sabato 25 agosto 2018



Sottovoce
Di Vincenzo Calafiore
26 Agosto 2018 Udine


E’ quasi tramonto, è quasi magia,o ci potrebbe essere, potrebbe giungere da qualche emozione trattenuta, da un pensiero o da un desiderio che sta per realizzarsi; sono cose che si aggiungono al quotidiano tanto da divenirne sottofondo, colonna sonora, note di una canzone conosciuta, imparata a memoria; come fosse mia risuona in testa, la ripeto sottovoce: Amapola.
E’ come se quelle parole riuscissero a scardinare le grate di quella solitudine percepita addosso come una seconda pelle.
Riaffiorano da quei luoghi bui e profondi del rimosso, ricordi, immaginazioni, cose, che il tempo non ha mai  cambiato, ma semplicemente custodito.
Così accade che questa mia età “dolceamara” mi parli sottovoce attraverso immagini sovrapposte e lo fa con la sua continuità; ma in realtà quella solitudine fredda e silenziosa altro non è che assenza.
Rivivono, si distinguono, si alternano come in un sogno che trovo al risveglio della mia esistenza.
A volte vedo la mia esistenza come una situazione in attesa, nel quotidiano divenire, durante il quale è come se rimanesse sospesa in attesa o in vista di qualcuno o di qualcosa; solitamente di un approdo, di un arrivo alla meta desiderata.
Quello che mai è andato perduto è l’orgoglio, la mia dignità, l’onore dell’onestà, l’amore, che mi porto dentro come fosse un bagaglio …. Così la mia esistenza è vagone, rotaia, stazione, scompartimento – mondi in cui di continuo si compongono e si alternano improvvisate felicità, rapportate alle stagioni, ai fatti, agli eventi, alle occasioni del vivere sulla scia di un tempo ritardato o accelerato …. Come tutto quello che scorre fuori dagli oblò, mischiato e confuso alla velocità della “ Pegasus” con cui viaggio.
Gli attimi lunghi un’eternità o le eterne attese in un attimo si manifestano e si concludono, nel momento conclusivo di ogni mio viaggio verso l’amore, l’unico approdo, l’unica certezza.
E’ anche partenza verso gli occhi suoi, il suo sorriso, la sua voce, le sue mani!
C’è vita, c’è ansia di attesa, voglia di abbraccio, di bacio, in questo pendolarismo dell’anima e del corpo, che si identifica in un nome, in un volto amato.
E’ anche lì – viaggio – o “ Pegasus” durante i mille passaggi, dall’infanzia e dell’adolescenza alla senile età; quasi sempre emozionante, come il poter amare anche se a volte non corrisposto.
Le ore in sottovoce sembrano scorrere pigramente e tutto sembra uguale a se stesso e tutto potrebbe divenire improvvisamente importante e fondamentale.
Basterebbe la coincidenza di un posto sulla “ Pegasus” una poltroncina e di un tozzo di pane e un bicchiere di vino scambiati con la medesima simultanea familiarità delle parole.
Meglio allora stare dentro la “ Pegasus” sentirlo proprio il pacato meditare o condividerlo con chi sta a fianco o viaggia con me, come bellissima esistenza regalata a volte  all’inerzia del tempo.
Al punto che i giorni, i mesi e gli anni scorrono lenti o veloci dentro o fuori di noi, di me ….  Finiscono per corrodere la vita o ancora peggio: non averla mai avuta una vita.

sabato 18 agosto 2018


 La Vita finisce quando non hai più un sogno
Di Vincenzo Calafiore
19 Agosto 2018 Udine


Non è solo la voglia di “ conoscere- sapere “, quella che insistente ogni notte conduce verso nuovi e sconosciuti universi, in cui non mi sento estraneo come qui in questo angolo di terra sfinita giumenta.
La “ Pegasus “ ormeggiata appena fuori dalla finestra, galleggia a mezza aria; è un forte richiamo, una forte tentazione che alla fine mi fa salire a bordo.
Posso così raggiungere il mio “ Altrove ” che persa in qualche sogno dorme sonno profondo, chissà se mi sentirà giungere o se avvertirà la mia presenza nella sua camera da letto, all’impiedi fermo a guardarla.
In compagnia di Euripide, Aristofane e Socrate, continuo il mio viaggio sospesi in una nuvola di silenzio, silenzio che riempie tante pagine di azzurro di una memoria terribile e urgente.
Tu sei quel mio che nasce da una scrittura quotidiana, per più amore, per più vita!
Nasci da un cuore che ti cerca!
“ Aiutami tu” al gorgo di un’alba compiacente riemerge la mia vita come uno scafo affondato da un fondale oscuro, avvampato di sagome errabonde.
Quel mio volerti e quel mio cercarti, uncinano il mio mondo al tuo con millimetrici segnali espressivi tesi a rendere una felicità ferita dall’assenza, dal non poter condividere nulla nemmeno un respiro di vita.
Amare o semplicemente poter amare è anche un bellissimo passaggio da sé all’altra, come ponte tra sponde diverse, di due, che si amano o che si possono amare, che si possono unire nella comune appartenenza di specie. “ Coloro che si amano “ !
E nulla può essere più vero, autentico, di un bacio o di uno sguardo profondo rovesciato negli occhi…
Tu, sei quell’altrove a cui andare, il senso in più che ha di sé la vita… allora si può viaggiare!
Se sarai con me sì che si potrà viaggiare nel corso di ogni esistenza, approdando con la –Pegasus – di continuo ai lidi più distanti dai propri; spostandoci quanto e come si può, anche di poco dai confini dell’universo conosciuto.
Dolce, dolcissimo, tenero, quel ti amo di ogni dì che si veste e già parla di poesia.
E’ tutto qui, tutto in questo verbo, come fosse una canzone.
Dunque quel mio “ ti amo” come un viaggio, come attimo prolungato di fascino e mistero come misterioso è l’amore, fino al punto da diventare colonna sonora di una vita.
Fino al punto da diventare un fatto di coscienza o addirittura un sentimento ancora più grande di noi stessi.
Nella stessa misura in cui l’altrove non è tanto un luogo, quanto Amore!
E allora penso a quando non sarò più in grado di dirtelo,
penso a quando non avrò più un sogno e se non avrò un sogno non ci sarà neanche vita!
Ecco, questo sei tu: il sogno!
Il sogno che tutti dovrebbero avere, per avere vita, per sentirsi uomo o almeno più umano.
E fino a quando avrò questo sogno, avrò vita.
Viaggiare con la “ Pegasus “  diventa allora un sentimento diverso, una maniera di muoversi nel mondo di dentro, di vivere la propria vita al plurale, di andare da sé verso l’altra, scoprendosi sempre più meno intruso, sempre più complice!



lunedì 13 agosto 2018


Sogno di mezza estate

Di Vincenzo Calafiore
13 Agosto 2018 Udine

In queste sere “bollenti “ noiose più che mai, rimane che sognare questo momento vissuto nella vuotezza assoluta, da un’altra parte, una spiaggia qualsiasi della mia amata terra, la: Calabria!
Immagino allora un’area di luce e di mare, a cuneo tra faro e faro e le montagne che fanno da sipario a uno scenario fiabesco, da un lato all’altro.
Ti trovi nello Stretto, tra Scilla e Cariddi, attraversato dagli argonauti e Ulisse!
Lo Stretto di Messina, circa tre chilometri nel punto più stretto, tra Capo Peloro e la punta calabra, e qui si incontrano pure  il freddo Mar Tirreno e il caldo Mare Joinio.
Ogni tanto si aprono i leggendari gorghi di “ Caribdys” il mostro omerico < che l’acqua livida assorbe > ( “ Odissea “ libro XII) …
Dallo Stretto passa tutto, storia, profumi, essenze, ma anche il delfino, l’orca, le balene, il capodoglio, i tonni e le mante, gli squali compresi quelli bianchi e in fine il Re dello Stretto, il Signore del mare per eleganza e per nobiltà, il : “ Pesce spada “!
Ogni anno, nel periodo della riproduzione il pesce spada lo attraversa due volte lo Stretto.
La prima volta in aprile-maggio, seguendo la costa calabrese dal Tirreno allo Jonio, la seconda tra luglio e agosto, dallo Jonio al Tirreno, più vicino alla Sicilia.
Il “ fiero cavaliere del periglioso mare “ ama nuotare in superficie e accompagnato dalla sua compagna a cui è fedele fino alla fine.
E’ strano, ma il maschio solo qui, in questo tratto di mare per corteggiare una femmina salta fuori dall’acqua, i pescatori dicono invece che pare voglia giocare con il mare e se essi avvistano una cosiddetta “ pariglia” tendono a catturare per prima la femmina, sapendo che il maschio rimarrà a nuotare nei paraggi fino a quando la sua compagna non sarà morta, a volte per il dolore attacca la barca con la sua lunga mascella spadiforme.
Proprio per questo aspetto drammatico del duello tra uomo e il “ pesce cavaliere”  che Domenico Modugno ha scritto la canzone “ Lu piscispata”.
A volte nel silenzio della notte mi par di udire il canto della risacca, vedere nel chiaro di luna l’incresparsi delle onde, il formarsi o lo sformarsi di scie scintillanti nella scia lunare;
a volte mi pare di udire le voci concitate a bordo della spatara, l’inseguimento del pesce spada e di vedere l’uomo sospeso tra cielo e mare con in mano la – traffinera- scagliarla con colpo sicuro.
Ma, appena colpito il pesce spada è una volta issato a bordo è subito – marchiato- vicino all’occhio con segni scaramantici… il tutto avviene a ritmo di gesti e parole di un rituale sacro, come ai tempi dell’antica Grecia.
In effetti questa forma di pesca nello Stretto risale ai Greci Calcidesi che fondarono Zancle
( Messina) e Reghion ( Reggio) nell’VIII secolo a.C. come testimonia la descrizione di Polibio riportata da Strabone.
Come non sognarla una terra così.
Come non amare un mare così meravigliosamente vivo, pieno di vita, gaio come un giorno di primavera, profumato di settembre; ma anche bellicoso e irascibile, minaccioso fino in casa, d’inverno, quando profuma di pino e di ginepro come l’Aspromonte o la Piana di Gioia Tauro.
Mentre pian piano vedo sparire nel nulla i miei giorni, nella noia e tristezza di un balcone che si affaccia sul nulla, vedo ciò che la memoria, giocando d’inganno mi propone, e in tanto si fa sera e con tristezza vedo che un altro giorno se n’è andato via sulla scia scintillante di un mare nel chiaro di luna….
È quasi vero!


giovedì 9 agosto 2018


In uno schiocco di dita
Di Vincenzo Calafiore
10 Agosto 2018 Udine


“ … sai, appartenere a qualcuno è
o sarebbe la cosa più bella che potrebbe accaderci.
E’ come appartenere a un paese, a un universo, ma
se non ami o non si è amati “tutto” è un paese che si svuota,
in cui non vale più rimanerci….”


Era già da tempo che volevo andare via, cancellando le impronte sulla sabbia che puntano al mare. Ormai nulla è più come prima, voglio dire qualcosa di diverso: non esiste più “ qui “ per me, ed io non esisto più qui.
Capisco benissimo chi si inganna di felicità e che la veda ovunque, in qualsiasi cosa faccia, comunque sempre.
E’ l’inconveniente di chi se n’è andato.
Chi è rimasto in questa “cosa” chiamata vita, ha perso la felicità, chi è riuscito ad andar via non se ne libera.
Sentivo che parlando così tiravo fuori antichi malesseri, forse vecchi risentimenti, tracce di antiche battaglie di una lunga guerra ormai persa. Coglievo una certa aggressività nelle parole e nello sguardo di Anna, forse la distanza che non aveva mai accettato.
Con fare distaccato e melanconico, conclusi: la felicità è un paese di mezzo, non esiste o forse non è mai esistito.
Lei, sorrise, poi pensò – Non esiste nemmeno Anna -  < ti diverti  - fece lei – Fai il misterioso o ironizzi  >. No, dissi compiacente, quasi con la dolcezza dei bei tempi, non voglio prenderti in giro. Guarda lo spettacolo fuori, vedi il sole che si sta abbassando?
Tra poco sarà all’orizzonte, taglierà ogni cosa che svetti in alto, attraverserà quelle nuvole, si confonderà con esse poi andrà a cadere nel mare.
Anna ascoltava, silenziosa, contratta, io continuo: Vedi le nuvole bianche e dense che lo circondano, lo nascondono e lo scoprono; sono in alto, sopra le nuvole, vado e torno… come meglio mi piace, quando sono stufo di stare e aver a che fare con gente vuota come canne al vento.
Quando sono qui mi nascondo, non esiste più nulla perché io non ci sono più, so come diventare invisibile e apparire quando lo desidero.
Anna mi interrompe e  chiede se può mettere un disco.
< Il nostro primo disco>….. disse quasi scandendo le parole …. Mi guardo attorno, affacciato dal balcone … pensai alle nuvole d’inverno.
Certi pomeriggi, quando mi alzavo dalla scrivania, le fissavo con intensità e ansia come accade quando si aspetta l’arrivo di una persona cara.
Avevo voglia di accarezzarle con la mano, prenderle e metterle stese sul mio letto, tanto erano basse e vicine. A volte avrei voluto fissarle da qualche parte o tenerle ancorate a terra come fossero una nave; e se costruissi una nave a remi capace di galleggiare nell’aria e magari poterle raggiungere e andare oltre le nuvole….? A volte ho avuto la tentazione di riempire di nuvole, le case abbandonate, le piazze, le vie strette e vuote, i vicoli bui; a volte costruire dei grattacieli alti come quelli di Manhattan, mentre le note di New York City Serenade di Springsteen cominciarono a parlare dei tempi che furono.
Bruce lo avevo ascoltato a Roma, quando studiavo all’Accademia e quando ancora il futuro the boss era conosciuto da pochi amanti della musica d’oltre oceano.
L’estate, quella famosa estate tornai a casa con il 33 giri, lo feci ascoltare a chiunque venisse a trovarmi e soprattutto ad Anna, proprio nel periodo in cui la nostra storia stava per finire.
Quella musica … una dolce mescolanza di vicende e di inquietudini, mi ricordavano Robert De Niro e Martin Scozzese, musica per accompagnare le notti belle e silenziose, lunghe e solitarie, a cui piano piano andai e ancora ci sono dentro.
Le mie notti bianche, come quella Serenade, sono diventate la colonna sonora di paesaggi sfrangiati e senza centro, di case vuote e in abbandono, di rughe chiuse e desolate, di un bisogno di vita così come i canti di partenza e di distacco lo erano stati per generazioni di emigranti, che partivano col sogno di tornare e finivano col non tornare più.
Certe volte con quella voglia di fuggire su una nave a remi lontano da questo mondo ormai tutto uguale e tanto somigliante.
Quella canzone accompagnava e accompagna ancora adesso che ho i capelli e la barba bianchi, la solitudine e le fughe nella notte rimanendo seduto ore davanti a una scrivania.
Anna, non mi ha mai chiesto dove trovi le storie che racconto, ma non le ha mai neanche lette, forse non sa, che ora come ieri è possibile essere invisibili o andar via su una nave a remi lassù nel blu oltre il blu!
Soltanto con uno schiocco delle dita!


venerdì 3 agosto 2018


E’ quasi sera
Di Vincenzo Calafiore
4 Agosto 2018 Udine

“ … potrei non svegliarmi domani dal mio sogno,
potrei essere chissà nel suo essere, nella sua magia
che giocando d’inganno mi fa gabbiano in quell’istante
di quel – ti amo – appena sussurrato, appena sfiorato da
un insolito desiderio di rimanerci per sempre … “
Cit. di Vincenzo Calafiore

Più volte al giorno, dalla mia finestra a occidente, posso scorgere un mare distante e penso che sia il “mio mare” ( ma è solo immaginazione ).
E’ questo l’unico segno che mi rammenta il mondo dal quale provengo, un segno discreto, e così lontano da non turbare neppure fuggevolmente la quiete in cui sono immerso.
E’ come se io fossi personaggio di un romanzo rinchiuso chissà dove  che dalle grate della sua prigione immagina di vedere il mare.
Ma i personaggi provengono dall’attenzione e dalla fascinazione di certe esperienze del vivere … dell’autore!
Chissà chi è il mio….
A un certo punto della vita si avverte il bisogno, l’urgenza, di creare una vita alternativa, rispetto a quella che è o potrebbe essere, può essere la vita reale … magari imparare a leggere le persone, magari ci sediamo nel buio di un cinematografo, oppure si sta a fianco di un altro, in una coda di gente in attesa… e basta che qualcuno dica una cosa qualsiasi o compia un qualche movimento, perché scatti un qualcosa e si comincia a leggere il linguaggio del corpo e ci si comincia a chiedersi che cosa ci sia di non detto in ciò che ci rivela.
“ Come fai a stare ancora qui? “ Mi chiese lei, a tutta voce, nel bel mezzo di un lungo discorso fatto di convenevoli e di mezze menzogne, di schermaglie e di parole studiate come succede alle persone con una storia d’amore finita da tempo, ma che continuano a mantenere buoni rapporti e, di tanto in tanto, a vedersi.
Nel bene e nel male, i legami non finiscono mai.
La guardai attentamente, senza alcuna sorpresa. Prima o poi, quella domanda, rituale come i temporali d’estate, come le feste dei santi, come i quando sei tornato?, come stai?, quando riparti?, sarebbe certamente arrivata.
Ero disteso sul letto della mia stanza.
I raggi del sole entravano con intensità in quel lato della stanza; lei mi guardò, mi attraversò tutto, con i suoi occhi neri e sfuggenti. Era sempre bella, la donna con cui avevo avuto una storia, lunga,intensa,tosta; una storia che non ricordavo bene quando era cominciata, e non capivo nemmeno quando e perchè era finita. Hai ragione le dissi dopo un lungo silenzio che mi era servito per trovare qualcosa di intelligente.
“Sono rimasto qui per attenderti, lo sapevo lo sempre saputo che tu saresti tornata da me, nulla è cambiato … forse siamo cambiati noi… “
“ No, rispose con aria un po’ distante e un po’ affettuosa – non è in questo senso che volevo dire… “ , sorrise, si avvicinò ancora più verso il letto, mi accarezzò i capelli non aveva dimenticato i miei punti deboli … avvicinati, le dissi, ti faccio posto.. sentii vicino quella donna, quel corpo, tanto amato.
In effetti, uno non conosce la vita reale della persona incontrata casualmente, con cui si vive, che si ama, si conosce completamente la vita dettata dall’immaginazione che in qualche maniera strana si aggancia all’esperienza dell’amare.
E’ quasi sera, sono sempre qui davanti a una scrivania e, di tanto in tanto guardo il mare fuori dalla finestra, come fosse una valigia di fibre piena di assenze, di vuoti e di attese affabulanti dei ricordi, spesso sorpresi come nell’attesa di lei smarrita chissà dove o in quale letto a dormire.
E’ una visione, chissà.., piena di un via vai di visi, uno scenario antico di colori che tornano a brillare come i miei occhi quando incontrano i suoi, o quando l’attenzione si posa sul fiato breve di un dettaglio, come le sue labbra pronunciate come il filo di un’onda.
Lei è un orizzonte che divide il mare fuori dalla finestra dalle lusinghe dei sogni, le figure sguscianti dalle pieghe dei giorni e i giorni sgranati nella ricerca di un sommerso cristallo d’incantesimi: è l’altalena dell’amare di ieri dentro un oggi ancora uguale, affascinante e dolce come un abbraccio, come quel – ti amo – lungo una vita! Uno spettacolo del transito delle stagioni, di una conoscenza vasta nella quale il mio viaggio retrospettivo abbandona sovente il passo dimesso e sceglie la temporalità di un universo quotidiano posto specchiarsi nelle onde soavi dello stupore: l’amare!
Amarla è una leggerezza di visione che sembra far scendere sulla realtà un sottile velo di magia: non per allontanarmi, ma per trattenermi più a lungo dentro i suoi occhi, e fare delle mie fragilità quel teatro volubile delle immaginazioni che servono per poter vedere sempre l’oltre dell’esistenza.