sabato 27 settembre 2014


 

L’IRREQUIETEZZA

Di Vincenzo Calafiore


 

C’eravamo allontanati ormai da tempo dai sfavillanti e cupi tramonti di albe attese dietro grandi vetri; il viaggio ci portò lontano, distanti come lo eravamo fra noi, una carovana tra le sabbie infuocate di spiagge abbandonate.

Nello straordinario altrove  cercavo la parola idonea capace di trasformare una sagoma scura in un lampo di luce, di riavvolgere la penombra e rilanciare i destini che si presentano da oscure lontananze.

Noi, viaggiatori viaggianti, appartenenti ad altre storie ci accampammo a ridosso di sabbia in viaggio, noi dalle identità ambigue sotto cui si intravedono profondi dissidi, drammi irrisolti, inquietanti convergenze, attorno ai fuochi. Uomini e frasi si scambiano i ruoli e perfette riflessioni ove gli individuali profili e le storie  vere s’intrecciano e si perdono negli anfratti e gli stupori d’una scrittura vocale.

Siamo stati figli di una dignità perduta per futili motivi e ritrovata ora a distanza di anni che porta in superficie quel qualcosa di oscuro che aveva fermentato dentro.

Le mie dolorose considerazioni racchiuse in un sogno.

Dopo spietata analisi psicologica e parole rivelatrici, l’incontro con una linea verticale movimentata da parole ribelle lo scenario si arroventa e si centrifuga nel rivisitato fondale dell’infanzia mai avuta.

Lo sguardo trasmette con ritmi serrati e senza urti le tematiche più gravi, i colori forti di un’età ingenua, il saettio di qualche motivo indocile saldandoli ad un quotidiano  in spazi difformi.

Nascono gli impulsi della confessione e felicità inventive.

Forse non siamo altro che creature di confine cui piace provocare sofferenze e liberarsi della precisione dei ricordi al fine di lasciare libera l’immaginazione di sguardi oltre le apparenze.

Allora, la nostra vita altro non è che un mosaico di tessere leggere, incise di pena sin dalla tenera età e risucchiata dalle sabbie mobili di diversi sistemi che prendono il bello dei giorni senza preoccuparsi, compiamo disordinate esperienze lasciandoci trascinare dagli eventi proposti senza possibilità di scelta, dunque, stranieri sempre nella vita in viaggio con il paesaggio che scorre dietro a un vetro!

Nei silenzi s’ode il sgocciolare lento del tempo, del vuoto che si forma intorno a una imprecisa libertà, il silenzio dei pensieri che non sanno trattenere la storia di chi li ha posseduti e trasmessi poi successivamente con la prospettiva di rimanere uomini murati in infinite solitudini di padri come balene feriti a morte e di madri perse nel nulla con gli occhi pieni di pianto.

La fisionomia delle cose, la luce dell’aria, i gesti s’incarnano attorno a nuclei di significati aberranti lontani da quel forte senso di sacralità che a volte fa dire “ C’era una volta”. Una sofferenza implacabile, slittante nell’ambiguità, mentre giungono piccolissimi universi di salvezza dentro un verbo: Ti amo!

venerdì 26 settembre 2014



SE IL COLORE DOVESSE PRENDERE FORMA


Di Vincenzo Calafiore

Momentaneamente lo spettacolo venne sospeso, calò giù il sipario e noi, io compreso, marionette sospese a fili invisibili venimmo messi a terra in un angolo del palcoscenico, afflosciate come vele senza vento.
Con gli occhi fissi al centro dello stesso orizzonte, smarrite in quel silenzio, avemmo tutto il tempo di pensare e udire il frastuono degli applausi, del frusciare del sipario aprendosi e chiudendosi;
di sentire l’alito e il respirar lento di mangiafuoco chinato a render onore alle nostre esibizioni; quale misura triste, quale solitudine in quelle mani che stringevano a pugno chiuso i fili della nostra vita, della mia vita. Ricordai la notte prima navigavo a pieno vento in un mare tanto diverso sulle ali della libertà; per la prima volta mi ero sentito quasi umano e piansi. Avevo cominciato a pensare, ad immaginare, a parlare a squarcia gola, a sognare; piansi a veder le mie mani immergersi nell’acqua senza paura, piansi per il mare in faccia.
Quanto è stato bello sentirmi e pensare, essere “umano”…. E  cominciai a scrivere poesie, per raccontare il mondo che avevo visto dalla profondità degli occhi miei tondi e statici; raccontai i miei sogni a quel silenzio pari al respiro del mondo.
Ma ora in questo angolo buio di tristezze, di grigiore, non c’è vita, non ci sono sogni né ricordi. Fisso un lampo lontano che richiamò l’attenzione di noi marionette, attratte come falene rivolgemmo lo sguardo; non era un faro, ma una lama lucida e affilata, grondante di sangue, di altre marionette sgozzate.
Era la realtà del buio.
Mentre s’udivano proclami e inni, la fredda realtà di un mondo appena dietro il sipario, noi pensammo che forse la nostra unica salvezza da quel grigiore era di partire, mettersi in viaggio alla ricerca di un’anima che potesse darci quella vita che Mangiafuoco ci aveva tolto, di riprenderci i nostri sogni, i nostri ricordi e volare sulle ali della libertà.
Sogni e poesia, ricordi e vita, tutto d’un fiato recitammo come un padre nostro, una coniugazione mentale, che ci fece alzare la testa, e mani, mani che tagliarono i fili invisibili dell’ipocrisia, dell’ignoranza, delle guerre, della stupidità! Umani in una notte, col calore del sangue nelle vene, con occhi che avevano ricevuto altre visioni di altri orizzonti. Andammo via da quel terrore, dalla quotidianità sanguinaria che come il Minotauro ogni giorno si nutriva esigendo e mietendo nuove vite.





sabato 13 settembre 2014


Vorrei dirti ti amo.

Ti amo perché sei nei miei pensieri

nelle mie tasche

nei miei silenzi.

Io ti amo

per i tuoi occhi

per la mia tristezza

per i giorni che si son perduti.

Ti amo per i momenti assieme.

Per quei pochi minuti di felicità

vorrei dirti ti amo.

                                  

Me gustaría decirte Te amo.

Te amo porque estás en mis pensamientos

en el bolsillo
en mi silencio.

Te amo
Sólo para sus ojos
para mi tristeza
por los días que se pierden.

Te amo por los momentos juntos.
Para los pocos minutos de placer
Me gustaría decirte Te amo.

 

                           Calafiore Vincenzo

Siamo Stati

 

Siamo stati un tempo naviganti

con l’acqua alla gola,

siamo stati assieme entro lontani orizzonti,

siamo stati vicini ad un approdo.

 

Noi, naviganti senza conoscere il mare,e

contadini senza conoscere la terra

in guerra da noi soldati partiti bambini

senza più tornare.

 

Siamo stati bene assieme, come corridori

in salita senza mai alzare lo sguardo

oltre la strada che ci vide un giorno felici.

Col fiato in gola fino ad un traguardo, corremmo

preparati alle cadute,

preparati ad annaspare e ad annegare entro parole imparate.

 

Eppure ancor adesso, scivolando su muri lebbrosi

C’ impadroniamo della notte, noi conoscitori della notte senza avere paura nel suo ventre scuro….

Ecco che bisogna partire è il momento di mollare il libro dalle mani, perché voli nella notte,

è l’ora di dormire.

mercoledì 10 settembre 2014



Editoriale.
Di Vincenzo Calafiore

Ci sono nel nostro comune “viaggiare”, obbligati, esistenti sentieri da percorrere con o no il nostro individuale consenso e l’intima convinzione che comunque sia valga la pena di percorrerli per saggezza, per completezza, per crescita interiore, per arricchimento della propria smania di conoscenza, d’amore, di donazione, di continuazione.
Questi verbi, individualmente avrebbero personale significato, collettivamente hanno e acquisiscono significato manifestato e coniugato moralmente con un nome ben preciso “ Amicizia” , Amistad, Friendship.
La sua immensità, il suo peso, sono o almeno dovrebbero essere i binari su quali far scorrere la vita, e succede anche che a volte ciò non accadendo si avverte nell’aria uno stridulo rumore che va impoverendo la stessa esistenza.
Nonostante ciò ugualmente la vita va consumandosi e assottigliandosi alla fine di quel nostro bagaglio originario rimarrà ben poco e ci ritroveremmo poveri e miseri, soli in mezzo a deserti di sabbie mobili.  
E’ solo una questione di rispetto
Il rispetto che dovrebbe nascere da noi stessi, dalla capacità di incontrare e conoscere persone e cose come se osservassimo riflessa in uno specchio la nostra immagine.
Il rispetto sta nella comprensione, nell’acquisizione, nell’equilibrio tra quello che vorremmo e quello che “possiamo” realmente avere, ricevere, donare.
Il rispetto sta nel non fermarsi alle apparenze ( madre dell’inesistenza), nel cogliere o nell’elargire noi stessi come una donazione, come un valore aggiunto. Sta nel “no” senza drammi, nel sapersi mettere in discussione (che grandezza d’animo) ogni qualvolta la vita lo richieda.
Noi, come il rispetto stiamo nelle piccole cose quotidiane, nell’affanno della corsa per sopravvivere, nel rispettare e amare il diverso, nel sapere ascoltare, nel cogliere le sfumature di quanto ascoltato e veduto, nel comprendere l’incanto o l’amore di chi sa guardare e coniugare invece di svendere e perdere dignità, e onorabilità.
Sta nel considerare ogni luogo come fosse casa nostra, ogni persona come noi stessi, solo così potremmo evitare di considerare e cadere nell’egoismo individuale e collettivo.
Ma ciò è quel che accade.
Allora davvero il nostro viaggiare senza il rispetto sarà un tempo non tempo, un vissuto non vissuto.
Viaggiamo allora con la consapevolezza dell’incontro di belle persone,
di sorrisi sinceri, dell’ilarità, dell’amichevole approccio e del benigno sguardo facendo nostro sempre il verbo della donazione.
Viaggiamo dunque con la consapevolezza di rimanere senza corazze, senza i secondi fini, senza il lucro, senza malignità, viaggiamo nella sofficità e pienezza, nella luce che sono in quell’antico verbo amare.
Che sia per voi tutti una splendida e radiosa giornata davvero!!