mercoledì 31 agosto 2016



La mia strana felicità

Di vincenzo calafiore
31 Agosto2016-Udine
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia





“ Thi is my song “ una delle canzoni che ascolto quasi sempre mentre scrivo, ormai quasi colonna sonora della mia vita; forse tutto parte da qui, dalle note di questa canzone splendida e immortale, per chi ama, per chi è ancora capace di dire alla propria  donna e alla propria vita “ t’amo “ .
Più di una volta ho trattato questo argomento: “ non la meta, ma il viaggio …. “, ci torno volentieri perché non mi stancherò mai di parlarne, importante per le persone che ci stanno vicino, per le persone che si amano, per le nuove generazioni.
Le due passioni nella mia vita: il mare e la scrittura, in un certo modo due mondi complementari, la saggezza del mare incontra i sogni incrociati della scrittura ove si coagula l’esistenza mia.
Così il mio tempo, quello comunemente detto età, speso su quel mare percorso da scrittore per anni a bordo di una barca come fosse casa, navigai e continuo a navigare da un oceano all’altro alla ricerca di un’impossibile verità dello stesso significato vivere, quasi metafora dell’incertezza e del mistero della vita. Un paradosso che costituisce motivo d’indagine, per raccontarle poi come storie.
Ma che significa vita,
che significa vivere?
Che sia un racconto di impianto filosofico-esistenziale, il cui filo conduttore è la ricerca spasmodica di ciò che non si trova e si vorrebbe trovare, una quete inquieta che per uno scrittore significa navigare nell’oceano del sapere mettendosi totalmente in gioco, pur di inseguire un sogno, il proprio sogno?
Ma tu hai certezze, non sogni.
Allora affronta l’oceano, annaspa e trattieni il respiro non per salvarti ma per prolungare la tua agonia e salvandoti apprezzare quanto la vita stessa ogni giorno ti da!
Con la consapevolezza: che non c’è altra certezza che il dubbio.
Si dice spesso che quel che è importante non è la meta, ma il viaggio. Gli esistenzialisti, tra cui Sartre e Simon de Beauvoir, hanno scritto pagine molto belle sulla delusione che subentra una volta raggiunta la meta.
E’ un po’ come l’amore: bisogna rinnovarlo ogni giorno, irrorarlo di dolcezza, altrimenti si sclerotizza e muore.
Per essere uomo forse non basta il naturale ciclo della riproduzione espressa in centimetri e diametro, forse per essere uomo bisogna avere un sogno da coltivare e da realizzare, custodire in se l’umanità e l’umiltà di non recare danno o fare peggio ancora violenza.
La conseguenza della mia scelta d’essere “ raccoglitore di perle “ o semplicemente uno spiaggiatore alla ricerca di sogni impigliati nelle maglie di tante certezze inutili.
Mi isolo dal mondo e dalla gente con cui non riesco a vivere.
C’è sempre un tempo per guardare e ascoltare, e un tempo per scrivere di una società spaventosamente vuota, aggrappata a scelte e certezze che non portano da nessuna parte.
Forse da questo mio viaggio ormai incanalato ormai verso la sua naturale conclusione ho imparato a essere fedele a me stesso e ai propri valori culturali e umani, a un’idea di letteratura che non coincide con la vita, ma le è sempre accanto a interrogarsi, a rendere ragione di se e delle proprie visioni.
Come l’amore, tutto non coincide, ma sono e sarò sempre accanto a proteggere e a dare una ragione a quel mio: ti amo!

lunedì 29 agosto 2016



Nella fantasia

Di vincenzo calafiore
30 Agosto 2016-Udine

…..  se vuoi salvarti affida la tua anima
a Fantasia che assieme agli elfi ti porterà
lontano facendoti conoscere ciò che ti pare di
conoscere; ma anche amare una donna e non
una femmina, amare e sognare, vivere! “

Tra non molto incrociando uno scambio il treno su cui viaggio si immetterà sul “ 70’ “ binario
è quella linea ambita dalle vecchie vaporiere, perché agevole, tutto discese e pianure che costeggiano il mare.
Ne avevo sentito parlare di questo “ binario “ e mi dicevo che non esisteva e che era una fiaba che vecchi macchinisti e viaggiatori viaggianti ci raccontavano a noi giovani per farci stare buoni.
Ma ora, io che ero piccolo e guardavo il mondo col naso all’insù sono passato dall’altra parte, cioè dalla parte di chi guarda il mondo col naso all’ingiù, e vorrei raccontarlo a qualcuno il mio viaggio, ma a chi?
E’ come trovarmi in un tempo “sbagliato” un tempo in cui nessuno ha più un “momento” per ascoltare e un momento per continuare, tutto compresi umani è veloce, standardizzato, uguale, monocolore.
Nel frattempo prevedendo di attraversare il “grande mare della solitudine “ come Noè per il diluvio universale io mi sono fatta “ un’astronave a remi “ per salvarmi dal gioco inutile dell’essere costretto a uno scanno incatenato al nulla.
E’ già da parecchio tempo che viaggio con la mia “ astronave a remi “ andando a cercare Argonauti come me sparsi in questo immane di lontananze e distanze; così ho potuto incontrare dopo averli tanto cercati: Claudio DeMuro, Renzo Marzona, Giovanni Anziutti, Flavio Snidero, Piero Fundarò, e il più giovane fra noi componenti l’equipaggio, Andrea DeMuro!
Tutto sommato nonostante le innumerevoli tempeste superate di quando andavo per mare e che hanno lasciato tutte vecchie ferite, solitudini, tristezze, mi ritengo fortunato perché ho conosciuto tanti giovani che ancora si ricordano di me, ho incontrato la donna che amo.
Ma qualcosa si è rotto in me, il mare grande della vita mi ha cambiato dopo tanta solitudine, dopo tanto silenzio che mi hanno fatto pescatore di perle e ora per finire “ rematore” di un’astronave a remi.
Quando ero costretto su quel pianeta terra nessuno mai mi ha chiesto se ero felice, nessuno mai mi gettò un salvagente per non farmi annegare e annaspando mi sono sempre salvato in Extremis quando mi pareva d’essere alla fine della vita, in punto di morte, su una riva dove ho vissuto come uno spiaggiatore.
Ma ho potuto anche conoscere e saggiare il grande sentimento che è l’amicizia, l’amore, la fratellanza; il più grande amore si chiama Cultura o conoscenza, musica.
Ho cominciato a costruire la mia astronave a remi  su una spianata del monte “ Argos” che nel linguaggio degli Elfi significa < terra del cielo > sono stati loro a raccogliermi e a ricompormi, sono stati loro a darmi le rotte più belle e a realizzarla; ma mi hanno fatto dono del grande desiderio di pescare perle che ancora adesso infilo per farne collane: le parole.
Ci sono stati momenti emozionanti vissuti con patos, qualcuno li chiama pure esperienza, ma anche di grandi delusioni e di amarezze, forse più di queste.
C’è stato un tempo di abbandono in cui avevo smesso di annaspare e avevo il desiderio di annegare, quando Andrea Larnè mi prese e mi tirò su facendomi nuovamente respirare aria di vita ed ora eccomi qui alla soglia del binario “ 70’ “ !
Felicemente perduto negli spazi siderali, negli anelli di Saturno distante dall’infame condizione di schiavo delle abitudini, lontano dai commercianti d’anime, distante dall’usualità, capace di riconoscere e distinguere.
E io amo questa vita mia, fatta più di distingui e di distanze dal nulla, che di comunanza.
Amo questa vita fiabesca piena di luci dei sogni che gli – elfi – di notte lasciano per me cadere da Argos!


venerdì 26 agosto 2016



Andare sempre, verso qualcosa

Di vincenzo calafiore
27 Agosto 2016 Udine


La luce illumina la tastiera del computer, intorno a me buio e silenzio, la scrittura è un’attività necessariamente solitaria per la sua destinazione comunitaria, pubblica.
Scrivere, dunque, assolve il necessario compito etico sulla base di un diritto a un pattuito restringimento del mondo reale, sia in termini di spazio che di tempo, in cui tutto ciò che vale la pena di essere salvato è preservato, lavato dalle incrostazioni di un insieme esterno vago è momentaneo, allucinato da una promiscuità volgare.
Tutte le storie nate sono storie del destino di qualcuno! Tutte dai destini leggibili, il destino della scrittura stessa è qualcos’altro.
Così da una vita stesse sensazioni, uguali emozioni, stessi orari, stessa solitudine, uguali silenzi in cui si sono uditi i suoni lasciati nell’aria dalla tastiera prima da una macchina da scrivere la mitica – Olivetti M80 – poi quella del computer.
E’ ogni volta come andare verso qualcosa, un viaggio in solitaria tra le parole che in qualche maniera isolano e fanno rimanere ore e ore a infilare perle più per amore che per tornaconto personale; così da una vita di parola in parola, di solitudine in solitudine che alla fine fanno essere estraneo anche a me stesso, e oggi sono ancora qui, come ieri e come sarà domani se gli occhi resisteranno.
Scrivere dunque significa, trasportare qualcosa al di là di un confine, ma sempre più frequente questa società anonima mi insegna che esistono i confini mentre in realtà non esistono per la cultura e la cultura si trova al di là di ogni confine. Sarà sempre la stessa per quegli abitanti del pianeta che si cibano alla stessa mangiatoia di intrattenimento standardizzato e di fantasie di eros e di violenza, o dove che sia, tutti illuminati dallo stesso flusso infinito di frammentata cultura ignorante.
A quest’ora di notte quasi alla fine, alla fine del mondo di tenebre, immagino aree di luce e di mare, dai bordi a cuneo tra faro e faro, e le montagne che fanno da sipario da un lato all’altro. Nel canale di Scilla e Cariddi, in cui passarono gli Argonauti di Ulisse, a bordo di una barca che rompe con la prua il risalire delle correnti, verso dentro e verso fuori, scruto l’incresparsi delle onde, il formarsi e lo sformarsi di scie scintillanti sotto il sole alla ricerca di un segno, di un qualcosa a cui andare.
Lo scrittore è l’uomo che guarda lontano, come il pescatore la preda e non la lascia fino a quando non le è addosso e lancia con colpo sicuro l’arpione ( traffinèra); il tutto avviene in piena notte a ritmi di gesti e parole di un rituale sacro.
Le parole nascono dalla necessità di salvare il più possibile il salvabile dall’immane vuotezza che avvolge ammuffendo l’odierna società, salvarla dai media che alimentano mentalità e soddisfano appetiti del tutto avversi alla scrittura e alla lettura, rendono irrilevante la cultura.
A quest’ora sospesa tra la notte a finire e il giorno a venire guardo il buio fuori che tanto rassomiglia al buio in cui rimango in piena luce; mi chiedo se ne vale la pena, mi chiedo se sono amato o se sono considerato un qualcosa da cui stare lontano e penso a quella donna sconosciuta che mi scrisse un giorno che mai si accosterebbe a uno come me così complicato, così estraneo, così silenzioso, così distante. Penso alla donna che amandomi ama la cultura e la scrittura, il mio silenzio e la maniera di guardare l’intorno.
Ma il mio compito penso sia altro, forse quello di tenere a mente la falsa geografia culturale che si sta instaurando, una specie di ideologia vuota dominante passata per cultura che si propone di obsoleto il compito profetico, critico, e finanche sovversivo dello scrittore, cioè di approfondire, e a volte, se necessario di combattere il comune modo di comprendere il nostro destino.
Ogni notte spero di continuare a scrivere, scrivere per chi vuole salvarsi, per chi vuole sempre come me andare verso qualcosa che non sia la distanza tra due allo stesso tavolo nella distanza e solitudine priva di luci e colori, suoni, tra un tablet e uno smartifon; persi nel digiuno di parole e sentimenti, per alzarsi alla fine sazi e pieni di un non so che, sempre più soli, sempre più distanti!
“ Il bello di questa vita, è che rientrando a casa puoi essere te stesso e non la brutta copia di un altro! ( vincenzo calafiore ) “

giovedì 25 agosto 2016



                        Vai, mo !

Di vincenzo calafiore
25 Agosto 2016 Udine



Ieri sera parlando con Scherif Boudaas residente in Algeria, 35 anni padre di tre figli capo degli studi del progetto sul cambiamento climatico nella città di Skikda, a parte la piacevole conversazione, è trapelato in fine che nulla c’era di diverso tra me e lui, nulla ci ha impedito di scambiare le proprie idee sul pensiero della “ convivenza ” tra popoli e gente culturalmente diversa, poiché ad accomunarci è stata ed è proprio la cultura, il rispetto, l’umanesimo a prescindere anche il fattore distanza.
Mi fa paura, anzi terrore, l’avanzare del razzismo oggi nel 2016, oggi che potrebbe essere o diventare come ieri, quando si bruciavano esseri umani; questo è già accaduto, quando certi criminali portavano dentro una gabbia metallica degli uomini con la tuta arancione in un luogo ben visibile per “ arrostirli “  in nome non so di cosa.
Barbarie, assassinio, crimine.
Le guerre, le ideologie, l’estremismo, non portano da nessuna parte se no verso l’odio e la discriminazione, morte e distruzioni.
Mi ha turbato molto un articolo pubblicato sulla rivista “ Intelligence” dal psicologo nordirlandese Richard Lynn che ha affermato con sicumera tribunizia che il Sud Italia è più arretrato del Nord Italia a causa della minore intelligenza dei suoi abitanti, prodotta dalla contaminazione dell’immigrazione africana. Come dire che l’Italia e l’Europa del Sud è o sarebbe inferiore a quella Europa del Nord!
Roba da chiodi, roba da far impallidire il <<Mein Kampf>> di Adolf Hitler e il dottor Mengele.
Questo non è bastato a questo esempio di intelligenza e afferma che a loro volta i siciliani sono meno intelligenti tra i meridionali!
Sicuramente questo signor psicologo nordirlandese stimato conoscitore della gente che vive sulle sponde del bacino del mediterraneo avrà preso causa insolazione una sonora tranvata in testa.
Si o già ! Sicuramente geni, scienziati e uomini di cultura, come Archimede, Dicearco, Diodoro Siculo,Jacopo da Lentini, Antonello da Messina, Pirandello, Verga, Sciascia, Guttuso, Quasimodo, solo per citarne alcuni, devono apparire allo studioso del Nord Irlanda, dove gli intellettuali abbondano come si sa davvero poco intelligenti.
Non basta!
A sua volta il politologo ( altro luminare ? )  di Harvard  Robert Putnam nel libro < Making democracy work, Civic tradition in Modern Italy > contesta al Mezzogiorno la carenza di senso civico e l’assenza di eguaglianza politica dividendo i cittadini tra potenti feudatari e clienti! Putnam spiega con tutta la sua intelligenza che a causa di ciò nel nostro Meridione si sono prodotti la sfiducia reciproca, l’isolamento, lo sfruttamento e la dipendenza dall’alto, solitudine e disordine, criminalità e arretratezza.
Quando invece il Mezzogiorno è stato decisivo dopo l’Unità Nazionale per la crescita economica e la modernizzazione del Paese attraverso la spoliazione delle riserve auree del Banco di Sicilia e di quello di Napoli a favore delle esangui casse dei Savoia, l’emigrazione sino al 1914, la devastazione agraria del Sud a causa della grande depressione e delle scelte di politica economica del fascismo, le nuove ondate migratorie  dalla fine della seconda guerra mondiale dalle campagne meridionali verso le grandi metropoli del Nord. Ancora oggi con il sostanziale disinteresse della politica nazionale per il Meridione, segnata dalla beffa dei grandi annunci mai seguiti da concreti interventi!








sabato 20 agosto 2016



Tornare all’anima

Di vincenzo calafiore
20 Agosto 2016 Udine
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia

 .. quella sensazione costante di sentirsi soli,
di non sentirsi amati ne ascoltati, compresi.
L’unico che ci capisce veramente  è Cristo! E
noi non lo ascoltiamo…. “ ( vincenzo calafiore)



La nostra civiltà, che possiede il controllo della tecnologia ed ha abbondantemente soddisfatto gran parte dei suoi bisogni elementari, ma anche quelli artificiali, quindi meno autentici, avverte, ormai da troppo tempo, che il proprio patrimonio intellettuale non ha più risposte buone e concrete da offrire.
E’ una civiltà che sta rischiando di farsi rubare il futuro da un malessere che a molti filosofi e sociologi piace definire < dell’anima >.
Non lo si può negare, ne far finta di non vedere, la decadenza si vede, si tocca, si manifesta continuamente e si trasforma in paure e indecisione permanente; è una civiltà che svenduta adora il vile < dio denaro>, rovinata dalle sue stesse bramosie di avere tutto di tutto.
La decadenza si vede, si tocca con mano, si manifesta continuamente in continue umiliazioni della verità che questo modello di società aborra.
A questo punto cosa, fare?
A che cosa possiamo ancorarci?
E soprattutto che cosa è rimasto come riferimento?
Se ci voltiamo un attimo a dare uno sguardo al nostro passato culturale, osserviamo che il Rinascimento è finito, l’illuminismo anche, il Romanticismo è diventato una corrente per pochissimi specialisti e, infine l’Umanesimo non è messo bene, così com’è, trascurato nell’insegnamento poco più che un vago ricordo.
E’ un dolore dentro che si fa portare senza dolore assistere al lento appassire delle coscienze, tanti come me avvertono che bisogna reagire, prendere in qualche maniera posizione, scrivendo “pezzi “ per far reagire le coscienze, per ricominciare a sperare in un nuovo Umanesimo.
Non occorrono nuove filosofie, grandi riforme, nuovi progetti, perché abbiamo tutto a portata di mano; è necessario imparare solo ad avere rispetto e riguardo dell’altro, di gettare via l’incoscienza-coscienza, di levare la maschera, ragionare per cercare di dare risposte, forse ripartendo da Blaise Pascal pensatore francese.
Pascal chiedeva all’uomo di credere in Dio: se lo avesse trovato, il suo premio sarebbe stato il paradiso, se non ci fosse stato avrebbe comunque vissuto bene, senza perdere alcunché.
Oggi a distanza di tanto tempo, forse tre secoli, quattro, visto il “ maraccio “ in cui siamo al nome di Dio si potrebbe sostituire Cristo. E perché?
Così accadde che alla fine dell’Impero romano, si fece la scelta di affidare al Cristianesimo il compito di traghettare la civiltà antica, oggi dobbiamo e non si dovrebbe, aggrapparci alla realtà più certa a nostra disposizione: Cristo.
Ricordando le parole di Benedetto Croce, del celebre saggio “ Perché non possiamo non dirci cristiani “, dà importanza al fatto che l’eredità di Cristo ha rappresentato una rivoluzione, dinanzi alla quale tutte le altre infinite scoperte dell’umanità sembrano limitate. La rivoluzione cristiana colpì essenzialmente l’anima dell’uomo e la cambiò radicalmente.
Il mondo antico scommise su Cristo e convertì i barbari, l’umanità sopravvisse attraverso la forza della nuova fede quando le legioni romane furono distrutte.
E tutto accadde più per istinto di sopravvivenza che per ordinato progetto. Dopo la caduta di Roma più che i singoli precetti del Cristo si sono realizzati quei valori che poi sono entrati in circolo nel sangue.
Vale a dire, l’uguaglianza, la giustizia per tutti, la non violenza, la libertà, la stessa democrazia. Sono gli stessi riferimenti che da molto tempo questo mondo moderno in crisi cerca e che sa che tutto non si può risolvere col denaro.