mercoledì 28 giugno 2017

donna-solitudine.jpgNon aver paura della solitudine

Di Vincenzo Calafiore
29 Giugno 2017 Udine

“ E’ possibile credere nel Progresso,
e non nel progresso materiale, ma morale degli uomini?
E insomma, è utile o vano lo sforzo per conoscere
Il Male e per contrapporre ad esso il Bene?
E da quali fonti si può attingere la forza per combattere il male,
e la speranza di far trionfare il Bene tra gli                 uomini, se non oggi,
in un futuro migliore? “


Quante volte a un certo momento viene ad aggredire la brutta sensazione di sentirsi soli e avere allo stesso tempo paura della solitudine?
La solitudine o della solitudine non bisogna avere paura, poiché è in essa che risiede il benessere e la serenità, la possibilità di ritrovarsi e fare conoscenza di se stessi.
Per tanti la solitudine è un fatto monocromatico, un qualcosa che non cambia mai di tonalità e quando ne avvertono la presenza o il sopraggiungere vengono colti dallo stesso sgomento che probabilmente proverebbero di fronte all’imminenza di un evento minaccioso.
Oggi in questo “ sistema idiota “ pur di non rimanere soli si ricorre a degli “ riempitivi “,  e ugualmente ci si sente soli perché è lo stesso sistema a causarla o volgarmente a produrla in abbondanza, tanto da fare ammalare o morire di solitudine in certi casi.
Per affrontare il grande senso di angoscia collegato a questa – sensazione -  si cerca compagnia nelle persone o in quei rumori di sottofondo atti a rompere l’opprimente silenzio, un programma televisivo qualsiasi, uno stereo acceso, una radio! Ma se invece di questi, tenessimo fra le mani un buon libro o ascoltare la voce dell’acqua scorrere?
In maniera diversa si comportano quegli individui che accolgono la solitudine di buon grado, con entusiasmo, viverla come un momento di grande spiritualità per esorcizzarla forse, per fare di essa strumento o situazione per rinascere dopo approfondita presa di coscienza, per capire quanto stupido e crudele sia quel contorno da cui sempre si vuole fuggire.
Ci sono anche gli “ Artisti dell’evitamento “ che vorrebbero cancellare le emozioni diluendole in una specie di anestetico attraverso l’isolamento forzato dai contatti e da un fare frenetico che li impegni in maniera totalizzante.
La più bella solitudine è quella di una spiaggia all’alba o al tramonto, accompagnata dalla voce o dal canto della risacca, questa solitudine forzata priva del colore e della musicalità che stanno nella socialità, nell’amore.
Costringe a giocare l’arte dell’evitamento ricorrendo a riempitivi buoni a coltivare l’illusione della vicinanza con persone che come loro sono alla ricerca di un antidoto all’angoscia o alla paura, terrore, di trovarsi soli.
Navigare senza meta con l’immaginazione, il sognare o il desiderare di trovarsi su un’isola deserta a contatto con il mare, sarà migliore del ricorrere a sostanze stupefacenti o chimiche che stordiscono e immergono l’individuo in un mondo di sensazioni allucinatorie ove la solitudine non può trovare alcuna collocazione.
In ogni caso sia che si adottino strategie inibitorie sia esibizionistica, le tipologie umane sono accomunate dallo stesso denominatore: la dipendenza.
La solitudine o la meravigliosa solitudine aiuta a prendere le dovute distanze dalla stupidità insistente di oggi, aiuta a entrare in contatto con se stessi per fare i conti con le proprie emozioni, valutare le proprie scelte.
Se ogni individuo, riuscisse ad interrogarsi sul perché non riesce a stare solo, potrebbe allargare l’orizzonte fino a chiedersi perché non sappia stare in armonia con gli altri … probabilmente osserverebbe che la responsabilità è anche di questo sistema di tutto e di tanto e di niente!
L’estraniazione non è solitudine. La solitudine richiede che si sia soli, mentre l’estraniazione si fa sentire più acutamente in compagnia di altri. Nella solitudine si può essere insieme con se stesso, perché l’umano ha la capacità di parlare con se stesso o di ascoltarsi. Nella solitudine in altre parole, sono con me stesso, mentre nell’estraniazione sono effettivamente abbandonato da me stesso e da tutti. La riflessione si svolge in solitudine ed è un gran dialogo fra me e me o fra me e Dio.  




martedì 27 giugno 2017

La noche flamenca

Di Vincenzo Calafiore
25 Giugno 2017 Udine                      
" Le chiavi di casa" dopo due anni di notti trascorse a scrivere finalmente è terminato. E non lo consegnerò a nessuno. In questo racconto si manifesta quello che è, e significa essere innamorato della donna come della vita con tutta la sua complessa drammaticità e la felicità momentanea; perchè nulla è durevole e anche l'amore a un certo momento se ne va lasciando lo sgradevole senso dell incompiuto. A voi quindi una delle pagine del capitolo finale, forse l'ultima, scritta al momento, proprio ora alle 21,30! Probabilmente qualcuno si riconoscerà ed è questa la forza del romanzo che me stesso lascia senza fiato costringendomi pure a ritornarci più volte nel giorno. " Le chiavi di casa" sarebbe stato un bellissimo libro da tenere sempre al seguito, ma non appartiene a questo mondo idiota e mai potrebbe trovare qui la sua giusta collocazione. Voi ne avete lette molte di queste pagine e ogni volta si sono animate le discussioni, per me era un buon segno, voleva dire che ciò che stavo scrivendo era, è, sarà sempre una vera, autentica, umana, maniera di manifestare quel " mare di dentro" che si chiama - Amore -                 

( da “ Le chiavi di casa “ )

Almeno questa notte lasciami sognare. Sognarti qui vicino a me in un letto grande che ci accoglie come una conchiglia dorata e da una finestra guardare il buio in cerca di ricordi che possano permetterci d’essere ancora nelle nostre memorie.
Se almeno fossi tu riuscissi ad essermi amica in questa notte che mi illude.
Mi pare a volte d’essermi perso nelle parole di una pagina, o essere così distinte da non essere da te raggiunto, eppure sono qui come ogni notte a sognare di incontrarti per avere in dietro la mia vita.
E’ di un baratto che si tratta, è quello che ti sto proponendo.
Io non posso e non voglio esistere solo perché tu lo decida, io voglio essere perché io sono.
E non importa se dovrò cancellare il tuo volto come fosse su una lavagna,
non mi importa se poi sarò costretto a ridisegnarlo per non farti morire nel nulla che ora è in te.
Se tu sapessi cosa veramente significhi amare, almeno avresti un sorriso o una carezza, un bacio e invece sempre più rassomigli a un pezzo di granito, buono per una piramide che da dentro col suo peso ti trascina sempre più giù.
Sei così distante, così diversa, così impenetrabile.
Sei come una notte che non rilascia sogni, ne tracce di se.
Vorrei avere il coraggio di spedirti all’inferno e fartelo provare l’inferno in cui tu col tuo essere mi ci hai spedito!
Ma in questa notte così limpida e serena mi piace immaginare che tu sei qui con me e poterti avere nuda con tutta la tua anima, contare tutte le stelle disegnate sulla tua pelle dorata; averti qui su di me e sentire il tuo cuore battere mentre bacio le tue labbra vellutate d’orchidea.
Nuda e morbida come la notte, come una danzatrice di flamenco ti muovi cambiando continuamente sembianze, tanto da confondermi.
Sei solo illusione, immaginazione che il mio desiderio origina tutte le notti, come un’impronta che rimane sulla pelle per farti ricordare poi nella luce che dinapa ogni mia incertezza te ne vai con la tua deriva chissà forse fino al prossimo sogno.
Di giorno ti odio e di notte ti amo!
Mi chiedo dove sia il senso di questo amore che è solo mio.
Vorrei ricordarti in questa alba profumata di nespolo, inebriante, circoscritta nella sua brevità, mentre tu persa nel mar tuo dei sargassi, asnappi tendendo le mani ad altre mani.
Almeno sapessi come fare a trattenerti!
Giunge da lontano un vento caldo che conosco, un vento secco che si porta via ogni desiderio,
non è che arresa, e desiderio di serenità, di pace interiore, e quasi assieme a tutto pian piano svanisce l’immagine tua per cui un tempo non lontano per averti avrei dato la vita.
Io ti sento nelle vene e sono sempre innamorato con tutta la passione del mondo!
E scorri così profondamente nelle mie vene che non posso fare a meno di te e questo mi fa equilibrista che sospeso su un niente tenta di ricucire la notte purchè tu rimanga in quelle tracce da decifrare!


La memoria del sangue

Di Vincenzo Calafiore
22 Giugno 2017 Udine

 nessuna cosa finisce, quindi sorridi
perché è già accaduta e riaccade, come l’Amore… “
                      Vincenzo Calafiore


Tutti i meriggi alla stessa ora si sentiva il treno sferragliare lungo la prateria arsa dal sole e si correva per vederlo sparire nella galleria stretta come un budello, senza mai riuscirci perché una volta giunti in cima alla collina potevamo vedere solo gli asini all’ombra degli alti eucalipti o di frondosi carrubi.
Lei , Claudia, che chiamavamo “ lenticchia “ per via delle lentiggini che correvano da una parte all’altra del viso sormontando il naso; portava i capelli raccolti in due trecce bionde come le spighe di grano.
Era l’unica bambina del nostro gruppo e tutti o quasi tutti eravamo innamorati di lei!
D’estate il sole bruciava così forte che anche agli asini mettevano un cappello di paglia bucato per  le orecchie; tutto si rallentava e c’era tanto silenzio che si potevano udire le mosche ronzare, oltre che al piccolo ruscello che incuneato tra due colline correva dritto fino a sparire sottoterra, era lì che noi ragazzi trovavamo refrigerio facendo il bagno in mutande.
Che cosa fantastica la vita allora…
<< Che ci fai ancora qui, in questo buco di paese?>> disse Claudia, in piedi davanti al letto.
<< Che ci fai tu, io non me ne sono mai andato, che sei tornata a fare?>>
<< Per una vacanza, poi torno ad andare via. Qui è rimasto tutto uguale come l’ho lasciato tanti anni fa, è uguale tutto come a prima, l’abbeveratoio in cui facevamo i bagni, la piazzetta. Alcuni sono andati via come me, ma tu no! Sei rimasto qui, in questo buco paese sperduto tra i monti. >>
<< Si, sono rimasto qui con la Claudia che ho amato e che ha preferito andar via, invece di restare… >>
Dalle persiane socchiuse entra la brezza che risalendo dal mare, gonfia le tende come fossero vele, lei, si siede a bordo del letto e comincia a sbottonare la camicia, poi si alza e si leva la sua maglietta bianca e torna a sdraiarsi al mio fianco.
Al tramonto fanno ritorno le giumente e gli asini dai campi e come sempre si fermano all’abbeveratoio prima di andare nelle stalle, nell’aria il frinire delle cicale, lei fuma seduta sul davanzale della finestra.
<< E’ stato bello ritornare tra le tue braccia, tutto come prima, mai dimenticato. E’ la memoria del sangue, la memoria di quanto sei in me, ecco perché sono tornata in questo buco di paese..>>
Il cielo trapuntato di stelle così vicine da poter essere toccate con le mani, le nostre mani che si cercano in un incanto che scendendo dal cielo fa sì che la memoria si riaccenda e tornano in mente i primi baci dietro un fienile o in mezzo a un campo di grano mietuto.
Torna l’età delle corse in riva al ruscello ove il più delle volte attendevamo la sera, lo facevamo e l’abbiamo fatto fino a quando non decise di lasciare tutto per un pugno di menzogne.
La vita è qui, in questo buco di paese, come lei lo ha chiamato, ma è qui che l’ho amata ora come ieri.
<< Adesso che fai, come tutti gli altri, finite le vacanze tornerai a partire? >>
<< No, non partirò, resterò qui in questo paese sulla cresta di un monte, resterò per sempre..>>
Dal letto abbiamo guardato la porzione di cielo dentro una finestra, senza dirci una parola, sentendo la brezza che dal mare porta la salsedine; l’alba ci trova abbracciati come è successo tanti anni fa, quando eravamo come adesso, infiniti!
In questo buco di paese sulla cresta di un monte che da sempre sfida il cielo; come non fosse mai andata via, lei si alza e torna con il caffè che solo lei sa fare a quella maniera; la prima sigaretta.
Poi si vestì e davanti allo specchio mi disse:

<< Vado in posta a spedire un telegramma! >> 
La danzatrice sull’acqua

Di Vincenzo Calafiore
21Giugno2017 Udine
( 100 pagine in una)

“ amare una donna è averla nella memoria
del sangue… “
                                   Vincenzo Calafiore


Era da tempo che il mare non si vestiva così, con quel vestito sfavillante andava incontro alla notte che come una sposa l’attendeva appena a ridosso dell’orizzonte.
Andavo su quella spiaggia senza una meta precisa, in cerca di qualcosa o di fare qualche incontro fortunato che potesse in qualche maniera farmi dimenticare la prigionia a cui da anni ormai  la mia “ danzatrice sull’acqua “ mi aveva relegato.
Fu proprio in una serata come questa di tanti anni prima che feci la sua conoscenza, su questa stessa spiaggia; era là seduta su un asciugamano a leggere un libro. Tornavo con i miei amici dalla pesca e prima che la barca andasse ad arenarsi ci tuffammo in acqua anche per rinfrescarci.
Lei seguì la scena nascosta dietro gli occhiali da sole, senza scomporsi, era come se neanche si trovasse lì.
Quanti anni.
Assieme, io che da sempre ho amato Jaques Prevert, recitai le sue poesie come un artista di strada, lei ballerina dell’Opera.
Questo amore
Così violento
Così fragile
Così tenero
Così disperato
Questo amore
Bello come il giorno….”
La brezza della notte disegnava la pelle dei nostri corpi dopo l’amore, con gli occhi chiusi e bocche dischiuse, labbra su labbra e mani che cercandosi stringevano e accarezzavano i sogni che passando lasciavano qualcosa che alla luce del giorno trovavamo tra le pieghe di lenzuola ancora umidi.
In punta di piedi entra ed esce di scena da danzatrice sull’acqua mentre la mia vita sempre più diventava sua per questo Amore così bello, così tenero.
Se solo io sapessi come lei in punta di piedi danzare sull’acqua, ai suoi occhi, al suo cuore avrei svelato e recitato da dietro un sipario quanto amore c’era nelle nostri mani e negli occhi socchiusi.
Ma l’Amore dura solo un giorno, e come un fiore se ne va lontano portato dal vento e non rimane niente, non restano neanche le parole.
Ah, questa solitudine! Quest’opera incompiuta che di notte torna in tutta la sua ampiezza e col peso degli anni che ancor mi vedono nelle piazze, agli angoli di strade portare in scena Prevert con la sua poesia.
Tornare al mare per amare.
E’ una scena che si ripete con attimi diversi, ma il mare è lì, sempre uguale col suo fascino, con la sua guerra, i suoi morti.
Ritorno a lasciare impronte sulla stessa spiaggia e la ritrovo la mia danzatrice sull’acqua, quando in punta di piedi danzava sul mio cuore.
Con la pelle disegnata da una brezza che la riporta e mi fa pensare a questo amore così bello, così tenero, così disperato così fragile! Come ali di farfalla, leggeri vanno gli anni lontano ed io sempre più fermo a guardare il mare e mi par di vederla ancor danzare sull’acqua nell’eternità, di questo amore ancora mio nella memoria del sangue.





Il mare dentro
Di Vincenzo Calafiore
24 Giugno 2017Trieste

Come si fa a rimanere lontano da te?
Te lo dicevo sempre in quel silenzio smorzato dalla fioca luce di candele sparse per la stanza, e tu ti facevi piccola stringendoti al mio petto, mentre con le dita contornavi le mie labbra come a volermi portare via la voce per avere baci.
Ti ricordi?
Dopo cena con qualsiasi tempo andavamo a fare la nostra passeggiata sulla spiaggia che ci vide da piccoli a fare castelli di sabbia che il mare di notte portava via.
Noi che pensavamo e speravamo d’essere rapiti da un sogno alla fine lo siamo stati davvero, il nostro sogno l’unico e il più bello si è avverato nelle nostre distanze.
Ma la vita gioca d’inganno,  illude di  far vincere una partita già persa, e tu come una farfalla sei volata via, troppo fragile per questo mondo d’acciaio e cifre, di troppo silenzio pieno di parole inutili.
Così sono rimasto come figura attorta, tormentata, le cui linee spigolose da cui spiccano occhi penetrati, ineludibili, in uno scenario che non mi appartiene, di inganni che attraggono e sgomentano allo stesso tempo, occupano lo spazio in modo perentorio che prima era mio. Ora in questo tempo disegnato sul volto che racconta dell’anima nei suoi angoli bui, inquieti, dolorosi ti sogno come mezza primavera raggrumata attorno agli occhi.
Allora che fare della mia vita?
Dove sta il suo senso?
Sono domande che come preghiera si levano alte, non per chiedere né per dare, ma per portare lassù le mie parole mute, i miei desideri spenti.
E’ che io ti cerco, ti cerco nell’acqua che corre veloce,
nella bruma del mattino, nei miei consigli a porte chiuse, nelle chiese abbandonate e piene di anime vuote che pregano un Dio che neanche le sta ad ascoltare; non è di queste che necessita lui vuole solo che ali di farfalle ed io spero che tu stia volando attorno a lui.
Se questo amore ancora è qui è perché tu vuoi che sia così, lo sai che lasciandomi io sarei capace di perdermi, con te quelle salite della vita erano pianure ora le pianure sono delle montagne insormontabili, ecco perché sono più pensiero che parole, ecco perché vivo dentro un specchio come ombra, come riflesso di una farfalla sgusciata di mano.
Se mi vedessi… fra tante figure di drammatica seduzione, di altissima fascinazione e provocazione erotica sia pure nelle pose spezzate, asimmetriche, contorte…. Sarebbe la fine della nostra lunga storia d’amore.
Ma la verità sta nelle fondamenta dei mondi, il mio e il tuo, che cominciano a vacillare dinanzi al necessario di porre fine a questa mia folle corsa su strade lucide ove incontro corpi e volti scavati dal nulla.
Tutto torna anche in maniera cruda e crudele attraverso immagini reali o oniriche, portato da profumi, odori, esperienze di relazione, che rinforzano il carico della sofferenza, rendono sempre più urgente l’esortazione inascoltata di librarmi come una farfalla, e devo comprendere, e spiegarmi che cosa devo fare con le mie matite!


Di Vincenzo Calafiore
18 Giugno 2017 Trieste

 non ci sono parole, ne certezze,
è amore. S’impara a tacerlo con gli anni anche se ne parliamo senza occhi, senza anima.
Amare è come nascere senza parole e con tutte le parole a volte dopo averle distrutte ce ne andiamo, in silenzio senza più cuore, sempre più aridi.
E tuttavia, nonostante amare significhi vivere, esiste un silenzio più grande tanto da giustificare tutti i silenzi “

E’ su tutte le bocche di questa umanità la parola “ felicità “  la si pronuncia più per abitudine, ma di questa felicità in verità non ne conosciamo il volto, ne sappiamo la sua origine ne la sua destinazione.
Se ne fa un largo uso più o meno appropriato.
La felicità più grande consiste nell’accettare i confini e i limiti della nostra esistenza; dunque parlarne è perfino molto difficile dato che il “ concetto” di felicità è personale e soggettivo ed è difficile comprendere dove finisce la felicità ed inizia l’infelicità.
Ma la vita purtroppo avara com’è nel farcela provare che subito la leva, vuoi per un lutto, vuoi perché l’amore che senti non è corrisposto o che la persona che si ama ci lascia, e con gli esempi si potrebbe continuare all’infinito.
Occorre anche rendersi conto che la felicità è solo un “ momento” per questo viverlo intensamente attraversando pure il dolore fino in fondo per ritornare poi alla felicità personale che ci appartiene tutta anziché affidarla a cose esterne.
La virtù dell’uomo è ciò che fa si che l’anima sia buona, è conoscenza, la privazione della conoscenza è ignoranza. Con questo Socrate opera una rivoluzione dei valori, si tratta dei valori dell’anima.
La manifestazione più importante della ragione umana si esplica in quello che Socrate definisce autodominio, ovvero il dominio di sé nello stato di piacere, in sostanza si afferma il dominio della propria razionalità sulla animalità, in sostanza l’uomo è libero solo se riesce a dominare i suoi istinti.
Dunque la felicità “forse” non potrà venire dalle cose esteriori o cosiddetta esteriorità, ma solamente dal profondo dell’anima.
L’anima è felice quando ama ed è amata!
Si tratta di spiritualità, di armonia interiore… La felicità è una vibrazione interiore, è un vedere negli occhi degli altri, è una sbornia dell’anima.
Risiede in quelle cose che sono vere, che ci fanno stare bene e contemporaneamente ci separano da tutta quella materialità che purtroppo ci circonda e domina.
Ma è anche incontro, abbraccio, bacio, stretta di mano o pianto, la consapevolezza di vivere appieno ciò che l’animo al momento dona; è amare una persona, è donazione.
E’ “ profumo” , profumo di donna, profumo del mattino respirato profondamente a occhi chiusi e sentirsi inebriati, è un abito indossato.
La felicità è sogno, un sogno da raggiungere, da trattenere, da non lasciarselo sgusciare dalle mani.
E’ avere freddo anche quando non fa freddo!
L’unica arma di cui si dispone quindi è la ragione d’essere, fare uso della ragione per eliminare la violenza in tutte le sue forme perché è una cosa blasfema e scellerata…
La felicità? È la felicità dei forti, quella che afferra e si lascia afferrare dalla scaturigine della vita stessa, che gode di tutto, che ama generosamente, magnanimamente, senza ritorno e compromesso, quella che vive profonda, calma e ardente in un io unito che nulla può abbattere. "La felicità, quella aperta e ridente, alla cui luce gli occhi degli sconosciuti si accendono e i volti ostili divengono cortesi, non è compatibile con l'invidia, dal cui sguardo spettrale e dalla cui timida andatura rifugge tutto ciò che è umano" (Nietzsche) .







E’ un lungo percorso il rivivere e dissolvere il vissuto di ieri


Di Vincenzo Calafiore
28 Giugno 2017 Udine

Il più delle volte il passato o vissuto
che sia torna e tutto cambia.
Ma se solo si riuscisse a farne parole
la vita torna come un campo a riempirsi
di fiori. “
           Vincenzo Calafiore


Quando le parole riescono le grate della prigione in cui la sofferenza intima caccia, questa, lascia gli antri bui e profondi dell’animo, consentendo ai ricordi di emergere con tutto il loro carico di sensazioni e emozioni che il tempo non ha mutato, ma semplicemente custodito.
Così luci e ombre del passato rivivono, di un’età dolce e amara allo stesso tempo che riesce ancora a parlare attraverso le immagini che sovrapponendosi si distinguono e si alternano; proprio come accade in un sogno, che ci trovano al risveglio assieme ai nodi irrisolti della propria esistenza.
Difficile la riconciliazione con il tempo se si guarda all’adolescenza, alla gioventù, alla ricerca degli affetti perduti. E ciò alla fine per ritrovare la parte di se smarrita, perduta assieme alla persona più amata.
Il passato o vissuto ritorna, e il più delle volte in maniera crudele modificando la maniera di vivere senza poterla appieno goderla, vivendo da insoddisfatti; ritorna attraverso immagini oniriche, portato da certi odori, atmosfere, esperienze subite e mai dimenticate, che rinforzano il carico di sofferenza rendendo sempre più l’urgenza di elaborare, comprendere e spiegare per poter finalmente superare.
Ma il passato rivive talvolta in maniera tangibile, anche attraverso lunghissimi “ processi” di identificazione con certi individui “ specchio” ( soggetti che hanno vissuto momenti simili, esperienze simili, contesti simili ).
Diventa allora difficile dipanare le ombre del passato, distogliere lo sguardo dalla finestra da cui lo si guarda … il dolore di un tempo è lì sotto gli occhi pronto a essere consumato senza essere compreso.
Ci vorrebbe un’occasione per riprendersi la vita! , per non rimanere preda della rabbia, dalla solitudine, dall’angoscia, dalle paure.
Riappropriarsi della vita però ha bisogno di larghi spazi di confronto e di auto espressione, partecipando agli altri la propria emotività ferita o vinta dal dolore, ancora sofferente, ma più ricca di empatia.
Qualità che permetterà di presentarsi alla vita con un bagaglio completo.
Dunque un’anima segnata dalla perdita, dalle angosce, dalle ripetute ricadute e la sempre presente speranza di rinascita che quasi sempre riesce a metà.
Dunque il rituale dell’autolesionismo che si ripete o consumato nelle notti bianche, una specie di segreto che vuole essere scoperto per parlare e gridare al mondo tutta la paura e la rabbia che contiene.
In ogni caso non c’è ferita del corpo che possa essere più grande di quella dell’anima, dilaniata dalla mancanza di un amore.
L’amore urgente è qualcosa che risiede dentro, di notte nelle costruzioni confuse dei sogni; pensare quindi all’amore è conforto che riesce a penetrare nell’anima per placarne paure e incertezze.
Così il dolore riletto, interpretato e rivissuto attraverso la presenza specchio viene affrontato senza mezze misure dalla sensibilità.
Ed è grazie all’amore che si comincia a rifiutare di recitare quella vita da burattini, da oggetti senza coscienza e senza anima, così come vorrebbe l’invisibile burattinaio. Fino a diventare esso stesso burattino, in un mondo dove i veleni della cupidigia hanno cancellato ogni umanita!

“ Carpe diem “ !

sabato 17 giugno 2017

Dimmi come fai

Di Vincenzo Calafiore
17 Giugno 2017 Udine
A quest’ora di notte, che si avvia piano verso l’alba c’è la necessità pare, di pensare.
E’ una notte senza respiro, che si aggira attorno a un pensiero non del tutto definito, che custodisce in se il disaggio che ha in se l’incongruenza.
E’ un pensare ad una felicità dalle diverse sfaccettature che nelle sue diverse forme di farsi avvertire a volte è ombra di se stessa o una quasi percettibile presenza nell’animo.
E’ difficile di per se già il cercare d’esserlo felice, immaginarla poi a pieno anche come presenza fisica, come fosse una donna ….  Che disastro.
A volte la sensazione d’essere felice è così forte che mi leva il respiro e quasi un sentirmi aquilone, mentre altro non sono che un passeraccio in cerca di briciole nell’aridità quotidiana ove tutto è centellinato e scandito il tempo da ritmo che concede poco.
E’ un imbattersi nella continua ipocrita “ apparenza “ invece dell’ “ essere “ quel verbo assai difficile da coniugare o solo immaginare di “ essere”, esistere, in questo pandemonio di diversa incertezza.
La felicità dunque  “ One- Way “  è una parvenza, un’arrampicata ad un palo della cuccagna!
Difficile da raggiungere in questa notte piccola come una noce, dal gusto amaro del vecchio, dello stantio.
Fa paura la sua aridità.
Indecifrabile il linguaggio, l’assurdo impegno ad alzare muri alti a difesa di un’esistenza scialba e profana.
Intanto il tempo continua silenziosamente a scivolare nelle sue stesse dissolvenze, e ogni mattino diviene quasi un cerimoniale lo scoprire in tutta la pochezza l’incongruente esistenza; la voglia di fuggire verso un altrove inesistente o immaginario suffragato dalla propria intima convinzione che così “ essere “, esistere, sia la cosa migliore o l’aspetto migliore, quando in realtà altro non è che un “ niente “.
Una vita così non vale proprio niente.
Non è possibile un’esistenza senza amore.
Quello che manca a questa notte è l’amore, ma è il talamo ove ci si sdraia ogni notte sempre più distante, sempre più dall’esserlo.
All’alba quando il polmone comincerà a respirare, tutto appare completamente diverso, come quasi a non riconoscersi più, come a non sapere se ho dormito o sono rimasto sveglio ad interpretare la notte o solamente l’averla attraversata come funambolo o vissuta come un  saltimbanco, giocoliere.
La verità sta nel mio “ essere”, lo so d’essere di poche parole, di vivere da estraneo in questa corte di allocchi, in cui si avvicendano solo che comparse almeno ci fosse un attore vero in grado di recitare e interpretare la parte che più piace, la parte più intima, come fosse sempre un esordio.
Mi basterebbe una penna e un foglio di carta per disegnarmi e descrivere la vita che voglio, ma in questa notte bugiarda non trovo l’occorrente per poterlo fare, ma non c’è neanche il desiderio.

Forse è di te che mi sono stancato ed è forse il desiderio di spedirti all’inferno… intanto sta facendo capolino all’orizzonte l’alba e tu notte portoricana ti ritrai come un sipario dentro una scomparsa e lì resterai dominata, rinchiusa come talpa fino a quando la luce ti concederà la possibilità dell’ultimo valzer.

mercoledì 14 giugno 2017

Il sogno, luogo dell’anima

Di Vincenzo Calafiore
15 Giugno2017 Udine

se ami una donna, devi amarla come la musica
conoscere le note, gli accordi… farne uno spartito
e non importano le parole ma che sia una bella melodia.. “

( 100 pagine in una )

Saperti da qualche parte della mia notte e non poterti raggiungere,
sentire nell’aria il tuo profumo diffuso e non sapere da quale parte andare per trovarti per raccontarti di me, della solitudine dentro una conchiglia, del silenzio di albe mute.
A volte credo che tu non esista o che sei un luogo dell’anima, a cui voglio sempre andare.
E’ di sogno che si tratta come l’Amore, che è sogno e come tale rimane addosso.
L’Amore che leva il sonno e regala sprazzi di cielo sereno.
Amarti è  un sogno ricorrente di tutte le notti.
Non è una questione sessuale, assolutamente no; semmai questo sarà la parte conclusiva l’unione di due corpi come fosse una lunga promessa d’amore che si rinnova.
Ma è la felicità di baciare e di accarezzare, avvertire il contorno delle labbra che s’increspano come fosse mare, chiudere gli occhi e lasciarsi andare fino in fondo, fino al luogo dell’anima.
E non solo, rimanere a letto con  te anche solo per parlare è già di per se un gran bel sogno, sentirti fremere e vibrare è come sentire il vento nei canneti…
Ma io non sono più qui, da troppo tempo ormai agonizzo per una malattia mal conosciuta e che non si sa curare. Mi hanno rimesso assieme i pezzi per sopravvivere e questo è, mi assicurano una grande fortuna.
Ma loro, gli altri prigionieri come me, gli altri morti  vivi?
Quelli che ho incontrato nelle mie solitarie traversate dell’anima, nei sogni distrutti, negli amori mancati?
Quelli che mi hanno incantato, quelli che mi hanno lasciato, gli umiliati anni di una rivoluzione mancata e che del tutto facilmente mi hanno già tradito?
Quei sogni perduti, quelli che spariscono per sempre, quelli che non saranno mai un luogo dell’anima?
Quelli dei nuovi profeti o dei nuovi Vel d’Hiv e delle Dacau moderne?
Ogni notte lotto contro la mia malattia che mi leva le parole, della mia condizione nella quale e contro la quale vivo e scrivo.
Spero un giorno che si possa incontrarci io e te e ti narrerò di me, non per il piacere di raccontare, ma perché l’amore  non si deve dimenticare.
Mi piacerebbe che tu leggessi dagli occhi miei le mie favole, anzi vorrei proprio che li leggessi.
Spiegarti che io non sono uno scrittore di professione, che a volte la mia fantasia non riesce a trovare una grammatica, spiegarti che io sono sempre vissuto ai bordi di strade, nelle piazze, che come sogni al mattino si dissolvono nella brevità del battere di ciglia. Che ho sempre vissuto nelle galere e qui ho incontrato migliaia e migliaia di persone dalle quale ho appreso cose meravigliose, amore meraviglioso che mi sono portato dentro e che ho e continuo a raccontare a quelli con cui mi trovo bene, a te che ti amo; storie meravigliose che ho cominciato a scrivere durante i lunghi anni di isolamento totale nel corso della mia lunga detenzione in questa moderna Dacau.
Ho voluto scrivere perché era un modo mio per essere ancora insieme alla mia solitudine, un modo per ricongiungermi con te, con i miei morti, donne, vecchi, barboni, artisti di strada, mendicanti, pazzi, che come me sapendo amare vorrebbero amare.
Dentro questa condizione, contro questa condizione.


sabato 10 giugno 2017

FIESTA DAI NONOS
( Festa dei nonni )

Di Vincenzo Calafiore
Prato Carnico 10 Giugno 1017

Udine, 11 Giugno 2017

“ … sono stato anch’io un bambino
e ho visto di mio nonno. Ora ho visto crescere  te, sapendo che un giorno ti lascerò prima degli altri. Spero che tu mi ami tanto come io ho amato te! “
                                                                                                                                 Vincenzo Calafiore


Fiesta dai Nonos.

L’Associazione Turistica Pro “ Val Pesarina” in collaborazione con  il Comune di Prato Carnico e con la collaborazione di Claudio Demuro, anche quest’anno come gli anni precedenti ha organizzato la “ Fiesta dai Nonos” della Val Pesarina presso il Palazzetto Fuina, della omonima località.
La festa ha luogo in concomitanza con la chiusura dell’anno scolastico degli alunni della Scuola Primaria di Prato Carnico, che in questa occasione come per ringraziare e salutare i nonni  e intrattenerli con giochi e canti.
Nella palestra che accoglie i nonni,  i tavoli sono disposti su tre file, a sedere gli uni fronte gli altri, tavoli allestiti con cura in ogni dettaglio; alle 11,00 celebrazione della Santa.
Da il benvenuto ai tanti nonni e alle nonne intervenuti, il Presidente della Proloco “ Val Pesarina “ Signor Piva Antonio che apre di fatto la manifestazione, interviene in vece del Sindaco Signor Solari Verio, assente per impegni sopraggiunti, la Vice Sindaco, Signora Gonano Erica.
Il brusio dei ciao e dei come stai, viene sopraffatto dalle note delle fisarmoniche suonate abilmente da Simone Micoli e Giulio D’Andrea che hanno eseguiti brani indimenticabili della tradizione di montagna.
Mi intrattengo con alcuni di loro mentre consumano il pasto preparato  dalle cuoche della Scuola,  ed è come sfogliare un album di foto e ricordi, uomini e donne ancora coi loro valori, principi, che ricordano tutto e sanno tutto della montagna, del paese, come la Olga Gonano di 93 anni portati bene.
Uno di loro seduto al mio fianco, mi confida: << … io alla morte ci penso sempre, e ogni sera prima di addormentarmi mi chiedo se domattina rivedrò la mia Valle, se riuscirò a vedere il merlo che viene a mangiare o il gatto sdraiato a ridosso di un muro scaldato dal sole… >>
<< Pure io, ci penso… >> Rispondo.
Passa davanti Franco Casali che fa foto ricordo, come a noi anche a tutti i presenti.
Dalla porta d’ingresso fa capolino la testa di un bambino, e poi un’altra, alla fine la palestra viene invasa dall’allegria dei piccoli, ora la festa è davvero iniziata.






giovedì 8 giugno 2017

E…. ti penso

Di Vincenzo Calafiore
9 Giugno2017 Trieste
“ da Le chiavi di casa”

E comunque così, succede ogni notte penso di essere in un sogno ove c’è sempre qualcuno con cui parlare, a cui raccontare quella vita che un po’ si vuole scordare, o di una vita da trovare o da ricercare tra le pieghe di una memoria che come una marea a volte vomita parti di vissuto.
Ma sono ormai un attore stanco, stanco di calpestare lo stesso tavolaccio che scricchiola sotto il peso e la misura dei passi. Non mi va più di recitare la mia buona parte che da istrione che sono ho incantato platee e ricevute rose rosse lanciate da mani sconosciute dal buio, mani che avrebbero potuto donare da sconosciuto a sconosciuto un qualcosa di rassomigliante a quella vita inseguita su tutti i mari, da un punto all’altro dell’anima, sprofondata nel liquame rigoglioso dei tanti addii o di arrivederci accartocciati su labbra contorte dalla smorfia di un sorriso.
Ormai a questa età avara e deserta, spicciola e frettolosa come una sera d’inverno c’è poca immaginazione, poca la forza nelle mani dalle quali scivola spesso il remo e si arresta la corsa;
quanto ancora potrò vivere, ancora ventanni?, o qualcosa in più? Ma poi morirò e con me moriranno le persone che ho amato, i miei disuguali, le mie incertezze, la sfrenata gioventù consumatosi sulle ginocchia, portata poi sulle spalle come fosse uno zaino a cui andare ad attingere frammenti di vita.
Succede ogni notte nella quale mi racconto e posso udire lontani battiti di cuori emozionati o di quelli annegati nelle distanze in cui mi sono perso senza fare più ritorno!
Ma so ancora amare e questo “ Lei “ la notte me lo ripete sempre, così mi ritrovo tra le sue braccia di sandalo, a volte di zagara, salmastre. Braccia che mi tengono stretto ad un seno infinito di vita.
E… ti penso dolce e serena quando guardandomi mi chiedi se ti amo ancora!
Ti penso in questa notte di un giugno di spiagge assolate lontane, ti penso nei miei occhi che ti vestono e ti svestono, più che mai odio le mie mani che sanno solo scrivere e non disegnarti per continuare ad immaginare o di fermare una sola tua espressione.
Non ho mai amato così e mentre lo dico fermo su una pagina l’emozione di un pensiero che racconta di te.
Sei così,  già mio racconto personale di notti bianche e sogni a mezz’aria, di parole sospese in attesa del cuore, ho le mani di fuoco in questo mio primo pensiero quando ti sento vicina, così vicina da bruciare nel continuo scrosciar di desideri ad alleviare le ferite.
Sei qui, rintanata sopra l’alto ramo della vita ed è quasi poesia o fantastica realtà, come elfo di notte ti muovi e sai essere testarda e chissà se un giorno sarà l’istinto o il controllo a salvarti dalle mie braccia.
Ti penso e vedo in te il timore di te stessa di perdere il controllo, la tua imprevedibilità come quando vuoi essere baciata i tuoi occhi hanno una luce diversa.
Vorrei averti già bruciata in un talamo di seta e continuare a farlo fino a quando le mie mani saprebbero tenerti.










mercoledì 7 giugno 2017

Vivir,vivere

Di Vincenzo Calafiore
8 Giugno2017 Trieste

“ Se vuoi capire una donna
non ascoltare le sue parole, ma
perditi nei suoi occhi ! “
            Vincenzo Calafiore


Succede di notte, in un mare aperto ai confini di Oriente e Occidente, è in questo mare che vengono a prendermi certe emozioni, succede di notte di sognarti e trovarmi là dove più voglio essere.
Averti qui tra le mie braccia stretta dai miei anni che hanno fretta di conoscerti, impararti a memoria sfogliandoti come un libro, o come un portolano su cui da tempo ormai annoto ciò che rimane quando come una barca ho un sussulto o brivido che ripercuote tutta la carena.
Se solo tu sapessi come un vento di maestrale gonfi le vele e mi fai volare a pelo d’acqua, poi all’improvviso si svuotano, si gonfiano al contrario e torna la paura, non è solo un cambio di emozione, è molto di più: è sentirti dentro.
Le stelle improvvisamente ardono dilatano il soffitto come una trasfigurazione, giunge il desiderio  e tutto si scompagina, si sbriciolano i timori, cadono i veli ai venti d’una dolce sessualità come fosse un approccio alla vita, alla conquista del tempo, come una barca sbando ubriaco di felicità.
L’aria della stanza diventa di montagna, ma rovente, secca come il Foehn.
Si accentua il tuo profumo di donna, gli occhi si dilatano mentre arresa ti offri prigioniera d’una beltà infinita.
Ecco perché ogni notte è diversa dall’altra, di giorno è come essere nell’aria desertica dell’Oriente, la stessa degli altopiani afghani o del Turkestan cinese, distanti l’uno dall’altra dieci fusi orari di un mondo che si vorrebbe fosse e invece precipita raccolto in un ciao.
Desideri che piombano addosso nella notte!
A salvarmi è la mia astronave a remi con la quale posso raggiungerti o andar via da te.
Dopo una notte così non sono più lo stesso, le mie idee sulla vita e la morte cambiano. Due, tre nodi, sono un’andatura esasperante per un uomo come me che t’ama e vuole raggiungerti, e lentamente questa lentezza mi possiede.
Mi invade d’immenso, taciturno e incomunicabile, non sono più nessuno come individuo.
Sono solo un uomo che ti ama che a milioni sono passati per questo mare.
Penso agli anni inutili perduti a cercarti in cui mi sono mosso come emigrante, pellegrino,soldato, illegale, contrabbandiere.
Allora, quasi vicino all’alba capisco le leggende, conosco le voci, le ombre, l’amore, i desideri che ritornano più forti di prima.
Guardarti o rimanerti vicino è come ristabilire il naturale nesso fra il tempo e lo spazio…. in cui mi sperdo quando sei qui, con me.
Fiuto il profumo delle grandi praterie ustionate dal sole, gelsomini, della zagara, se appena sfioro la tua pelle.
Ma se vai via è come accadde a Bagdad migliaia di anni fa, quando qualcuno guardò a Occidente e disse “ Erebu “  Terra del tramonto, il mio tramonto, la mia solitudine, il mio silenzio come una barca arenata che aspetta la prossima marea.
Questo è amarti.


domenica 4 giugno 2017





Come una ballerina

Di Vincenzo Calafiore

Amare è come parlare in silenzio. È dire molte cose, senza dire una parola” calafiore


Sembravi con quel vestitino bianco e nero, una delle bamboline di Lear che entrano ed escono di scena in punta di piedi, come libellula ti muovevi con grazia davanti ai miei occhi che a seguirti si perdono in un immaginario “probabile” ove la cosa più bella è o sarà poterti guardare con sguardo indiscreto come a levarti peso e permetterti di librarti nell'aria.
Ma questo chissà se mai accadrà intanto che il tempo a entrambi sfugge di mano; fossi capace ti trasferirei su una tela, o peccato non averti fatto una foto quel giorno e portarti sempre con me.
Come una bambolina ti muovi nella mia vita, senza lasciarmi scampo, senza fiato, vai e vieni quando e come tu vuoi, tanto sicura sei di trovarmi lì ad attenderti!
Questo è amore.
E' quell'amore che non ha mai fine,
è lo stesso legame che hanno riva e mare o gabbiano e mare.
In quale misura si potrà dare amore e ricevere amore?
Lo faccio ogni giorno, quando divento mare che muore e rinasce sulla riva
di notte nei miei sogni o immaginazioni in cui mi perdo in quel tuo sorriso, o nei tuoi occhi di falco dolci e superbi allo stesso tempo; nel tuo profilo greco....!
Se solo tu sapessi quanto il mio cuore ti vuole e vorrebbe tenerti a se, tu volteggiando come bambolina mi prenderesti per mano o mi porteresti là dove tu vuoi:
Amami Lola!





Tu, di me
( … u nostru mari )
di Vincenzo Calafiore
4Giugno2017Udine

“ … se pensi ai suoi occhi smarginati
pensi al mare, occhi che sanno come condurti
là dove il tuo cuore vuole starci sempre... è profumo
di vita, profumo di donna! “

Era già nell'aria il ritorno, fin'ora è stato solo che un temporeggiare una conclusione naturale di un percorso fatto più di salite che di tratti pianeggianti.
All'inizio forse anche a dare retta alla mia incoscienza o meglio al mio desiderio di non rimanere più del giusto nello stesso posto, quando m'incamminai seguendo sin dall'inizio un percorso da cui avrei comunque guardato il mare, era per me di primaria importanza raggiungere la meta o meglio l'altrove.
Furono anni duri, anzi durissimi, solo ed inesperto navigante, in mezzo a quel mare che non era uguale al mio di luce e calore, di colori pastellati da mani esperte; quando quella sera di maggio mi recai sulla spiaggia a salutarlo ci siamo raccontati quei nostri segreti, poi ci fu silenzio mentre un nodo stringeva sempre più la gola.
Rimasi lì accanto agli scogli fino a quando il sole vi si tuffò dentro come fosse amore, morirgli dentro e rinascere al mattino seguente più radiante e luminoso che mai; se lui muore in esso e rinasce perchè io ho la sensazione di non rinascere più? Questo pensavo mentre mi avviavo a testa bassa verso casa.
Tuttavia quella notte non riuscii a prendere sonno sentendolo battere furiosamente contro gli scogli, dal balcone potei vedere le barche all'ormeggio sollevarsi tutte assieme e ricadere sbattendo una contro l'altra e i gabbiani alzarsi in volo e posarsi sul braccio alto del porto; una tempesta così a sentire mio padre non la si vedeva dal lontano 56' quando il mare entrato nel porto si portò via tutte le barche per lasciarle ammucchiate contro gli scogli di ponente.
Scesi in spiaggia fin dove le onde arrivavano piano e ritornare sempre più rabbiose, così fino al mattino, quando per incanto cessò il vento ed il mare si placò lasciando tutto il palcoscenico al sole che cominciò a levarsi piano, infuocando dapprima il mare tanto da non poterlo guardare, poi alzandosi piano piano comincio ad entrare nelle case, superò i tetti e le colline fino a raggiungere la cima del monte più alto.
Mio padre mentre si beveva assieme i caffè, mi disse: “ Così hai deciso di andare via!, abbandonare tutto per un qualcosa che neanche tu conosci. “
Spezzava a piccoli pezzi il pane dentro la sua tazza di orzo e latte, era come un cerimoniale suo, fatto con gli stessi gesti di sempre e mentre lo faceva pensava, meditava, non parlava con nessuno e quando aveva finito aveva una risposta o un consiglio, un insegnamento da darmi.
Sarai solo in mezzo a quel mare della vita più grande, più oceano, di te; ma se terrai le mani ben salde sul timone la tua barca andrà sicuramente in porto, troverà sempre un riparo. Devi pensare più alla tua barca che a te, badare che i remi taglino l'acqua sempre alla stessa maniera, altrimenti non potrai andare da nessuna parte e resterai prigioniero di un mare che potrebbe farti annegare in un momento..”
Con questo dialogo fatto a mezza voce, ci salutammo.
Dopo tutto, dopo tanto mare, oggi dalla mia mezza altezza, non riesco a vedere e lo immagino nelle mie notti in solitaria il mio mare; posso sentirne l'aspra salsedine che mi fa lacrimare gli occhi, a volte … eppure di tanta solitudine si è contornata la mia traversata come fosse uno Stretto che avvicenda vite e destini con i suoi ritmi che non conoscono sosta nel susseguirsi di sogni e immaginazioni ove ancora s'annuncia l'alba di un altro giorno strappato al tempo, un altro giorno che si colma agli orli di quel senso di pienezza che è l'Amore.
L'Amore che fa sognare e moltiplicare le emozioni come un nodo scorsoio alla gola, e questo sarebbe un morire dolce tra le sue bramosie, tra le sue elemosine, tra i suoi no. Ecco se questo Stretto un mattino non dovesse esserci che senso dare allora alla vita? Ma più, che senso dare al mio essere dietro una finestra ad immaginare una melodiosa risacca, quando invece è quello di una solitaria sirena che corre veloce come un treno che in certi Natali, veloce mi portava giù dopo una lunga traversata di confini di altrove distanti dalla mia anima: è finalmente mare!