non intendo denaro, soldi… quelli no, perché io dei soldi non saprei cosa farmene, invece se ricevessi un bacio, una carezza, un abbraccio, che bello sarebbe … il sogno è sempre lo stesso… certo che la vita è proprio un attimo, perché quello che c’era prima poi non c’è più …. Come fa la marea che copre e scopre, cambia e modifica, cancella….

Fuori il cielo è pieno di gabbiani che si sono allontanati dal mare, sembra l’inizio di una vita nuova, proprio di tanto mare, di tanto cielo.

Le nostre vite hanno forse più strati della sabbia, ed ogni strato nasconde o protegge un nome, un percorso, un amore reale o inventato.

Probabilmente ci è più facile scoprire quello che la sabbia nasconde, piuttosto che quello che  nascondiamo di noi.

Per esempio, i pezzi di vetro colorati sulle spiagge!

Pezzi di bicchieri, di bottiglie, il mare li consuma ai bordi e diventano trasparenti, hanno un valore, una storia, un passato; è interessante. Prendi ad esempio le mattonelle di tutti i colori …. Queste sono l’esempio di come la gente cambia le cose più belle che ha avuto, non si affeziona e le getta via.

Così non fanno forse gli uomini con le donne che arrivano fino a ucciderle?

Ho tra le mani dei frammenti di vetro, i disegni sono belli, i colori intensi, ma non mi appartengono.

Anche le cose, come gli sguardi nelle fotografie, hanno una doppia età, quella affettiva  e quella che le separa da noi oggi.

Noi non sappiamo se sono state delle belle o brutte storie, se sono stati tristi o felici.

Le cose che abbiamo, le persone che amiamo, ciò che desideriamo, i sogni che non abbiamo, sono la testimonianza di queste storie che non conosciamo e non potremo mai conoscere.

Ma ci basta sapere che sono esistite, pensarle, amarle, desiderarle, bramarle.

Qualche volta mi guardo allo specchio e mi sembra di non essere qui nonostante tutto, contro ogni mia aspettativa. In quei momenti parlarmi è difficile e mi sembra di riassumermi in un sorriso obliquo.

Penso che la vita non abbia riferimenti credibili, come per ogni luogo estremo, tutto sembra sfuggente, incomprensibile, incerto. La vita  più che vita, sembra sia solo un insieme di pezzi che non hanno una storia comune e non sembrano averla avuta mai in passato, adesso è poggia sul bordo di un cumulo di terra, sospesa sul mare.

Basta che il mare una di queste notti guadagni ancora qualche metro e la porterà via con sé!

domenica 12 novembre 2023


 

 

La vita a poco a poco

 

Vincenzo Calafiore

12/11 2023 Udine



“ … siamo condannati a inviare un messaggio

che non arriverà mai.

Un’attesa triste, lunga, di interminabile ambiguità.

Un messaggio dentro una bottiglia gettata in mare.

Solo che non c’è più mare, ci sono solo bottiglie vuote

che galleggiando si allontanano ….

Così è la vita nostra che sempre più da noi

si allontana. “

                      Vincenzo Calafiore

 

 

Può darsi che una di queste notti abbia portato sulla riva del limite, in un’ora imprecisata del mattino, qualcosa di simile alla felicità, ma irriconoscibile, invivibile e sfinita.

Camminando lungo il bordo dell’esistenza, tra vite finite e pezzi di vetro colorati, saprei riconoscerla; mi è successo forse di sfiorarla, senza poterla raccogliere.

L’acqua, passando sui pezzi di vetro trasparenti, lascia una scia di un leggero viola, poi ritornando su se stessa diventa schiuma.

L’alba, la mia alba continua a riflettersi così in una finestra che il mare ha frantumato contro uno scoglio senza sporgenze, poco prima della sabbia.

Ieri sera la finestra non c’era.

Ogni volta che la notte scivola via, mi chiedo che cosa avrà portato, di nuovo, l’aurora oltre me!

Mi alzo sempre alle tre e mezza, massimo alle quattro.

Se sarà una buona giornata, per il mio lavoro, lo sento fin dalla sera precedente, quando fumo l’ultima sigaretta.

Si sente nell’aria, e lo sento io, dentro di me.

E poi, quando apro gli occhi, quando è ancora buio, sento in lontananza un treno sferragliare sui binari; lo scirocco si riconosce anche a occhi chiusi, dal modo in cui soffia, e quando c’è scirocco di solito è una buona giornata.

Noi, voglio dire, quelli come me, che vivono ai bordi della vita, diciamo lo scirocco, ma non ne siamo sicuri i venti sono tanti e diversi, ci sono tanti che si somigliano, ma due sono uguali, uno che arriva dall’Africa e uno dalla Grecia.

Quando questi due venti si incontrano e ne fanno uno solo, tutto cambia, il mare di dentro si muove e si agitano i fondali.

Io ho un altro motivo per vivere qui e per alzarmi a quell’ora. Perché è il momento più bello è proprio l’alba e all’alba c’è una luce bellissima che va dritta al cuore.

Le cose più preziose il mare non le lascia in vista, ma appena sotto la sabbia, e bisogna saperlo guardare per scoprirle.

Così è la vita, così fa la vita, le cose belle bisogna saperle trovare tra tante bruttezze.

Io lascio che sia lei a decidere quello che devo trovare. Con il tempo …. La sabbia si sposta e comincia ad affiorare qualcosa.

Non c’è gente, non c’è proprio nessuno.

C’è una specie di pace, di tranquillità che fa più paura della tempesta; tutto è avvolto da quell’odore un po’ particolare del sangue o che viene dalle cose vecchie che finiscono accatastate da qualche parte, così i nostri anni che diventano tempo perduto.

Come tutti coloro che si sentono da sempre inseguiti, ho imparato a cancellare ogni traccia dietro di me.

Le storie che scrivo sono sentieri che sembrano avvicinarti, invece ti portano molto lontano da me.

Anche io, d’altra parte, ho l’impressione di essere, da molto tempo ormai, sul bordo di me stesso …

Con una vita a poco a poco!                                                                                              

 

mercoledì 8 novembre 2023

 Da: QUELLA STRANA SENSAZIONE DI ESISTERE

( VINCENZO CALAFIORE )

E’ la nostalgia di un tempo che ormai non ci può essere più, quella che lui si porta dentro. Parla di questo ed è come un pittore che dipinge scene e luoghi, visi, ormai lontani, inesistenti.
Non so fino a che punto per Quinto Malatesta sia stato interessante il vivere o abbia amato quell’incanto, che mi racconta come se si trattasse di una cosa di poca importanza, che non ha mai smesso d’amare. L’importanza del suo racconto sta nella “ direzione “ che lui ha saputo intraprendere e che lo condurrà dove forse noi non arriveremo.
Quinto e il silenzio. Un silenzio velato, che si racconta ancor di più in quei piccoli rigagnoli che dagli angoli degli occhi spuntano all’improvviso, per scivolare nello spazio delimitato dagli zigomi, sul mento, spariscono in silenzio come sono nati in un infinito “ si “ alla vita.
Visti da lontano, sembrano fiumi di stelle brillanti; è il mare di dentro, con i suoi moti e le sue maree, amaro e intraducibile; forse è la voce del silenzio o è il pianto di Quinto a commuovermi