venerdì 27 novembre 2020


 

L’acrobata

 

 

Di Vincenzo Calafiore

28 Novembre 2020 Italia

 

Adesso il sole scivolando verso il mare, infiamma le nuvole, scalda quei cuori freddi, i destini sbagliati, la vita che continua in quegli occhi incantati! , tanto rassomigliante a una spiaggia; pensa sopraggiunge il mare e cancella tutto ed è come se di lì non fosse mai passato nessuno.

Come fosse un vasto deserto, agli occhi oggi la vita s’appresta alla scena quotidiana vuota d’ogni forma umana.

Menomale che ci sei tu, così vicina, così amabile nella tua serenità, nei tuoi distanti silenzi, nelle tue coatte solitudini, a incantarmi e farmi rimanere sulla tua soglia a guardarti come un miraggio, come un sole all’improvviso negli occhi.

Vedi tra un po’ ti vedrò spuntare da quel pizzico di magia e cambierà tutto, tutto sarà diverso, indescrivibile, tante emozioni, tanto amore, tante parole che si perderanno negli echi tra distanze e malinconie, sospensioni temporali, immaginazioni sfocate.

Siamo noi, io e la mia vita, acrobati su un filo sospesi sul baratro del desiderio di vivere non per rimanere, ma per andare in lotta tra i due mondi, andare via dalle cose inesistenti che imprigionano l’esistenza per consegnarla  nelle mani di certi lontani risvegli; siamo in quella sospensione tra cielo e mare, nel bel mezzo di tante stelle e fredde solitudini, a cercar luce come falene nelle notti, senza mai incontrarci, senza mai fermarci, assieme da sconosciuti e spericolati acrobati!

E ci sono sogni da scrivere,

parole per raccontare

mani per accarezzare certe immaginazioni che come onde a volte mi travolgono e giù fino ai fondali d’una speranza buona, come fosse una bava di vento che a stento a volte gonfia le vele e si può navigare, si può amare, si può desiderare, si può sperare.

La domanda è: ma come hai fatto a fare bello ciò che prima non piaceva, a dare luce e calore là dove mancavano?

Sai cosa c’è?

Noi apparteniamo alla brutta razza dei sogni, siamo della stessa materia dei sogni e non possiamo avere modo di vivere in questa follia, zavorrata di cose inutili.

Sono un acrobata che sogna e non sa quanti anni ha, e che per sentirsi meno solo raccoglie in cielo quei sogni dimenticati.

Mi basta avere gli occhi socchiusi, per vedere il mio mondo lontano, di magie e luci, ove  la vita è vita.. e nulla è più brutale  del “ risveglio da un sogno “ è un duro colpo contro gli occhi pieni ancora di sonno in un ambiente che non mi appartiene, ancora nella testa  colori e musiche del sogno … per un po’ rimango in quelle emozioni vissute, cose senza tempo ne luogo è come svegliarsi in riva al mare, intirizzito e tremante, ma ancora con l’ultimo tramonto nella testa negli occhi.

Siamo io e lei, poeti ! E rimaniamo lì sulla soglia dell’infinito, nei venti freddi di fantasmi che scompigliano le pagine scritte, tutto ruota e va lontano nei vortici incantati della fantasia, perduti nei ritorni del tempo; con le mani raccogliamo le ultime lacrime… conservarle per un divenire che s’appresta ai margini, siamo ladri di coriandoli, spermatozoi sperduti nell’universo.

Sono l’acrobata,  spregiudicato ladro di sogni da un fatiscente palcoscenico a una platea misera e servile, schiava. Questo sono, un poeta che tanto ancora deve a questa vita che se ne va nei sottili filamenti di un altro sogno che si prepara per la prossima notte, per la prossima luna che si specchia negli occhi socchiusi e sognanti a misurar vita !

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

mercoledì 25 novembre 2020

 


  La vita, passo passo !

 

 

Di Vincenzo Calafiore

26 Novembre 2020 Italia

 

Sul tavolo, irregolare e macchiato di caffè e vino, dai bordi bruciati dalle sigarette, c’è vita.

Quella vita che non ci appartiene e nonostante tutto continuiamo a dire: la nostra vita; pagine scritte con gli inchiostri odorosi che fanno tornare in mente le primavere perdute, racconti brevi di “ frammenti di vita “ che si animano come pulviscolo sospeso in mezza luce nell’aria.

E’ una di quelle mattine d’aria frizzantina, con un cielo che lascia poco spazio al sole che dalle quinte vorrebbe esplodere luce su un palcoscenico misero e meschino; guardo dalla finestra i rami spogli che nelle ombre mattutine paiono braccia tese al cielo e tu non ci sei !

Le paure, le mie paure sono lì dentro le parole di quei fogli, prima bruchi ora farfalle che volano nello spazio ristretto tra tavolo e finestra, vorrebbero raggiungerti amata mia ovunque tu sia!

Parole che come carte nautiche, raggiungendoti, potrebbero portarti a me, in quella officina satura di fumo e odori d’inchiostri.

Sai ci sono momenti in cui vorrei oltrepassare la magica soglia e raggiungerti, rimanere lì con te in quei confini di occasi e spiagge su cui naufragano sogni e desideri, camminare con te mano nella mano in contro ai destini che ci guardano con occhi benigni.

Amore che d’infinito vesti per venire ai miei sogni, dimmi quanta vita ho ancora per poterti vivere e amare fino in fondo?

Quanto tempo ho tra un sorso e l’altro prima che il mio bicchiere rimanga vuoto?

Tu ai giorni miei vieni annunciata primavera, lasci ad ogni tuo passo le note di una canzone che conosco, sei quella musica che ascolto in quei silenzi in cui mi perdo, con quelle solitudini che mi cercano e adombrano sorrisi, intime felicità.

E’ la mia vita passo passo sotto la luna piena di luce, esco a fumare una sigaretta e assieme a lei una notte da dimenticare, niente che mi possa ricongiungere a te, questa mia vita che senso ha? Sale in me un dolore che si avvicina al cuore, e come vento presto si placherà assieme al desiderio di rimanerti accanto, lascia dentro di me il freddo del distacco, mentre il mio pensiero va, seguendo traiettorie che già conosce, portano al tuo cuore, se vi arriverà…!

E penso alla mia vita che se ne va passo passo rasentando muri di città vuote…. Rientro come fossi un clown  che lascia  una scena vuota di allegria, e lentamente con le mani nell’aria ridisegna un cuore dentro un cerchio rosso…. E ci sei tu ! Ed è già domani, e nuovamente sono pronto a ricominciare nello stesso scenario di sempre senza pausa come fiume che deve ad ogni costo raggiungere il mare.

Ma Tu chi sei?

Chi sei tu a farmi come Odisseo ritornare a te ?

Chi sei tu a condannarmi in questo ciclo perpetuo, a fare in modo che tu sia il primo pensiero?

Sono domande, solo che domande, potrebbero sembrare sciocche, o peggio ancora scontate, non è così poiché dietro ogni parola, ad ogni rigo, in una virgola, in un punto esclamativo o interrogativo ci sei tu: la vita mia!

Così io ti amo, così io vivo, entro quel cerchio rosso, in quei desideri mai appagati, in quei pensieri che non ti raggiungono, in quella vita che mi manca.

La luce filtra attraverso i vetri, illumina e riscalda le tracce lasciate dalla notte, da dietro le quinte mi giungono leggiadre gli echi del tuo ridere, delle parole; l’aria si muove cadono attera petali di rosa rossa, come fossero baci!

 

 

 

 

lunedì 23 novembre 2020


 

QUESTO NON CI SARA’ PIU’

 

Di Vincenzo Calafiore

24 Novembre 2020 Italia

 

Questa “ morte rossa “ che ha ucciso in ogni luogo del mondo, è della mano dell’uomo,  ed è parte di un progetto più grande , misterioso nei suoi risvolti; non ha solo ucciso e quando da solo si spegnerà la nostra vita, quella che conoscevamo forse non ci sarà più, inutile nascondere che ha modificato tutto, oltre a distruggere le “ economie “.

Ma se qualcuno perde, qualcuno ci guadagna ! E questi saranno i soliti, quelli che controllano il pianeta tanto sono potenti.

Questo un tempo abbiamo avuto, ed eravamo così certi e sicuri che non finisse mai che non lo abbiamo apprezzato fino in fondo, contrariamente a un certo punto ci siamo pure annoiati tanto quella vita era per noi scontata:

  Nella quieta penombra che pure nel bel mezzo di quelle prime giornate odorose di primavera non abbandonò  Piazza delle Erbe ( Udine)  rattrista camminare a passo svelto ora, nel tempo della peste rossa, senza udire altro suono se non il rimbombo dei propri passi, rimpiangendo il vocio di donne e di bambini che fino a qualche tempo fa riempiva i vicoli insieme agli odori schietti e generosi di cucina che evaporavano dalle finestre socchiuse dei ristoranti e tra le bancarelle del mercatino, di basilico, maggiorana e rosmarino.

Qua e là, agli sbiaditi cartelli dei bar e negozi che avvisano di indossare la mascherina, allineati ai bordi della romantica piazzetta, s’intercalano i vicoli che portano in via Mercato Vecchio, e non consola riflettere sulla situazione in cui sono recluso e limitato della libertà di respirare o di abbracciare, stringere le mani, salutare con un bacio.

Nel silenzio assordante, nel grigiore di queste atmosfere di decadenza e paure, di terrore dell’altro che fino a ieri incontrando per strada ci si fermava per abbracciarlo o baciarlo, viene da chiedersi perché sia stata compiuta una così grande operazione commerciale ai danni delle popolazioni del pianeta terra; penso ai giardini del Vescovo floridi, nella luce feconda del giorno e voci di bimbi festanti, imposto a questo vacuo budello dove, come avrebbe cantato De Andrè – Il sole del buon Dio non da i suoi raggi?

Eppure basta poco a darsi la risposta, se appena cambiamo il nostro punto di osservazione. Fermo i miei passi quando sono nella Loggia del Lionello, appoggio gli avambracci sulle spallette di travertino guardando verso occidente. Anche questa è una prospettiva inusuale, tanto è più affascinante la veduta che ci si squaderna ad oriente, in basso la stradina in ciottolato che s’inerpica silente al Castello, i resti delle magnificenza Veneziana, a destra  mezza costa sul colle che domina Piazza Primo Maggio in fondo a sigillare il paesaggio la bella facciata della chiesa Madonna delle Grazie sovrastata dal massiccio delle Alpi candide d’inverno, verdeggiante d’estate, sempre eleganti nella loro multicolore livrea autunnale.
Volgo lo sguardo a occidente, e scopro anche qui un paesaggio forse più usuale e modesto, mi viene in mente con la colonia di uccelli acquatici che si affida alla corrente per trovare nutrimento nelle acque generose dalla laguna di Grado, al Golfo di Trieste, da Lignano , e lungo  gli argini dei fiumi verso il mare, la vegetazione ancora oggi ordinata e curata, nelle aiuole fiorite dei parchi e nei brevi solchi degli orti ci svelerà il segreto di un nome che riscatta dall’ombra e dalla solitudine a cui la città vecchia non è ancora definitivamente condannata: Udine. “

 

 

 

 

 

 

 

giovedì 19 novembre 2020


 

Nos mox ut somniabunt

(Siamo proprio come i sogni )

 

 

Di Vincenzo Calafiore

20 Novembre 2020 Udine

 

 

 

Lo vedi?

E’ quasi aurora, quasi alba ! E la maggior parte dei sogni si sono già ritirati negli antri delle tenebre, e noi siamo ancora qui quasi a voler sfidare l’alba su questa spiaggia davanti al mare, rischiando di venir bruciati dalla luce: amore siamo proprio come i sogni!

Guardiamo il mare e immaginiamo come lui poterci muovere, andare per incontrarci ovunque e guardandoci negli occhi, senza parole, non abbiamo bisogno di parole, tutto parla di noi.

 

Guardami amore, guardami come tu sola sai guardare il mare!

Le ore vanno, è un fiume che scorre sopra e sotto il mare, vanno là dove sanno di incontrare altre parole che da un lontano giungono e si ricongiungono per raccontare lo stesso amore, allontanano i demoni di un inferno che tutto brucia velocemente, troppo velocemente.

 

Abbiamo quei ritmi latini impazziti nelle vene, esplode la voglia di vivere, del desiderio di esplorarsi, della magia del toccarsi, dell’annusarsi …. Pelle con pelle e labbra con labbra nel bagno aurorale e parole, parole dolci che sanno di fiaba, di magia: così è la vita !

Mi ascolti nei tuoi silenzi, da quella distanza, mi parli nei miei sogni e racconti di te che magicamente onda vai e corri, tra cieli e mare ti innalzi come a volerli toccare, e ti lasci andare per diventare mare, su cui si posano sereni e stanchi sogni che attendono nella notte, che si spalanchino le porte dei cieli e raggiungere cuori e anime che da sempre si stanno a cercare.

 

Amore Tu non sai da quanto tempo ho atteso in questa stazione sperduta nei deserti di questa umanità sbandata, l’arrivo di quel magico treno che a te mi portasse; credevo all’inizio fosse un inganno, perché amore a volte i sogni ingannano, e invece quel treno mi ha portato a te!

Ora il sogno è sogno, è vita che vivo tutte le notti, nei miei momenti d’attesa di un sì o di un no di questa vita che amo alla follia.

 

La vita è meravigliosa!

Tutto è meraviglioso, lo sono anche i mari sempre agitati come quelli quieti, tu sei meravigliosa! Ti vengo in contro da un altro mare, uniti come unica onda infiniti noi, quando ti dico: ti amo.

Io e la mia vita, così legati l’uno nell’altra, come il fiume col suo alveo, come il mare con le sue rive, le scogliere… mi sembrò l’inizio di una fiaba che cominciavo ad amare e scrivere, era felicità, è felicità ancora adesso.

Ma…

Poi le cose cambiano, vanno come esse vogliono e scivolano via, piano, in maniera impercettibile e non c’è una maniera di fermarle, loro se ne vanno, se ne vanno e basta!

Rimangono nell’aria sfumati coriandoli di parole sospese in un mezzo si e un mezzo no.. è questa la mia vita? : Nos mox ut somniabunt

 

 

 

sabato 14 novembre 2020

 


Il giorno che viene

 

Di Vincenzo Calafiore

14 Novembre 2020 Udine

 

 

Vedi, guardandoti la prima cosa che mi viene spontanea dire è : ti Amo!

E te lo dico con la mia certezza di oggi, con quella voglia addosso di amarti ancora, ancora oggi perché domani non saprò o non potrei più essere in grado di dirtelo; ma comunque sia quel  “ ti amo “ che ieri urlavo dicendotelo, oggi te lo sussurro, perché tutto in me si affievolisce lentamente, come acqua quieta che piano piano si congiunge a un fiume, a un oceano alla fine.

Vedi, io ti amo è vero, e ti amo come un uomo sa amare, ti amo con quei pochi sogni che ho ancora da vivere, con i miei anni sdruciti dal tempo; ma la verità è che mi sento come una camicia ancora integra, ancora profumata di bucato e con il colletto sfinito, consumato.

Certo, tornassi a nascere io rifarei daccapo le stesse cose, verrei a cercarti nuovamente per amarti ancora una volta per un altro giro di valzer.

Quel flamenco o tango flamenco che abbiamo ballato nelle notti bianche o sulle rive di quelle giovanili età quel sirtaki nelle lunghe e fresche serate nelle deserte piazze di un tempo che ci appartiene … vedi, è tutto qui, racchiuso in quel: Ti amo!

E io lo so amore che ovunque io vada, tu sarai lì, in quel mio cuore che solo a vederti impazziva ieri come oggi, come domani, con i miei occhi che a malapena riusciranno a distinguere, con le mie mani che non riusciranno a stringerti.

L’amore quello vero non morirà mai.

Non finirà mai!

Ecco guardami non sono come ieri, il tempo pian piano deforma e riduce, forse non saprai riconoscere quello che amavi in quello che i tuoi occhi vedono, ma sono sempre io, colui che un giorno venendoti incontro aprì le braccia per accoglierti, per sollevarti da terra e farti volare.

“ Ti Amo “ !

Mio Dio che verbo, che grandezza, che purezza, che vita è questo “ ti amo “ che a solo pronunciarlo il sangue ricomincia a correre, il cuore impazzisce, e viene addosso una voglia pazzesca di vivere, di sognare, di baciare, di amare … Ti Amo è un vento che spazza via la solitudine, la tristezza, la malinconia, è quel sogno che non ha mai fine, è quell’età amata che ritorna, è un treno che non smette mai di correre, e non si ferma.

E pensare che ero, sono ancora adesso come prima impaziente di vederti, di sentire i tuoi profumi, di guardare i tuoi occhi … sai? Saprei riconoscerti ovunque tanto sei in me, tanto sei presenza, tanto sei amore, tanto sei vita.

E allora lasciamoci rapire dal sogno, lasciamoci ancora una volta porta via dalla marea, abbandoniamoci in quel desiderio dello stare assieme, dello accarezzarci anche solamente con gli occhi.

Sai? Tutto questo è una bugia, è un sogno che mai si realizzerà.

Tu non esisti, io non esisto, esiste quel che siamo un “ Noi “ !

Noi che ci amiamo così, nella distanza, in quel bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto.

Noi che non smettiamo mai di guardare il cielo forse in cerca di un qualcosa che ci manca eppure è qui è in noi fortemente in noi, intenso e ancora con la sua verginale esistenza.

Siamo noi che ci guardiamo, che ci amiamo, come una fotografia sul letto di un soldato!

Ti Amo!  

 

 

domenica 8 novembre 2020

 

 

 

 

                  Porto Allegro

 

Vincenzo Calafiore

 

Come abbiamo potuto ridurci così? E’ questa la domanda! Quella che ognuno di noi, voi, gli altri, tutti dovrebbero porsi: come abbiamo potuto ridurci così ?

Che noi “ italiani “ fossimo una razza a parte, questo lo sanno pure i sassi, anche quelli che per strada gli dai un calcio….. e lui rotola avanti, ma con uno scarto improvviso come un baleno potrebbe spostarsi tutto sulla destra ….. dipende…

 

Dipende si … dipende dal piede che lo calcia, dalla forza del piede …

Ma comunque lui … il sasso in quell’istante, in quel preciso istante … ti ha già mandato a quel paese!

 

Si, noi italiani in questo siamo insuperabili, siamo dei maestri, nessuno meglio di noi

Sa mandare a quel paese o fare una lunga e generosa: pernacchia!

Fare la “ pernacchia “ non è da tutti, non è facile, perché nella pernacchia bisogna metterci tutta l’enfasi, provata verso l’imbecille cui è diretta.

E qui occorre fare un distinguo perché c’è: l’imbecille furbo ad esempio come un politico e l’imbecille, imbecille che è colui che segue quel tipo di imbecille.

L’altro distinguo doveroso è che sono sessanta milioni, divisi e distinti, e tanto imbecilli da odiarsi e così facendo fare il gioco dell’imbecille, furbo.

 

La “ pernacchia “ Questa è una cosa seria per poterla fare  e farla bene, ci vuole arte e passione … perché chi la riceve deve sentire la passione, il patos, tutta la gioia di chi la fa.

Se mancano queste cose, inutile farla.

 

Però c’è stato un tempo, che io ricordo con dispiacere perché è andato perduto, c’era Petrarca, Dante, Alighieri, Virgilio, Michelangelo…. Siamo stati quelli che hanno portatto la cultura e la bellezza nel mondo…

 E ora che siamo? Servi!

E sai perché lo siamo? Perché abbiamo perso! Siamo stati sconfitti, spianati, resi tutti uguali, vestiti uguali…. Ma la cosa peggiore è quella di aver perso la nostra entità, l’abbiamo svenduta per un sogno che non abbiamo fatto, ma che ci è stato fatto immaginare. E noi lo abbiamo visto, ne abbiamo sentito le sue voci, l’aria, il vento.. ed era tutto un bluf!

Ma siamo i servi peggiori, quelli che si lamentano e stanno piegati … con la schiena piegata senza voce, senza parola, senza pensiero.

 

Tu!

Che te ne stai lì seduto su quella seggiola, ti starai chiedendo chi sono io!

Questo ti stai chiedendo in quella tua testolina…

 

Sai chi sono io? ….. il Popolo!

Agonizzo per una malattia mal conosciuta e che non si sa curare, si chiama: libertà!

Mi hanno rimesso assieme i pezzi per sopravvivere e questo mi assicurano è una fortuna.

Ma loro, gli altri prigionieri, gli altri morti vivi?

Quelli che vedi per strada dentro una casa di cartone,

quelli delle periferie abbandonate,

quelli che stanno al Sud,

quelli che protestano contro la fame e l’umiliazione, la dignità rubata,

quelli che spariscono per sempre,

quelli di città come favelas di Rio e di Buenos Aires,

nelle rovine di Napoli.

Ecco chi sono, sono uno che ha visto tutto.

Ho visto crescere questa Italia!

Ora mi pare d’essere in un pisciatoio, dove tutti possono entrare gratis, dove gli orinatoi sono intasati dalle cicche che galleggiano nelle urine schiumose, dove una volta qualcuno si sarà asciugato le mani nell’asciugamano, ora talmente lercio che nessuno osa toccarlo.

Dove c’è puzza di intrallazzi, e sporchi affari, di camorra e di mafia.

E una fila di uomini allineati contro il muro in un raccoglimento religioso si frugano i pantaloni, ognuno nel proprio pantalone, ognuno separatamente, però tutti assieme in una specie di promiscuità evacuatrice.

E la cosa fa schifo, ma di più fa schifo la tua indifferenza, e nono solo tua, ma anche quella degli altri, degli altri loro, degli altri tutti che ve ne state in quelle stanze dorate.

L’indifferenza totale ai miasmi di quegli imbecilli furbi… i politici

Ecco cosa ho visto e cosa vedo.

Una grande bugia e tutta una bugia raccontata nei libri di scuola come per far passare per eroe un delinquente e assassino come Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi.

E no! Voi state raccontando su quei libri un sacco di stronzate e mai la verità come le deportazioni da Sud verso il Nord, dei paesi e villaggi bruciati e rasi al suolo e dato il permesso di saccheggiare, violentare, uccidere, le fossi comuni….

Come fate a chiamarla Unità ? Con quale diritto, con quale diritto avete dimenticato e cancellato tutto dalla memoria?

Questa cosa non vi fa schifo, quella di nascondere la verità?

Ma esiste un altro posto così, in cui il tuo vicino si trova nella tua stessa situazione?

Dove esiste la stessa uguaglianza?

Non esiste.

E non fa niente che si tratti di un’uguaglianza nell’abbrutimento, l’essenziale è che sia autentica, precisa, vistosa e, in fondo gagliardamente espressiva, anzi espressionista.

Per te , e per i tuoi simili, per i tanti come te va benissimo:

date le tue, le vostre, ridotte capacità percettive solo quello che è enorme è evidente, le gradazioni, le sfumature vi sfuggono: e questo popolo è una sfumatura nella vostra galassia.

Perché è qui che si nascondono le fregature nel vostro fare politica. Ma tu imbecille furbo non hai colpa, la colpa semmai è mia: io popolo!

Che sono rimasto impigliato nelle maglie rumorose e frenetiche di una corrente politica, becero e bieco, come un pesce impigliato nella rete.

Sai cosa fa male?

E’ che sono rimasto a guardare come da un balcone, stavo davanti al degrado della droga, della prostituzione, delle mafie, della corruzione e mi bruciavo le dita… quella cicca era la mia unica indipendenza!

Mi hai tolto anche quella e non sono altro che desiderio, odio, invidia, dipendenza, umiliazione.

Sono rimasto indifferente dinanzi alla invasione, ai porti aperti, ai miei diritti negati per gli altri, i nuovi italiani che arrivano come tempo fa quei “ Mille “ un manipolo di uomini che hanno distrutto e che continuano a distruggere… mentre leggere vanno al cielo le spire di fumo grigio di una nazionale senza filtro a guardare il: Porto Allegro!

 

Udine lì, 08/ Novembre/ 2020  i tempi del colera

 

 

 

 

venerdì 6 novembre 2020


 

Donna

 

Di Vincenzo Calafiore

07 Novembre 2020 Udine

 

“ … alla donna così capace

di tanto amore, così tanto vita,

nella stessa vita! “

                        Vincenzo Calafiore

 

Quanto è difficile già il solo pensare al mondo femminile, quanto difficile è l’esplorazione di questo immenso pianeta, quanto è difficile comprenderne la superiorità e la nostra dipendenza assoluta.

 

Le donne che hanno in se e coltivano la “vita” con pazienza sacra e la vedono a volte stracciata e violentata, distrutta, dalla cupidigia degli uomini.

Di questo ebbe a scrivere  Euripide,  le “ Troiane “, ma anche Seneca; quindi è una storia vecchia che purtroppo non finirà mai, la maledetta violenza contro la donna.

 

Del dolore provato dalla donna, ben rappresentato in una tragedia, siamo nel 415 aC, la

“ Tragedia di Ecuba “ un’ opera  di sconcertante modernità.

 

Ecuba, grande madre, eppure così umana, sacra, così terrestre, è la rappresentazione, l’epicentro del dolore e punto di forza attorno cui ruota la vita.

Oggi in questi tempi d’ogni barbarie e di discriminazioni d’ogni genere specialmente nei confronti della “ Donna”, non le è concessa ancora la così tanto sperata “ parità “, piuttosto continua ad essere sfruttata con gentilezza e grazia in alcuni casi, con violenza fisica e psicologica in altri ( basti pensare alla prostituzione).

La donna che vive intensamente le gioie, la vita, la solitudine …. Perché continuare a umiliarla con una esistenza “utile “ ?

Se si pensa alla sua solitudine, non possiamo fare a meno di pensare alla sua tristezza, percepita in maniera diversa … particolare, personale. Per chissà quante essa rappresenta un fattore  “ monocromatico” un qualcosa che non cambia mai colore, e quando l’avvertono sono colte dal timore, dalle paure, dall’ansia, angoscia, dallo sgomento, smarrimento.

La solitudine in cui è relegata la donna oggi nonostante la parità dei diritti ( sulla carta… )

Per affrontare il senso della solitudine e le sue angosce molte di esse cercano compagnia in quei rumori di sottofondo atti a rompere il silenzio oppressivo, ma anche in un fare frenetico che le impegni in un qualcosa di totalizzante, ma che non saranno mai in grado di dar loro i colori della socialità e dell’amore.

Basterebbe forse avere per lei la dolcezza, il fermarsi ad ascoltarla.

Basterebbe forse amarla un po’ di più, non necessariamente compiendo l’atto sessuale che sarebbe il conclusivo di un lunghissimo processo di interiorità.

Basterebbe quando si è via inviarle messaggi vocali, o …. Scriverle  “ ... è solo che mi manchi molto. ..”

 “ Mio Dio! Stare con te è sentimi la vita addosso. Sei esattamente quell'orizzonte che guardo e a cui vorrei andare; quella meravigliosa sferzata in viso che fa arrossire, quella maniera di guardare, di chiedere, di comprendere, di amare. Me lo dico sempre, lo ripeto in mente come fosse una preghiera intima e preziosa: ti amo! ….. Sono quell'uomo che al mattino si sveglia e già in se sente la musica di un risveglio lungo e dolce di tante pause, di tante immaginazioni fluenti tra le dita che contornano il volto tuo che mi porto dentro ….. “

Forse dirle queste cose per farle sentire quanto importante sia.

Purtroppo parte degli uomini usa fare violenza, tra le mura domestiche, donne uccise barbaramente.

Alla base di tutto c’è il mancato rispetto, il non saper definire i confini tra lui e lei e viceversa.

Se ogni individuo, riuscisse ad interrogarsi sul perché, magari, non riesce a stare solo, potrebbe chiedersi anche il perché non sappia stare e vivere in armonia con gli altri…

D’altra parte di persone che vivono male la solitudine come pure le relazioni è pieno il mondo e basterebbe solamente pensare che “ se io sono qui “ è grazie a una Donna.

 

martedì 3 novembre 2020


 

La frivolezza di essere Italiani

 

Di Vincenzo Calafiore

04 Novembre 2020 Udine

Come certi fantasmi di vecchi castelli, che scompaiono e riappaiono a intervalli di tempo,

così politici amano ritornare alla ribalta, ben riconoscibili anche sotto nuove casacche.

Cambiarsi è facile … rimane anche la poltrona… che non cambia mai, sempre la stessa.

Qualcosa non va, la nuova reincarnazione non ci inganna del tutto, riconosciamo i vecchi attori, volponi e bugiardi, che sembrano strizzarci l’occhio, come per dire: che volete sono sempre io, e mi avrete fino alla mia fine.

Il problema è che nessuno di questa specie sa di nuovo, o  è entusiasmante, o è un vero, ma vero politico, semmai sanno di muffa, di parrucconi.

A noi “ italiani “ perché qualcosa ci interessi deve stimolare allo stesso tempo il nostro desiderio di novità, come successe coi cinque stelle, e il suo contrario, vale a dire la nostra memoria.

Che parolaccia… la memoria…noi non l’abbiamo, non l’abbiamo mai avuta

 e quindi?

Ma quelle vecchie canaglie noi le conosciamo bene, come il gatto e la volpe hanno sempre un contratto da farci firmare!

E anche se ci secca ammetterlo per certi versi ci piace averli addosso come zecche, parassiti, uomini inutili, esperti di una delle scienze più complesse e raffinate che esistano, la scienza della frivolezza, della beffa …

Non quella individuale, che ognuno coltiva all’interno di sé, ma collettiva, come parte necessaria, anche se inconfessabile, del destino … un destino da compiersi.

Dunque non, la frivolezza di cui i politici sono insieme l’anatomisti e i sacerdoti, è un loro legame collettivo, una malattia epidermica, un linguaggio capace di cementare, tenere assieme, tanti popoli diversi e uniti sotto lo stesso tricolore.

Li vediamo giorno e notte, a colazione, pranzo e cena, come qualcosa di imperante, di necessario alla nostra sopravvivenza, nelle loro lievi coloritura professionale, l’eleganza dei loro completi di lino, la perfetta incarnazione moderna dei custodi della frivolezza.

In loro troviamo la sintesi suprema della “ presa per il culo “, ma anche la sintesi suprema di vecchie professioni, figlie e serve del privilegio e della ricchezza … mentre un gradino più abbasso, altre onorate società, spie e cortigiani, ruffiani e servi e scrittori piegati buoni solo a scrivere epigrammi, i nottambuli dei salotti, i netturbini e gli schiavi delle svariate sigle.

La nostra condanna è il doverli vivere a lungo, fino alla nostra ultima goccia di sangue, perché protetti da Ermes, questa ombra sociale.

La nostra memoria è vuota, o non ricorda, non ricordiamo per quale scopo essi sono lì in quel castello dorato, con il  “tutto compreso “ assicurato, il loro riverbero abbraccia il cosmo intero italiano e tutto il passato.

Lo strappo che si è ormai verificato, tra loro e noi, crea nel tessuto spazio-tempo un dolore che lacera l’anima di coloro che credono in una sorta di Unità Nazionale, che restano qui in questa Patria svenduta sottobanco ai mercenari monetari, ai moderni pirati delle economie.

In ogni caso pensavamo di essere tutti italiani, pensavamo di conoscerci o conoscere la civiltà alla quale apparteniamo, e che tuttavia non riconosciamo più … noi feriti e gli umiliati sopraffatti preda di uno sconcerto che pesa sulle coscienze di pochi.

Chissà cosa ci riserverà il domani e cosa succederà, anche se un’alternativa ci sarebbe.

Potremmo decidere noi come meglio vivere, anche fosse nel nostro intimo, di vedere sfilare prigionieri coloro che hanno quasi cancellato generazioni e esistenze.

Un cambiamento sarebbe auspicabile, necessario e il popolo dovrebbe volerlo.

Vige però fra gli uomini una crudele legge di conservazione e ogni volta che qualcuno vuole mantenere e avere la propria libertà o indipendenza economica, sarà qualcun altro a pagarne le spese.

 

 

domenica 1 novembre 2020


 

Tra me e me…

 

Di Vincenzo Calafiore

01 Novembre 2020 Udine

 


A un certo punto tra i chiari scuri dell’alba, apri gli occhi, e la vedi lì, in carne e ossa!

Lì, proprio dinanzi agli occhi tuoi, quasi non ci credi e passi più volte le mani sugli occhi,

quasi non ci credi e incredulo vorresti urlare e non hai voce.

 

Lei, la donna che ami è proprio lì davanti ai tuoi occhi, bella e sorridente, con quel suo sorridere che non sai più le volte che ti ha sconfitto, che ti ha conquistato con le sue magiche allusioni, quasi fossero carezze, delle semplici carezze sul tuo viso!

 

Mio Dio che felicità, che dono… il cuore fa un balzo e accelera la sua corsa, il rumore che fa lo senti perfino in gola, quella gola che non è in grado di dire una sola parola, lo senti battere per quella felicità improvvisa come fosse piombata dal cielo, proprio lì ai piedi del letto, impiedi, con le sue mani di esile giunco, forti nell’abbraccio, delicati nello stringersi al petto.

 

Ti ali d’istinto, rimanendo seduto sul letto, istintivamente allunghi le mani come a volerla prendere, allo stesso modo di quando fai per prendere una stella in cielo.

Vorresti pronunciare il suo nome e non hai voce, afono come sei allora cerchi di farle capire che vorresti stringerla in un abbraccio …. La felicità.

 

Ma la felicità mio caro non si fa prendere, come viene lieve e soave, così se ne va …

La felicità viene quando vuole e il più delle volte non rimane, questa è la condanna di chi ama, la condanna in cui vuoi rimanere, altrimenti lì appena fuori dal tuo mondo ti aspetterebbe la morte.

 

Lei, viene e va, entra ed esce dalla tua vita, lasciandoti il più delle volte con le braccia vuote di vita; ma se sceglie di rimanere, quelle braccia tese si riempirebbero di fiori selvatici, sentiresti in faccia e nel cuore quel calore primaverile. Sale dal basso verso l’alto quella gran voglia di vivere, di amare, come quando la stessa cosa accade nei pozzi di mare.  

 

Quello che sono io, quello che sei tu: Mare.

 

Il mare … ma te la ricordi la prima volta che lo hai visto?

Era di maggio e con quelle scarpe rotte che legasti assieme e messe attorno al collo raggiungesti la riva .. e lì proprio davanti ai tuoi occhi: il mare.

Ti sei sentito dapprima piccolo e smarrito, ti fece paura, arretrasti di qualche metro impaurito … lui invece calmo e sereno respirando piano arrivò fino alle tue ginocchia,

con le tue mani lo prendesti facendogli annusare il tuo profumo di pelle, e vedere la tua faccia ingenua di felicità.

Come un battesimo ti denudasti  e ti buttasti tra le sue braccia,così alla stessa maniera tu con la felicità, con la “ tua” felicità ?

 

La felicità che chiami, che la urli, che la scrivi, che hai recitato nei teatri, che ami… che….che

Ma la felicità mio caro non aspetta.

Non sa aspettare.

Questo avresti dovuto saperlo … per averla devi sapere volare!

 

Ma gli uomini … non sanno volare !!

E tu, tu che la scrivi nei dettagli, nell’anima e racconti di lei … la conosci?

 

Vengo da un mondo dove gli uomini sanno volare, con la felicità negli occhi che gli uomini da laggiù chiamano stelle….

 

Apro gli occhi, nella diaspora delle ore sento assalirmi dalla passione, fluida, calda, invadermi e dilagare ovunque come sangue porta vita, la sento sulla punta delle dita, sulle labbra che sanno il nome, sulla pelle sferzata dai brividi …. Tutto è bianco salino!

Tutto si ferma, tace e ascolta, la passione. La mia emozione primordiale, nana, orfana!